Dopo l’annullamento per errori procedurali del primo processo dinanzi alla corte d’assise e il ritorno alla fase preliminare, questa mattina il gup Anna De Simone ha accolto la richiesta della procura ionica rinviando nuovamente tutti a giudizio. A processo, tra gli altri, Fabio e Nicola Riva, figli del patron Emilio e proprietari dell’Ilva accusati insieme all’ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso, all’ex responsabile delle relazioni istituzionali Girolamo Archinà, all’avvocato del Gruppo Riva Franco Perli e ai cinque fiduciari che componevano il cosiddetto ‘governo ombra‘ di associazione a delinquere per aver controllato “l’emissione di provvedimenti autorizzativi nei confronti dello stabilimento Ilva” e per “consentire al predetto stabilimento la prosecuzione dell’attività produttiva”. Manovre che avrebbero poi causato il disastro ambientale, l’avvelenamento di sostanze alimentari e l’omissione di cautele sui luoghi dove operavano i dipendenti. Fabio Riva e l’ex consulente della procura Lorenzo Liberti, inoltre, devono difendersi anche dall’accusa di corruzione in atti giudiziari per aver versato, secondo i pubblici ministeri, una tangente di 10mila euro per ammorbidire una perizia sull’Ilva.
Sotto processo finisce nuovamente anche l’ex governatore di Puglia Nichi Vendola, accusato di concussione aggravata per aver fatto pressioni sul direttore di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, affinché assumesse un atteggiamento meno severo nei confronti della fabbrica. Sulla base dei monitoraggi del 2009, infatti, Arpa Puglia aveva evidenziato “valori estremamente elevati di benzo(a)pirene” e di conseguenza proposto in una relazione “l’esigenza di procedere ad una riduzione e rimodulazione del ciclo produttivo dello stabilimento siderurgico di Taranto”. Ma, secondo la procura ionica, Vendola avrebbe “fortemente criticato l’operato dell’Arpa, esprimendo al contempo disapprovazione, risentimento ed insofferenza” e in un incontro avvenuto il 22 giugno 2010 con gli assessori Nicola Fratoianni, alcuni dirigenti della regione  e l’allora dirigente Ilva Girolamo Archinà, avrebbe ribadito “che in nessun caso l’attività  produttiva dell’Ilva avrebbe dovuto subire ripercussioni”.
Tra i 44 imputati finiti nuovamente a processo anche il primo cittadino di Taranto, Ippazio Stefano, l’ex presidente della Provincia Gianni Florido, Luigi Pelaggi (ex capo della segreteria tecnica del ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo) e Dario Ticali, ex presidente della commissione ministeriale che rilasciò l’autorizzazione integrata ambientale alla fabbrica. A giudizio anche l’ex assessore regionale alla sanità del Pd Donato Pentassuglia, accusato di favoreggiamento nei confronti di Archinà.
Sotto processo anche tre società: Riva Fire, Riva Forni elettrici e Ilva spa in amministrazione controllata. Per quest’ultima nella scorsa udienza, l’avvocato Angelo Loreto, ha annunciato l’intenzione dei commissari Pietro Gnudi, Enrico Laghi e Corrado Carrubba di presentare nuovamente dinanzi alla Corte d’assise una richiesta di patteggiamento accettando una sanzione pecuniaria di 3 milioni di euro, la nomina dei commissari straordinari come commissari giudiziali e un risarcimento di circa due miliardi che, tuttavia, lo Stato avrebbe già speso o comunque messo in preventivo di spendere per ammodernare lo stabilimento ionico.