Traiamo da una pubblicazione di studio dei marxisti-leninisti-maoisti degli anni '70 una sintesi illustrativa del 1° capitolo de "L'imperialismo" di Lenin, allo scopo di permettere agli operai, proletari, compagni, che seguono il corso di formazione di comprenderlo ancora meglio.
"La libera concorrenza, caratteristica
della prima fase del capitalismo, determina la concentrazione della
produzione, e questa a sua volta determina il monopolio. La libera
concorrenza caratterizza la fase progressista del capitalismo, la
fase in cui il capitalismo distrugge il monopolio feudale (il dominio
parassitario dei nobili e dei grandi padroni delle terre). In questa
fase il capitalismo crea l'industria e la tecnica, due elementi del
progresso sociale.
Ma la libera concorrenza procede
creando la negazione di sé stessa. Nel processo concorrenziale
esiste la spinta alla concentrazione industriale e all'organizzazione
su vasta scala della produzione. Nella lotta concorrenziale vince il
capitalista più forte; così la proprietà dei mezzi di produzione e
i capitali si concentrano in sempre più poche mani.
Attraverso la concentrazione i più
forti capitalisti di ogni settore economico iniziano a diventare
padroni incontestati del mercato e della produzione nel loro settore
e via via anche in più settori. Nasce così il monopolio, cioè il
possesso di tutto un settore produttivo da parte di un gruppo
capitalista. La forza del monopolio è tale che nessuno può
competere nel suo settore; scompare così la libera concorrenza, i
più deboli devono sottostare al più forte.
Alcune migliaia di grandi aziende sono
tutto, milioni di piccole aziende non sono niente: questa è la
realtà che si è creata nel mondo con la nuova fase del capitalismo.
Le grandi aziende attraverso il
possesso di ingenti capitali o attraverso l'unità con le banche,
ricattano milioni di piccoli, medi e a volte anche grandi padroni,
che vengono così a trovarsi alle dipendenze di un pugno di uomini
dell'”alta finanza”.
Le grandi imprese riescono con facilità
a fare accordi tra di loro per distruggere la massa delle medie e
piccole imprese per il pieno possesso dei mercati da parte dei
potenti. Nascono così accordi tra i grandi, nella forma dei trust,
dei cartelli, dei sindacati industriali.
La nascita dei monopoli realizza un
immenso processo di socializzazione della produzione. In particolare
si socializza il processo dei miglioramenti e delle invenzioni
tecniche.
Il capitalismo, nel suo stadio
imperialistico, conduce decisamente alla più universale
socializzazione della produzione; trascina – per così dire – i
capitalisti, a dispetto della loro coscienza, in un nuovo ordinamento
sociale, che segna il passaggio dalla libera concorrenza completa
alla socializzazione completa. Sono queste le condizioni per la
creazione del socialismo, della società in cui la classe proletaria
rende di proprietà sociale tutta la produzione, la dirige
pianificandola, la fa funzionare per servire gli interessi dei
bisogni del popolo e del progresso sociale.
L'imperialismo, fase suprema del
capitalismo, realizza la socializzazione della produzione (non
completa, tendenziale), ma l'appropriazione dei prodotti resta
privata. I mezzi di produzione restano proprietà di un ristretto
numero di persone. L'uso, quindi, che l'imperialismo fa della
produzione così raggruppata e socializzata rimane fondato sui
criteri capitalistici dell'arricchimento individuale, della proprietà
privata, dello sfruttamento sanguinario delle larghe masse
lavoratrici.
Alcuni borghesi sostengono che la
socializzazione elimina la possibilità di crisi economiche del
capitalismo: questa è una stupidaggine. In realtà il caos si
accresce, si accresce la sproporzione fra l'industria e
l'agricoltura, si accresce la contraddizione tra il lavoro e i
prezzi, ecc.
I piccolo borghesi reazionari sognano
un ritorno all'indietro, alla libera concorrenza; non si rendono
conto che il monopolio è stato creato dalla libera concorrenza, e
che esso la elimina senza nessuna possibilità di ritorno".
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