Conferma piena, con una minima attenuazione. Sul “decreto
mutui”, finalizzatoa ridurre le sofferenze delle banche, il governo
finge la marcia indietro, ma tiene il puto centrale: le banche potranno
espropriare gli immobilie dei mutuatari in ritardo con il pagamento
delle rate e metterle all'asta senza più dover attendere la decisione di
un giudice, ossia dello Stato e della legge. L'unica differenza
rilevante consiste nell'aumento del numero di rate che fa scattare
l'esproprio: da sette a diciotto.
La valutazione del valore dell'immobile, inoltre, sarà sempre di competenza del perito scelto dalla banca, ma con la possibilità di una “presenza” di un prito nominato dal Tribunale e/o dal mutuatario, per evitare che sia troppo basso. Un prezzo inferiore, infatti facilita la vendita, ma riduce anche
l'eventuale “eccedenza” - rispetto al debito residuo – che la banca deve versare al mutuatario una volta conclusa l'asta.
Confermata anche la divisione tra vecchi e nuovi mutuatari, con i primi che restano sotto le regole attuali (si deve cioè passare prima dal giudice) e i nuovi, decisamente più “nudi” davanti alle decisioni della banca. Un gioco in cui anche i vecchi, comunque, perdono qualcosa. Per esempio, con le nuove regole la banca estingue il debito anche se – eventualità rara – il prezzo della vendita dovesse risultare inferiore al debito residuo, mentre i “vecchi”, in questo caso, dovrebbero comunque continuare a pagare alla banca la differenza.
La scelta di strategia economica viene da lontano – dall'Unione Europea – e si configura come un'esproprio di massa del “ceto medio”, che in Italia specialmente si identifica con la proprietà della casa di abitazione, in cui ha investito tutta o quasi la propria ricchezza. Una strategia politicamente rischiosa, perché diminuisce l'incidenza sociale dell'ideologia “proprietaria” e quindi del consenso sociale al sistema.
Ma quando c'è da versare sangue altrui a favore delle banche, questo governo – esattamente com quello “europeo” - non esita neppure un attimo.
Qui di seguito, se pensate che potremmo essere troppo “ideologici” o prevenuti, l'analisi di Vito Lops, da IlSole24Ore.
Guai a toccare la casa agli italiani. I politici sanno bene che la ricchezza, 218mila euro a famiglia, è costituita per larga parte dall'immobile di residenza. Questo spiega la bagarre sulla “direttiva mutui”. Si combatte a suon di modifiche che però rischiano di creare disparità tra “vecchi morosi” e “futuri morosi”. Una bagarre che probabilmente va al di là dei numeri, considerato che nel secondo semestre del 2015 sono finiti all'asta 28.672 immobili, peraltro in calo del 6,7% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Il tutto a fronte di compravendite annue che nel 2015 hanno superato quota 444mila. È evidente l' utilizzo strumentale ed elettorale della questione. Basti pensare che uno dei punti più contesi della direttiva è il fatto che, in caso di morosità, le banche possano espropriare direttamente il bene senza passare dalla via giudiziale. Peccato però che sullo stesso punto nessuno in Parlamento si è sognato di fare una battaglia ideologica la scorsa estate quando è stato approvato il provvedimento sulla riforma del diritto fallimentare che difatti ha già introdotto questo principio prevedendo nell'ordinamento italiano la possibilità che le banche subentrino nelle proprietà.
Da agosto gli istituti di credito possono infatti chiedere l'assegnazione dell'immobile senza dover ricorrere a società terze per partecipare alle aste come accadeva. Al netto delle ipocrisie e dell'utilizzo strumentale del tema casa va poi detto che la proposta di ieri di modifica del testo della direttiva rischia di creare molta confusione nel trattamento tra “vecchi morosi” (quelli agganciati ai mutui in essere) e “nuovi morosi” (quelli che stipuleranno i mutui in futuro che includano la nuova clausola). Rischiando di creare disparità anche tra gli altri Paesi europei che adotteranno la direttiva senza modifiche (fermandosi alle sette rate).
Questo perché l'ultima modifica vuole ampliare da sette a 18 rate il “bonus” a vantaggio del debitore prima che la banca possa - senza passare dalla via giudiziale come accade e continuerà ad accadere sui mutui in essere - espropriare l'immobile. C' è un altro punto di forte disparità. A conti fatti i “nuovi morosi” perdono il filtro giudiziale (che in ogni caso, dopo varie lungaggini, porta nella maggior parte dei casi comunque all'esproprio anche per i “vecchi morosi” ) ma guadagnano, oltre al bonus delle rate da saltare (da sette a 18), anche una maggiore garanzia sul prezzo di vendita. La bozza di modifica prevede infatti la presenza di un perito del Tribunale e di un esperto di fiducia del mutuatario, volta a garantire che l'immobile non venga “svenduto” rispetto al valore di mercato.
La banca può trattenere dalla vendita della casa solo quanto ancora dovuto ed è obbligata a restituire al consumatore l'eventuale eccedenza. Ma soprattutto, è anche previsto che in ogni caso il trasferimento del bene immobile alla banca comporta l'estinzione del debito anche se il valore dell'immobile è inferiore a quello del debito residuo. Per i morosi della vecchia era invece accade che se l'immobile è venduto a un prezzo più basso del debito residuo, la posizione debitoria con la banca resta aperta. E questa non è una differenza da poco.
La valutazione del valore dell'immobile, inoltre, sarà sempre di competenza del perito scelto dalla banca, ma con la possibilità di una “presenza” di un prito nominato dal Tribunale e/o dal mutuatario, per evitare che sia troppo basso. Un prezzo inferiore, infatti facilita la vendita, ma riduce anche
l'eventuale “eccedenza” - rispetto al debito residuo – che la banca deve versare al mutuatario una volta conclusa l'asta.
Confermata anche la divisione tra vecchi e nuovi mutuatari, con i primi che restano sotto le regole attuali (si deve cioè passare prima dal giudice) e i nuovi, decisamente più “nudi” davanti alle decisioni della banca. Un gioco in cui anche i vecchi, comunque, perdono qualcosa. Per esempio, con le nuove regole la banca estingue il debito anche se – eventualità rara – il prezzo della vendita dovesse risultare inferiore al debito residuo, mentre i “vecchi”, in questo caso, dovrebbero comunque continuare a pagare alla banca la differenza.
La scelta di strategia economica viene da lontano – dall'Unione Europea – e si configura come un'esproprio di massa del “ceto medio”, che in Italia specialmente si identifica con la proprietà della casa di abitazione, in cui ha investito tutta o quasi la propria ricchezza. Una strategia politicamente rischiosa, perché diminuisce l'incidenza sociale dell'ideologia “proprietaria” e quindi del consenso sociale al sistema.
Ma quando c'è da versare sangue altrui a favore delle banche, questo governo – esattamente com quello “europeo” - non esita neppure un attimo.
Qui di seguito, se pensate che potremmo essere troppo “ideologici” o prevenuti, l'analisi di Vito Lops, da IlSole24Ore.
Mutui, con le nuove norme crescono le disparità fra vecchi e nuovi morosi
di Vito LopsGuai a toccare la casa agli italiani. I politici sanno bene che la ricchezza, 218mila euro a famiglia, è costituita per larga parte dall'immobile di residenza. Questo spiega la bagarre sulla “direttiva mutui”. Si combatte a suon di modifiche che però rischiano di creare disparità tra “vecchi morosi” e “futuri morosi”. Una bagarre che probabilmente va al di là dei numeri, considerato che nel secondo semestre del 2015 sono finiti all'asta 28.672 immobili, peraltro in calo del 6,7% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Il tutto a fronte di compravendite annue che nel 2015 hanno superato quota 444mila. È evidente l' utilizzo strumentale ed elettorale della questione. Basti pensare che uno dei punti più contesi della direttiva è il fatto che, in caso di morosità, le banche possano espropriare direttamente il bene senza passare dalla via giudiziale. Peccato però che sullo stesso punto nessuno in Parlamento si è sognato di fare una battaglia ideologica la scorsa estate quando è stato approvato il provvedimento sulla riforma del diritto fallimentare che difatti ha già introdotto questo principio prevedendo nell'ordinamento italiano la possibilità che le banche subentrino nelle proprietà.
Da agosto gli istituti di credito possono infatti chiedere l'assegnazione dell'immobile senza dover ricorrere a società terze per partecipare alle aste come accadeva. Al netto delle ipocrisie e dell'utilizzo strumentale del tema casa va poi detto che la proposta di ieri di modifica del testo della direttiva rischia di creare molta confusione nel trattamento tra “vecchi morosi” (quelli agganciati ai mutui in essere) e “nuovi morosi” (quelli che stipuleranno i mutui in futuro che includano la nuova clausola). Rischiando di creare disparità anche tra gli altri Paesi europei che adotteranno la direttiva senza modifiche (fermandosi alle sette rate).
Questo perché l'ultima modifica vuole ampliare da sette a 18 rate il “bonus” a vantaggio del debitore prima che la banca possa - senza passare dalla via giudiziale come accade e continuerà ad accadere sui mutui in essere - espropriare l'immobile. C' è un altro punto di forte disparità. A conti fatti i “nuovi morosi” perdono il filtro giudiziale (che in ogni caso, dopo varie lungaggini, porta nella maggior parte dei casi comunque all'esproprio anche per i “vecchi morosi” ) ma guadagnano, oltre al bonus delle rate da saltare (da sette a 18), anche una maggiore garanzia sul prezzo di vendita. La bozza di modifica prevede infatti la presenza di un perito del Tribunale e di un esperto di fiducia del mutuatario, volta a garantire che l'immobile non venga “svenduto” rispetto al valore di mercato.
La banca può trattenere dalla vendita della casa solo quanto ancora dovuto ed è obbligata a restituire al consumatore l'eventuale eccedenza. Ma soprattutto, è anche previsto che in ogni caso il trasferimento del bene immobile alla banca comporta l'estinzione del debito anche se il valore dell'immobile è inferiore a quello del debito residuo. Per i morosi della vecchia era invece accade che se l'immobile è venduto a un prezzo più basso del debito residuo, la posizione debitoria con la banca resta aperta. E questa non è una differenza da poco.
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