Gli economisti si difendono: ma
che colpa abbiamo noi?
Previsioni sbagliate, tracolli inattesi. Gli studiosi (nel mirino)
alzano la voce: “Le nostre sono solo analisi, purtroppo non sappiamo
comunicare”
Dalla crisi globale del 2008 in poi, gli economisti sono sotto attacco.
“Possibile che tutta la loro scienza (ma sarà poi davvero una scienza?) non
abbia potuto prevenire il disastro?” si chiedono in molti. Il guaio? I
modelli usati in economia – dicono i critici – sono semplificazioni utili sulla lavagna ma tropo astratte per poter dire
qualcosa di vero sul mondo.
“C’è un fraintendimento” spiega
al Venerdì uno dei maggiori
economisti di oggi, Dani Rodrik, docente a Harvard e autore di Ragioni e torti
dell’economia (Egea, pp. 240, euro 11,90). “E’ vero che i modelli semplificano,
ma è proprio questo il loro valore: sfrondando una questione da elementi che potrebbero
confondere, i modelli consentono agli studiosi di isolare, e studiare in modo
scientifico, la
cosa più importante: la relazione tra cause ed effetti” aggiunge Rodrik, è pensare che l’economia consista nel cercare il modello “giusto”, il toccasana, e fissarsi su questo: i modelli servono solo a spiegare aspetti parziali di un fenomeno, e il ruolo dell’economia è produrne in quantità”. E gli economisti non lo fanno? “Sì, ma sono i peggiori nemici di loro stessi, perché non sanno comunicare al pubblico la grande varietà dei modelli che la loro professione produce” risponde Rodrik. “Così molti finiscono per credere che gli economisti siano solo apologeti del mercato e della necessità di non interferire con esso. In realtà molta parte dell’economia riguarda invece i fallimenti del mercato e come si possa rimediare ad essi.” Per Rodrik la crisi del 2008 non è stata una sconfitta della scienza economica, ma solo l’effetto di una cattiva scelta tra la varietà di modelli a disposizione per prevenirla.
cosa più importante: la relazione tra cause ed effetti” aggiunge Rodrik, è pensare che l’economia consista nel cercare il modello “giusto”, il toccasana, e fissarsi su questo: i modelli servono solo a spiegare aspetti parziali di un fenomeno, e il ruolo dell’economia è produrne in quantità”. E gli economisti non lo fanno? “Sì, ma sono i peggiori nemici di loro stessi, perché non sanno comunicare al pubblico la grande varietà dei modelli che la loro professione produce” risponde Rodrik. “Così molti finiscono per credere che gli economisti siano solo apologeti del mercato e della necessità di non interferire con esso. In realtà molta parte dell’economia riguarda invece i fallimenti del mercato e come si possa rimediare ad essi.” Per Rodrik la crisi del 2008 non è stata una sconfitta della scienza economica, ma solo l’effetto di una cattiva scelta tra la varietà di modelli a disposizione per prevenirla.
“Chi doveva decidere ha preso in
considerazione solo modelli focalizzati sull’efficienza dei mercati finanziari
e la disciplina di mercato, in realtà c’erano modelli alternativi nella letteratura
economica, incentrati su bolle e distorsioni negli incentivi, che avrebbero
portato tutti a essere più+ cauti. Economisti come Bob Shiller avevano messo in
guardia sugli sviluppi del mercato immobiliare prima che la bolla scoppiasse,
ma i politici hanno creduto di più nei modelli mirati all’efficienza del
mercato”. Il problema non ‘è l’economia, è la scelta.
Il Venerdì di Repubblica– 26
febbraio 2016
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