Non solo Colonia. Quelle terribili storie di viaggio e violenza sulle donne in fuga verso la Germania
Lo abbiamo letto su tutti i giornali quello che è successo a Colonia in Germania, dove un gruppo di immigrati ha molestato in massa la notte della vigilia di Capodanno centinaia di donne tedesche.... Di fronte a un episodio del genere capire cosa davvero è successo e soprattutto arginare le reazioni di pancia del “noi contro loro”, del “vengono qui e fanno quel che vogliono”. È difficile, ma necessario. Alzare lo sguardo, raccontare un’altra storia, altrettanto drammatica, ma dove le parti (a volte) sono invertite può aiutare a concentrarsi sulla reale questione di tutto questo, che più che un noi-loro, è il tema della violenza sulle donne.
Il 2 gennaio il New York Times ha pubblicato un reportage firmato da Katrin
Bennhold che racconta la storia di alcune donne in fuga dai Paesi islamici e dalla guerra, costrette, nel loro disperato viaggio verso la Germania, a subire molestie da una immensa varietà di uomini, anzi di maschi. Scafisti, trafficanti, ma qualche volta anche poliziotti o membri dell’esercito. Di un paese europeo, non di un Paese musulmano. Una donna siriana durante il viaggio è stata costretta a pagare con ripetute prestazioni sessuali durante il tragitto il debito che il marito aveva con i contrabbandieri che li stavano portando in Germania. Un’altra è stata picchiata fino a perdere i sensi da una guardia carceraria ungherese perché aveva rifiutato le sue avances. Anche Esraa al-Horani ha una storia da raccontare al quotidiano statunitense, faceva la make up artist, poi ha deciso di partire alla ricerca di un futuro migliore. Lontano dalla guerra e dalla fame. Sapeva però che il viaggio sarebbe stato pericoloso e così ha ideato uno stratagemma; così ha affrontato la traversata verso l’Europa travestita da ragazzo e senza lavarsi, per tenere lontani gli uomini del suo gruppo di rifugiati e evitare stupri e molestie sessuali. Ora si trova in una casa di accoglienza a Berlino, dorme ancora con gli stessi indumenti e, come molte altre donne qui, la notte spinge un armadio davanti alla sua porta. Per sentirsi almeno un po’ più al sicuro. «Qui non esiste una chiave o un lucchetto» (il servizio di accoglienza non può fornirne perché è stato necessario tagliare i costi ndr) dice Esraa, che è una delle poche donne che ha avuto il coraggio di rivelare il proprio nome, perché in questa situazione, a una donna fa paura anche solo rivelare il proprio nome. Meglio nascondersi, passare inosservate, fingere di non esistere. Esraa è stata fortunata, dice: «Mi hanno solo picchiata e derubata». Ad altre è andata peggio.
Il 2 gennaio il New York Times ha pubblicato un reportage firmato da Katrin
Bennhold che racconta la storia di alcune donne in fuga dai Paesi islamici e dalla guerra, costrette, nel loro disperato viaggio verso la Germania, a subire molestie da una immensa varietà di uomini, anzi di maschi. Scafisti, trafficanti, ma qualche volta anche poliziotti o membri dell’esercito. Di un paese europeo, non di un Paese musulmano. Una donna siriana durante il viaggio è stata costretta a pagare con ripetute prestazioni sessuali durante il tragitto il debito che il marito aveva con i contrabbandieri che li stavano portando in Germania. Un’altra è stata picchiata fino a perdere i sensi da una guardia carceraria ungherese perché aveva rifiutato le sue avances. Anche Esraa al-Horani ha una storia da raccontare al quotidiano statunitense, faceva la make up artist, poi ha deciso di partire alla ricerca di un futuro migliore. Lontano dalla guerra e dalla fame. Sapeva però che il viaggio sarebbe stato pericoloso e così ha ideato uno stratagemma; così ha affrontato la traversata verso l’Europa travestita da ragazzo e senza lavarsi, per tenere lontani gli uomini del suo gruppo di rifugiati e evitare stupri e molestie sessuali. Ora si trova in una casa di accoglienza a Berlino, dorme ancora con gli stessi indumenti e, come molte altre donne qui, la notte spinge un armadio davanti alla sua porta. Per sentirsi almeno un po’ più al sicuro. «Qui non esiste una chiave o un lucchetto» (il servizio di accoglienza non può fornirne perché è stato necessario tagliare i costi ndr) dice Esraa, che è una delle poche donne che ha avuto il coraggio di rivelare il proprio nome, perché in questa situazione, a una donna fa paura anche solo rivelare il proprio nome. Meglio nascondersi, passare inosservate, fingere di non esistere. Esraa è stata fortunata, dice: «Mi hanno solo picchiata e derubata». Ad altre è andata peggio.
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