Enrico Bondi da
superconsulente di Monti ad amministratore delegato dell’Ilva
Bruno Ferrante dà l'annuncio ai lavoratori del gruppo
siderurgico spiegando che l'autore della spending review nonché selezionatore
dei candidati di Scelta Civica era già consulente dei Riva
Per il
supercommissario Enrico Bondi non c’è crisi che tenga. A inizio gennaio
si era dimesso dall’incarico di commissario per la spending review per
tentare di sedare le polemiche sollevate dal leader Pd, Pierluigi Bersani,
che non gradiva il cumulo di poltrone e soprattutto il ruolo di selezionatore
di curricula degli aspiranti candidati con Mario Monti in
Scelta Civica. E a distanza di neanche tre mesi, ecco che per il manager
aretino arriva un nuovo importante incarico: quello di amministratore delegato
dell’Illva di Taranto di proprietà del gruppo Riva. In realtà, come
precisa il presidente dell’azienda pugliese, Bruno Ferrante, Bondi, che
ai tempi della spending review era anche commissario per il disavanzo della
Sanità nel Lazio, lavora già da tempo come consulente per il gigante
siderurgico, ma ne diventerà ad nell’assemblea di approvazione del bilancio
2012. Un contratto che, come ha spiegato Ferrante, ha permesso a Bondi di
”entrare nei meccanismi aziendali ”. ”Noi daremo a questa società una struttura
nuova – ha spiegato il presidente dell’Ilva – Ci sarò io come presidente, ma mi
affiancherà un professionista esterno di larga fama come il dott. Enrico Bondi
che si è occupato di ristrutturazioni di tantissime aziende
importanti”. L’ultima, in ordine cronologica è stata Parmalat di
cui, dopo il crac del 2003, è stato prima commissario straordinario per il
risanamento e poi amministratore delegato della nuova Parmalat spa, quotata in
Borsa, e finita nelle mani della francese Lactalis cui faceva gola la
cassa (un miliardo e mezzo circa) racimolata dal manager aretino grazie ad una
serie di cause vinte con le banche accusate di essere state complici
dell’ex re del latte, Callisto Tanzi. Una gestione commissariale
impeccabile che ha dato un taglio ad un passato fatto di aerei di famiglia,
auto di servizio e sconti ai dipendenti sui prodotti della casa fruttando a
Bondi e al suo staff (legali e contabili, inclusi) la stratosferica cifra di 32
milioni di euro. Una cifra decisa dal Comitato di sorveglianza del
ministero delleAattività produttive e considerata un adeguato compenso per il
rilancio di Parmalat dove il manager aretino ha fatto in tempo anche ad
assumere nell’equipe dirigenziale il figlio del premier uscente di Scelta
Civica, Giovanni Monti, messo poi alla porta dal nuovo azionista
francese. In precedenza il nome del risanatore di Parmalat si era legato a
quello della famiglia Ligresti che lo aveva voluto nel 2002 alla guida
di Premafin, la holding che controlla la compagnia assicurativa Fondiaria-Sai,
che ha chiuso il 2012 con un rosso di 800 milioni ed è convogliata a nozze con
Unipol non senza il dissenso dei piccoli soci e degli azionisti di risparmio. Ma l’incarico non ebbe lunga vita
per via di uno scontro con il costruttore Salvatore Ligresti che non gradiva i
metodi di Bondi. Più lunga invece fu la permanenza in Montedison che ne
consacrò l’ascesa di manager-ristrutturatore. All’inizio degli anni ’90, il
gruppo, di proprietà dei Ferruzzi, si trova sommerso dai debiti e così
viene ceduto ad un pool di banche con capofila la Mediobanca di Enrico
Cuccia. Fu proprio quest’ultimo che lo volle alla guida di Montedison, che
all’epoca era una holding cui facevano capo una serie di attività strategiche
per il Paese. Fra queste, le assicurazioni Fondiaria-Sai, gli zuccherifici Eridania
Beghin Say, i semioleosi Cereol e l’olio d’oliva Carapelli, nonché la
futura Edison. Tutti asset, ad eccezione della sola Fondiaria, che sono
finiti nelle mani di investitori stranieri anche per mano di Bondi cui
Cuccia chiese di cedere asset per risanare il bilancio Montedison. Anche in
quel caso quindi si trattò di una operazione da grande risanatore. A modo suo. Eppure
per personaggi di spicco che guardano l’Italia dall’estero Bondi, che fu uno
dei 45 uomini capitalismo italiano che, nell’aprile 2007, firmò, assieme a
Cuccia, una lettera al Parlamento con cui si domandava la depenalizzazione del falso
in bilancio realizzata poi dal secondo governo di Silvio Berlusconi,
non è altro che un tagliatore. Per
Luigi Zingales, bocconiano di 49 anni con una cattedra di economia alla
Chicago University, il manager aretino sarebbe stato quasi un idolo cui
ispirarsi per il premier uscente che ” ha contenuto i danni sull’orlo della
bancarotta” ed è ”il Bondi della politica: chiamato a salvare un’azienda al
collasso, come Enrico Bondi a Montedison e Parmalat, taglia ma non rilancia”. A guardare il curriculum di Bondi,
una cosa sembra certa: l’ex manager della spending review è un uomo di
sistema. Di quel sistema delle banche italiane che gioca ancora al risiko
industriale a spese di cittadini e lavoratori.
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