di Carmine Fotinacon un articolo di Giorgio Santilli sole 24 ore
In una fase di crisi acuta ogni dato negativo ne precede un altro, gli indici di sfiducia sembrano tramutarsi in una sequenza di segni meno secondo un perverso meccanismo di contagio. Non sorprende dunque la linearità con la quale i principali indicatori dell'economia reale segnalano in questa prima parte di 2013 il rischio di un ulteriore allontanamento della ripresa e pongono l'ineludibile urgenza di un governo che adotti tempestivi interventi per raddrizzare la barca.
Numeri alla mano, le priorità o emergenze che dir si voglia sono chiarissime (si veda Il Sole 24 Ore di ieri): occupazione e rifinanziamento della cassa in deroga, credit crunch, alleggerimento della pressione fiscale giunta a livelli record, gestione delle crisi di impresa in costante aumento, semplificazioni contro gli eccessi da burocrazia, cura da cavallo per la produttività. Oltre al noto sblocco dei pagamenti della Pa che però, avvisa con chiarezza Banca d'Italia, porterà effetti già nel 2013 solo se le misure saranno operative in tempi rapidi, senza ulteriori indugi. Ma una fotografia fedele della situazione non può esaurirsi qui: l'atlante ragionato della crisi offre un ventaglio molto più ampio di indicatori, dall'industria in senso stretto ai consumi. Da qualsiasi lato si osservi, l'economia reale si presenta come un malato in attesa di cure radicali ed urgenti.
Dopo anni di scarsa attenzione alla politica industriale, la manifattura annaspa e perde colpi nei confronti internazionali. Un'analisi aggiornata a novembre 2012 (si veda Il Sole 24 Ore del 16 marzo) rileva che la manifattura ha perso oltre il 20% del suo fatturato interno rispetto al massimo di febbraio 2008. Da allora, si sono volatilizzati quasi 50 miliardi di euro di valore aggiunto dell'industria italiana in senso stretto (a prezzi concatenati 2005). Anche gli ultimi dati Istat confermano l'emorragia: a gennaio, il fatturato dell'industria, al netto della stagionalità, è calato dell'1,3% rispetto a dicembre 2012. In termini tendenziali, l'indice grezzo del fatturato è diminuito dello 0,6 per cento. Resta negativo anche l'andamento degli ordinativi (-1,4% su base congiunturale e -3,3% su base annua).
I numeri della crisi industriale si fanno ancora più amari nel Mezzogiorno. Non bastano le statistiche sempre più nette sullo storico divario con il resto del Paese (tra il 2007 e il 2012 Pil ridotto del 10% a fronte del -5,7% del Centro-Nord), perché a queste si aggiunge il drammatico dato del Censis sulle 7.600 imprese manifatturiere meridionali che hanno chiuso i battenti tra il 2009 e il 2012. Fotografia di una macroarea a reale rischio di deindustrializzazione. Si è scritto molto dell'export come freccia al'arco dell'economia meridionale, ma qui vale lo stesso discorso da fare in chiave nazionale: non ci può essere vera ripresa aggrappandosi solo ai mercati esteri. L'urgenza di interventi veloci si evince del resto anche dall'asfissia delle del mercato interno. A gennaio le importazioni sono diminuite dell'1,8%, a indicare anche una scarsa propensione agli investimenti, e la domanda interna complessiva non offre segnali più incoraggianti: nell'ultimo trimestre 2012 calo annuo del 3,9% per i consumi finali e del 7,6% per gli investimenti fissi lordi.
I freddi numeri dei vari centri di statistica sono, in sostanza, già una traccia per il governo che verrà. Il nuovo esecutivo, da formare necessariamente in tempi stretti di fronte a questo scenario, dovrà mettere tra le priorità delle prime settimane il rilancio industriale e una terapia seria per rivitalizzare investimenti e consumi.
I freddi numeri dei vari centri di statistica sono, in sostanza, già una traccia per il governo che verrà. Il nuovo esecutivo, da formare necessariamente in tempi stretti di fronte a questo scenario, dovrà mettere tra le priorità delle prime settimane il rilancio industriale e una terapia seria per rivitalizzare investimenti e consumi.
Ulteriori indicatori utili, se ancora ce ne fosse bisogno, sono il commercio al dettaglio, ancora in calo a inizio anno, e la fiducia dei consumatori. Le aspettative, anche di fronte alla prolungata incertezza politica, sono ancora segnate da un prevalente pessimismo: a marzo l'indice del clima di fiducia dei consumatori è sceso a 85,2 da 86,0 del mese precedente, effetto della diminuzione sia della componente riferita al quadro economico sia di quella relativa al clima personale.
30 marzo 2013
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