La Teleperformance ripropone a meno di un anno (dopo che i lavoratori subiscono già una riduzione salariale da giugno scorso) licenziamenti per 712 lavoratrici e lavoratori.
La Teleperformance piange crisi, chiede interventi del governo contro la concorrenza, e per ulteriori e più lunghi sgravi, ecc., ma non dice che in tutti questi anni ha fatto begli utili. Prima, facendo lavorare con contratti a progetto in condizione di continuo ricatto occupazionale (l’azienda dichiara che nel 2007 quando fu costretta a stabilizzare perse 900mila euro, ma non dichiara quanto ne aveva guadagnato prima tenendo i lavoratori a progetto); nessuno poi può dimenticare le pressioni aziendali, l'odiosa e illegale politica aziendale dei "controlli", i turni massacranti, le condizioni di lavoro e ambientali a rischio salute, le ferie forzate e varie altre irregolarità che hanno causato negli anni condizioni di iperstress a molti lavoratori lavoratrici (quel "tecnostress" già riconosciuto come patologia specifica dal giudice Guariniello di Torino, e che alcuni film hanno ben rappresentato, benchè sempre al di sotto della realtà effettiva). Dal 2007, poi ha fatto utili ottenendo sgravi e contributi sia dal governo che dalla Regione – pur quando, non rispettando gli impegni, ha continuato ad assumere lavoratori a progetto.
Nessuno ha il diritto di dimenticare tutto questo, ora che Teleperformance “piange miseria”, ora che dice che “in Italia non ha mai prodotto utili” e avrebbe messo di tasca propria “le risorse per pagare gli stipendi e andare avanti” (avrebbe, quindi, fatto beneficenza?); ora che scarica la crisi sui lavoratori.
Nessuno può “giustificare” una multinazionale, come appunto è Teleperformance, che taglia in Italia, ma, come tutti i bravi capitalisti, allarga le attività all’estero in paesi (Albania, Grecia, Portogallo) dove può ridurre al massimo il costo del lavoro e i diritti dei lavoratori. E padron Ghetti – amministratore di Teleperformance - può dichiarare tranquillamente: “…è normale per un’azienda cercare condizioni migliori per stare sul mercato..”. E nessuno gli dice niente! Nessuno dice che i lavoratori invece non possono trovare “sul mercato” altri posti di lavoro…
Nessuno può avallare l'altra giustificazione della azienda circa la questione della “concorrenza”. L’azienda dice: “o tutti stabilizzano i lavoratori oppure il prezzo da pagare per chi rispetta la normativa è il licenziamento dei dipendenti”. Ma questo ragionamento è inaccettabile! Ha tutto il sapore di un ricatto, della serie “se io devo seguire le leggi, allora licenzio”. TP vuole far passare per suo merito l’aver stabilizzato i lavoratori, lì dove è solo un dovere dopo anni in cui anche TP ha agito illegalmente.
Ma anche sul problema degli altri concorrenti è bene riportare le cose con i piedi per terra: “sul territorio Jonico – scrive il Corriere della sera del 18 maggio – esistono 19 microaziende, agili, leggere, un po’ sommerse che fanno concorrenza al pachiderma Teleperformance. Trecento addetti ingaggiati a progetto e semiprecari (che si accontentano di 4-500 euro al mese) fronteggiano i duemila stabilizzati della multinazionale francese. Questi piccoli call center si accontentano di acquisire piccoli clienti…”. Quindi, fermo restando che per i lavoratori che operano in questi call center in condizioni di superlavoro, sottosalario e senza contratto è giusto chiedere l’intervento degli Enti statali per imporre il rispetto di norme e contratti, è però, assurdo che TP metta sullo stesso piano sé stessa, multinazionale, e questi call center banditi: è come il fastidio che può dare una mosca ad un elefante… Ma siamo seri!
Così, siamo chiari sulla questione del “massimo ribasso”! Noi denunciamo da anni su vari appalti la questione del “massimo ribasso” che vede unite aziende, governo, istituzioni (anche se poi rappresentanti istituzionali fanno dichiarazioni ipocrite come se scoprissero l’acqua calda) e il fatto soprattutto che il massimo ribasso delle aziende viene pagato sempre dai lavoratori con condizioni di lavoro e salario al “massimo ribasso”, ma Teleperformance non può fare la innocentina, la rispettosa delle regole solo quando viene penalizzata, e invece usare la stessa politica del “massimo ribasso” appena la può fare in Italia, come all’estero.
In tutto questo chi ci perde sono solo le lavoratrici, i lavoratori che si vedono dopo anni di timori del posto di lavoro, poi la raggiunta stabilizzazione, messo di nuovo a rischio il loro futuro e quello dei loro bambini. Allo sciopero del 13 maggio davanti all'azienda vi erano anche tanti bambini, alcuni piccolissimi. Le lavoratrici che sono la maggioranza in questa azienda hanno detto che questi, 500, sono i “figli del passaggio a tempo Indeterminato” (dopo anni di contratti a progetto), della speranza di un lavoro stabile e quindi della possibilità di programmare il proprio futuro. Oggi invece, se passassero questi licenziamenti (quasi la metà dei lavoratori), questi bambini, insieme alle loro madri verrebbero ricacciati in una precarietà di vita. “Per noi, per questi nostri figli, lotteremo fino in fondo” - hanno detto le lavoratrici.
Ma occorre in questa battaglia una autonomia di linea e di lotta da parte delle lavoratrici e dei lavoratori, non mischiando i loro seri interessi né con quelli aziendali né con quelli di rappresentanti di partiti e istituzioni il cui sostegno ai lavoratori a volte non è genuino.
I partiti, i parlamentari di Taranto, soprattutto quelli del centrosinistra, hanno fatto di Teleperformance negli anni un bacino di voti, concordando con l’azienda in periodi elettorali addirittura assemblee in fabbrica per fare propaganda elettorale. Oggi stanno tutti a giustificare l’azienda, a farsi portavoce delle sue denunce e richieste, e cercano di deviare i lavoratori da una necessaria lotta indipendente e di legarli agli interessi aziendali, come se lavoratori e Teleperformance fossero nella stessa barca.
QUESTA E’ LA POLITICA DI TUTTI I PADRONI: PRIVATIZZARE I PROFITTI E SOCIALIZZARE LE PERDITE
NESSUN LICENZIAMENTO DEVE PASSARE!
NESSUNA ULTERIORE RIDUZIONE DI ORARIO E SALARI!
E' LA VITA DELLE LAVORATRICI, DEI BAMBINI CHE VALE, NON IL PROFITTO!
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