Il 20 giugno le operaie della Montello (BG) sono scese in sciopero. Questa volta la lotta è per il riconoscimento dello Slai cobas per il sindacato di classe, il diritto d'assemblea contro la repressione padronale e contro la cassintegrazione che l'azienda vuole prolungare, con un accordo - che la Cgil sta per sottoscrivere - che la rende ancora peggiore di prima, prolungata e con minaccia di esuberi.
Lo sciopero è andato bene: le operaie hanno fatto presidi e assemblee davanti alla fabbrica in tutti e 4 i turni. Le operaie sono "caricate", combattive e determinate.
Due anni fa queste operaie, quasi tutte immigrate, fecero una lunga e importante battaglia per ottenere il pagamento della pausa mensa. In questa lunga lotta emerse con forza la condizione di sfruttamento, di discriminazione, l'oppressione generale che come donne e immigrante vivono.
Ne parlammo anche in questo opuscolo "360°" - Riportiamo una parte che vogliamo riconsegnare soprattutto a queste combattive operaie.
Per richiedere l'opuscolo: mfpr.naz@gmail.com |
Nell'intervista ad un certo punto una delle operaie dice alla compagna che le sta intervistando: “abbiamo bisogno di persone istruite cosi noi prendiamo più audacia”. In un certo senso questo è il rapporto giusto, niente affatto da “imperialista di sinistra o buonista”, ma il rapporto necessario. Cioè una compagna che conosce di più, oggettivamente, perché anche ha fatto storicamente delle lotte, perchè impegnata sul fronte della battaglia culturale, si mette al servizio della lotta delle operaie per dare loro voce.
Il problema, dice di fatto l'operaia: 'non è che tu devi sostituire me, ma tu devi dirmi le cose che io non posso sapere, oppure non riesco perché non so la lingua. Anche sul lavoro il padrone mi dice che devo firmare subito e si tiene il contratto perché io non lo possa leggere, ma io prima di firmare vorrei sapere che sto firmando. Quindi serve che ci sia qualcuno invece che mi dia questa possibilità”. Poi siamo noi, il nostro coraggio che ci fa fare le lotte, ci fa andare avanti ecc…
Un’altra cosa importante - che traspare da questo video - è l’inchiesta, come fare l'inchiesta. Nel senso che, io non devo parlare “su” ma devo far parlare i fatti... Ecco questa alle operaie della Montello è una dimostrazione di come si fa inchiesta, in cui le protagoniste sono quelle operaie, sono loro che parlano; tu fai l’inchiesta nel momento in cui non sovrasti, permetti alle operaie di parlare. E non si tratta solo di una denuncia o di raccontare, ma di cosa ha significato per la loro vita le battaglie che fanno, quale emancipazione: “come donne noi dobbiamo farci valere, ci devono rispettare...”, dicono.
Anche su questo è emblematica la lotta delle operaie della Montello.
Questa lotta era iniziata come Slai Cobas per il sindacato di classe, ad un certo punto, in occasione
dello sciopero delle donne dell’8 marzo, sono cominciate ad intervenire in particolare le compagne di Milano del Mfpr. Questo è stato anche per tutte noi un insegnamento, il fatto che lotta sindacale e lotta delle donne vanno insieme ma sono anche differenti.
Cioè le lavoratrici lottano sul terreno sindacale, in una organizzazione sindacale di base, di classe, questo è chiaramente importante. Ma ci vuole il ruolo del femminismo proletario rivoluzionario, ci vuole, perché spesso le lavoratrici sono le più attive nella lotta sindacale, le più determinate, le più combattive, però manca un elemento in termini di decisione, in termini di portare con forza la doppia ragione come donne. Questo non avviene spontaneamente a livello sindacale, e quindi qui serve il passaggio, che non è mettere da parte l’aspetto della lotta sindacale, ma ci vuole l’intervento delle compagne, ci vuole la linea del femminismo proletario rivoluzionario.
Perché le lavoratrici migranti si autorganizzino, lottino è necessario, quindi, non solo l’intervento sindacale per ottenere dei risultati, ma quel lavoro in più e quel rapporto in più che solo in una battaglia come donne, come compagne può esserci, non avviene nè spontaneamente, nè il sindacato di per sè lo può portare. E questo non solo per la presenza anche nei sindacati di base di concezioni e prassi sessiste - posizioni e atteggiamenti che influenzano e sono presenti anche tra i lavoratori, verso cui quando viene fuori il razzismo la prima cosa non è spiegare ma porre con nettezza e anche durezza uno stop, dopo di che parliamo, ti spiego anche perché è giusto essere solidali, uniti lavoratori italiani e migranti -; ma perchè il sindacato, per quanto buono, è l'organizzazione di difesa dei lavoratori, di lotta per strappare condizioni migliori, non è l'organizzazione per fare la rivoluzione proletaria e per creare le condizioni, l'organizzazione necessaria delle donne perchè le donne proletarie siano avanguardia per la rivoluzione nella rivoluzione...
Un’altra cosa che viene fuori. Se facessi un’inchiesta tra gli operai ci direbbero le condizioni dure di lavoro, gli attacchi al salario, come stanno le cose in fabbrica, ecc… Parli con una donna e ti dice in mezz’ora le condizioni di lavoro, ti dice dei figli, ti dice della famiglia, ti dice come viene trattata senza rispetto... Cioè ti dice tutto.
Allora, un atteggiamento basista, economicista è sbagliato, è sbagliato sempre, anche con i lavoratori maschi, ma con le donne a maggior ragione, anche perché non c’è ragione. Quando dicono: che vita dobbiamo fare? Sarebbe stato meglio rimanere in Africa. L’Europa? Noi avevamo tutta una bella illusione sull’Europa, poi veniamo e vediamo che stiamo quasi peggio di prima, ecc. In un certo senso si pongono problemi per cui l’unica risposta è “un’altra vita”, cioè “tutta la vita deve cambiare”, e quindi si pone il come e che tipo di lotta.
La forza delle proletarie italiane e la forza dell’immigrate sono una forza esplosiva, sono una forza in più per porre la questione del lavoro lungo, difficile e complesso che noi chiamiamo rivoluzionario. Per le donne è come se questo è più facile perché le hanno passate tutte, per le migranti è come se passano ancora di più tutte le oppressioni e le forme di sfruttamento, vivono direttamente sulla loro pelle e vita sia che significa oppressione feudal patriarcale, sia che significa l’oppressione nella realtà di capitalismo avanzato.
In un certo senso la lotta delle operaie della Montello ricorda il film “7 Minuti”. Il film racconta di una fabbrica di cui ad un certo punto cambia la società, cioè il padrone; le operaie avevano paura che ci fossero parecchi licenziamenti, che fossero peggiorate tutte le condizioni di lavoro, ecc… No, su quello tutto rimane come prima. Qual’era allora il problema? Il problema è che volevano ridurre di 7 minuti la pausa. In tutto il film c’è uno scontro anche tra le operaie, nel caso anche delegate, in cui la maggior parte diceva: “scusate, non ci toglie il lavoro, non lo peggiora… e va be’ 7 minuti che saranno?”. Ma via via nel film l’operaia più anziana spiega perché questi 7 minuti sono importanti e le altre lo comprendono.
Ecco questo film parla anche della lotta delle operaie della Montello. Queste operaie in fondo, rispetto ad altre situazioni di lavoratrici immigrate che sono veramente da schiavismo, da lavoro nero, loro ce l’hanno il contratto, prendono il salario contrattuale, ecc.; il problema è che questa mezz’ora non gli viene pagata, cioè fanno la pausa e non gli viene pagata. Per loro è mezzora di vita: tu padrone, tu sindacato non è che mi stai rubando solo il salario, mi stai rubando mezzora di vita, è come in “7 minuti”, che poi non sono 7 minuti, in un anno quante ore sono? E in 5 anni? Mi stai rubando centinaia di ore di vita! Sono altre ore che in cui io dò lavoro gratis a te padrone.
Una che ti parla di “7 minuti” è come se parla di rivoluzione, a un certo punto non gli basta che è garantito il lavoro, che è garantito il contratto ecc, voglio garantito tutto! Voglio tutto! E per tutto devi fare la rivoluzione!..."
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