La Tunisia
nelle ultime settimane è attraversata da proteste e rivolte in un
contesto politico nazionale e regionale molto precario. Infatti il
cosiddetto “governo di unità nazionale” per sua composizione e interessi
particolaristici dei partiti che lo compongono è percorso da una
frattura interna che può approfondirsi in maniera irreversibile (leggi nostro articolo precedente in merito);
inoltre anche se il paese è stato tra i meno colpiti dalla pandemia in
termini sanitari, essa ha assestato un colpo ulteriore alla già precaria
e ultra indebitata economia del paese che diventa ancor più dipendente
dalle agenzie economiche internazionali e dai paesi imperialisti con
ricadute interne devastanti: aumento del già alto tasso di
disoccupazione, rallentamento della crescita, licenziamenti e carovita
all’orizzonte.
Inoltre il
piccolo paese, è stretto tra due grandi paesi nordafricani adesso
altamente instabili: in Algeria, dopo una pausa causata dalla pandemia,
sono riprese le manifestazioni “contro il sistema”, in Libia invece la
guerra non si è mai fermata, anzi si è intensificata con l’aumento
dell’ingerenza straniera in particolare di Turchia, Egitto, Francia ma
anche di Italia, Qatar, Russia e USA, quest’ultimi vorrebbero avere una
presenza militare stabile proprio in Tunisia per meglio influire in
Libia in particolare ed in Nord Africa in generale.
Su
questa polveriera è seduto il governo Fakhfakh che ha recentemente
annunciato misure di austerity giustificandole con la volontà di questo
governo di non far aumentare il debito estero del
paese, ma ciò che non viene detto esplicitamente anche se è chiaro a tutti, è che a pagare sarà sempre il popolo, i lavoratori, i contadini e i pensionati. In questo contesto è quindi inevitabile che scoppi la protesta sociale, la FTDES in un suo recente rapporto annovera 1.138 movimenti di protesta nei primi 100 giorni del governo Fakhfakh, tra i quali si annovera, lo sciopero del personale medico e sanitario dello scorso 18 giugno davanti la sede del Ministero della Sanità reclamante maggiori investimenti e tutele nel settore sanitario nazionale pubblico.
paese, ma ciò che non viene detto esplicitamente anche se è chiaro a tutti, è che a pagare sarà sempre il popolo, i lavoratori, i contadini e i pensionati. In questo contesto è quindi inevitabile che scoppi la protesta sociale, la FTDES in un suo recente rapporto annovera 1.138 movimenti di protesta nei primi 100 giorni del governo Fakhfakh, tra i quali si annovera, lo sciopero del personale medico e sanitario dello scorso 18 giugno davanti la sede del Ministero della Sanità reclamante maggiori investimenti e tutele nel settore sanitario nazionale pubblico.
Ma in due
regioni del paese, a Meknassi nel governatorato di Sidi Bou Zid e a
Tataouine (proprio a ridosso del confine libico) gli scioperi si sono
trasformati in rivolte popolari estendendosi con ricadute nazionali sia
da un punto di vista economico che politico, bloccando la produzione di
fosfati e petrolio e tutta l’industria chimica e mettendo in discussione
il governo e anche la presidenza della repubblica dato che Kais Saied
molti voti li ha presi proprio dai comitati di lotta e dai giovani in
generale.
Meknassi
fa parte del bacino minerario a cavallo tra Gafsa e Sidi Bouzid, la
protesta attuale è in realtà l’intreccio di tre vertenze:
1) dei lavoratori del GCT che estraggono i fosfati e che chiedono migliori condizioni di lavoro
2) di un
gruppo di lavoratori precari che si occupano della la manutenzione di
giardini e spazi pubblici della città, dipendenti dal GCT a cui chiedono
la stabilizzazione
3) di un
gruppo di ex-studenti organizzato nel movimento nazionale dell’UDC
(l’Unione dei Diplomati Disoccupati) che ha finito il proprio ciclo di
studi, ha vinto il concorso per entrare nel GCT ma ancora non viene
assunto.
Queste tre
vertenze si sono fuse interrompendo l’estrazione ed il trasporto dei
fosfati, dando vita a sit-in in città e lungo la linea ferroviaria
Gafsa-Sfax; l’intervento della polizia ha ottenuto l’effetto contrario
di quello sperato dal governo: invece di smantellare i sit-in la rivolta
è scoppiata in città, anche alcune locomotive dei treni trasportanti i
fosfati sono state incendiate, si sono susseguiti scontri per giorni in
una città sotto assedio.
Dinamiche
simili ma con un’ampiezza molto superiore nella regione di Tataouine ed
in particolare nel suo capoluogo dove da domenica è in atto una vera e
propria battaglia tra manifestanti e polizia che, dopo essersi ritirata
dalla città per qualche ora, è rientrata in forze supportata da rinforzi
da altre regioni e l’esercito è stato dispiegato davanti le caserme
(che regolarmente sono date alle fiamme in città) e alla sede del
governatore, nonché nei siti considerati strategici dal governo ovvero i
pozzi petroliferi.
I problemi socio-economici di Tataouine nascono con l’indipendenza e con la scelta politica di Bourguiba di marginalizzare le aree meridionali che diedero i natali alla resistenza anti-coloniale più intransigente (il movimento dei fellegha, partigiani n.d.a.) non solo verso il potere coloniale ma anche verso la frazione bourguibista del Partito Neo-Destour accusato di gradualismo prima e di connivenza con la Francia dopo l’indipendenza. Nonostante la regione sia la più ricca di idrocarburi nel paese, gli indicatori socio-economici sono tra i più bassi in assoluto rispetto alla media nazionale, queste condizioni diedero vita ad un forte movimento di protesta e di rivolta che per circa un mese espulse le istituzioni statali dalle regioni (leggi il nostro reportage). La violenta repressione poliziesca causò anche un morto tra i manifestanti investito da una macchina della polizia durante una carica.
Infine arrivò
l’accordo con il governo Chahed (il cui partito attualmente fa parte del
governo) con il patrocinio sindacale dell’UGTT, in cui si annunciarono
finanziamenti annuali e decine di progetti di sviluppo (sic!) i
sit-in regionali nel capoluogo, nelle provincie, nei villaggi e nei
luoghi produttivi che avevano dato vita ad assemblee permanenti con un
metodo decisionale dei manifestanti per la regione simil consiliarista
furono smantellati e si ritornò alla normalità… a distanza di 3 anni, il
mese scorso dopo la non applicazione degli accordi, i sit-in sono
riapparsi e anche qui, come a Meknassi, la repressione dello Stato ha
trasformato lo sciopero in aperta rivolta.
Ma ciò che ha
più gettato benzina sul fuoco è stato l’arresto di Tarek Haddad,
portavoce dei sit-in di Tataouine “ricercato dalle autorità”, per
“oltraggio a pubblico funzionario”, “partecipazione a assembramento di
natura pregiudizievole per la pace pubblica”, “oltraggio tramite social
media” e “impedimento alla circolazione della strada per la forza”; in
una parola “colpevole” di essere uno degli organizzatori del movimento
di protesta.
Da tre giorni
ormai si susseguono gli scontri per le vie di Tataouine con centinaia di
manifestanti che rispondono ai gas lacrimogeni e alle cariche della
polizia erigendo barricate, dando fuoco a pneumatici e utilizzando tutto
ciò che possa servire a tenere le strade della città. Alcune
testimonianze parlano di una città assediata in cui i gas lacrimogeni
vengono lanciati anche dentro le abitazioni.
Anche
questa volta, come nel 2017, circolano versioni fantasiose e allo
stesso tempo infamanti che vorrebbero i manifestanti manovrati da
fazioni islamiste in un largo spettro politico che andrebbe dalla
Fratellanza Musulmana rappresentata da Ennahdha (che tra l’altro è il partito di maggioranza relativa nel governo) passando per gruppi salafiti e arrivando fino a Daech (l’ISIS).
La realtà è ben diversa: testimonianze dirette e immagini indipendenti mostrano una diffusa resistenza popolare con una presenza femminile, agli attacchi della polizia.
Contemporaneamente al diffondersi di tali fake news, i
giornalisti che provano a diffondere le immagini e notizie reali di
quello che sta avvenendo in questi giorni, sono ostacolati nel loro
lavoro dalla polizia come testimoniato da alcuni video diffusi dall’agenzia stampa Tunisie Numerique. Inoltre in questi giorni la sede di Radio Tataouine è stata presa d’assalto dalla polizia provocando feriti (vedi video 1 e video 2).
Intanto
a spazzare vie tutte queste sciocchezze ci pensano gli studenti
universitari della regione limitrofa di Mednenine che hanno
solidarizzato con i manifestanti di Tataouine subendo la repressione
della polizia con conseguenti scontri anche lì e anche i manifestanti di
Meknassi sono scesi in piazza con cartelli solidali con Tataouine,
domani è prevista una manifestazione simile di solidarietà in un’altra
regione del sud: Gabés.
Attualmente a
Tataouine c’è una situazione di stallo, il governo non sembra prendere
iniziativa per risolvere le istanze della regione e si limita a
ricorrere solo alla repressione poliziesca con la speranza di zittire i
manifestanti, il due luglio è prevista la prima udienza in tribunale per
Tarek Hadded, intanto nel pomeriggio di mercoledi 24 luglio Hadded è
stato rimesso in libertà, segno esito positivo di una contrattazione
durante una giornata di “tregua” in cui non vi sono stati scontri.
Sul fronte
sindacale l’UGTT aveva proclamato uno sciopero generale nella regione
che però è stato respinto dai portavoce dei sit-in…
Questo fatto che può sembrare contraddittorio ma ha la sua radice in due questioni:
1) la
differenza organizzativa che intercorre tra l’organizzazione sindacale
(urbana e “importata” dal Nord) e la struttura organizzativa “tribale”
dei manifestanti persistente; era successo nel 2017 che alcuni solidali
provenienti da Tunisi, anche se non appartenenti ai partiti politici
istituzionali o all’UGTT, pur essendo accolti fossero trattati con
iniziale diffidenza dai manifestanti di Tataouine.
2) il ruolo a
volte negativo da “ammortizzatore sociale” che ricopre l’UGTT quando
interviene interponendosi tra alcune lotte ed il governo con il
risultato di spegnere la lotta senza raggiungere risultati considerevoli
per i soggetti in lotta, tendendo una mano sostanzialmente al governo (come da noi analizzato nel 2017 proprio al riguardo di Tataouine).
Questo i manifestanti di Tataouine lo hanno imparato dagli eventi di 3
anni fa e adesso non vogliono che questa storia si ripeta.
Nel
primo caso si dovrebbe trovare una sintesi tattica per utilizzare
entrambi gli strumenti: l’organizzazione della popolazione come spina
dorsale e il supporto dei lavoratori di altri settori organizzati
dall’UGTT; ciò è possibile solo se l’UGTT, in particolare la segreteria
nazionale, rinunci a velleità egemoniche per meri tornaconti
particolaristici riconducibili al fatto di guadagnare terreno nel
rapporto di forza tra se stessa ed il governo.
Intanto il
presidente della repubblica Kais Saied è di rientro dalla visita di
Stato in Francia dove a margine della conferenza stampa con Macron è
stato accolto da alcuni tunisini residenti con cori di “dégagé” e
“Tataouine, Tataouine”, un manifestante ha provocato l’ira del
presidente affermando che anche lui, nonostante avesse parlato di
sviluppo locale e territoriale ha gettato solo sabbia negli occhi non
intervenendo in maniera costruttiva sui problemi sociali di questi
giorni. Infine con una nota il presidente ha annunciato che organizzerà
un incontro con i manifestanti di Tataouine nei prossimi giorni.
Il problema vissuto da regioni marginali
della Tunisia come Tataouine sicuramente è legato alla natura
neocoloniale del paese in cui le risorse nazionali sono svenduta
all’imperialismo dalla borghesia burocratica-compradora al potere ma
anche da come si è sviluppato storicamente la costruzione dello Stato
nazionale semi-indipendente proprio da questo tipo di borghesia
parassitaria che ha favorito alcune regioni piuttosto che altre
riproponendo all’interno del paese alcune dinamiche proprie dell’ex
potere coloniale, dinamiche ben analizzate illo tempore da Frantz Fanon. Difficilmente sarà sufficiente l’approccio demagogico proprio di Kais Saied su tali questioni.
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