venerdì 26 giugno 2020

pc 26 giugno - Corrispondenza dalla Tunisia - Dopo tre anni Tataouine spaventa nuovamente Tunisi



La Tunisia nelle ultime settimane è attraversata da proteste e rivolte in un contesto politico nazionale e regionale molto precario. Infatti il cosiddetto “governo di unità nazionale” per sua composizione e interessi particolaristici dei partiti che lo compongono è percorso da una frattura interna che può approfondirsi in maniera irreversibile (leggi nostro articolo precedente in merito); inoltre anche se il paese è stato tra i meno colpiti dalla pandemia in termini sanitari, essa ha assestato un colpo ulteriore alla già precaria e ultra indebitata economia del paese che diventa ancor più dipendente dalle agenzie economiche internazionali e dai paesi imperialisti con ricadute interne devastanti: aumento del già alto tasso di disoccupazione, rallentamento della crescita, licenziamenti e carovita all’orizzonte.
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Inoltre il piccolo paese, è stretto tra due grandi paesi nordafricani adesso altamente instabili: in Algeria, dopo una pausa causata dalla pandemia, sono riprese le manifestazioni “contro il sistema”, in Libia invece la guerra non si è mai fermata, anzi si è intensificata con l’aumento dell’ingerenza straniera in particolare di Turchia, Egitto, Francia ma anche di Italia, Qatar, Russia e USA, quest’ultimi vorrebbero avere una presenza militare stabile proprio in Tunisia per meglio influire in Libia in particolare ed in Nord Africa in generale.
Su questa polveriera è seduto il governo Fakhfakh che ha recentemente annunciato misure di austerity giustificandole con la volontà di questo governo di non far aumentare il debito estero del
paese, ma ciò che non viene detto esplicitamente anche se è chiaro a tutti, è che a pagare sarà sempre il popolo, i lavoratori, i contadini e i pensionati. In questo contesto è quindi inevitabile che scoppi la protesta sociale, la FTDES in un suo recente rapporto annovera 1.138 movimenti di protesta nei primi 100 giorni del governo Fakhfakh, tra i quali si annovera, lo sciopero del personale medico e sanitario dello scorso 18 giugno davanti la sede del Ministero della Sanità reclamante maggiori investimenti e tutele nel settore sanitario nazionale pubblico.

Ma in due regioni del paese, a Meknassi nel governatorato di Sidi Bou Zid e a Tataouine (proprio a ridosso del confine libico) gli scioperi si sono trasformati in rivolte popolari estendendosi con ricadute nazionali sia da un punto di vista economico che politico, bloccando la produzione di fosfati e petrolio e tutta l’industria chimica e mettendo in discussione il governo e anche la presidenza della repubblica dato che Kais Saied molti voti li ha presi proprio dai comitati di lotta e dai giovani in generale.
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Meknassi fa parte del bacino minerario a cavallo tra Gafsa e Sidi Bouzid, la protesta attuale è in realtà l’intreccio di tre vertenze:
1) dei lavoratori del GCT che estraggono i fosfati e che chiedono migliori condizioni di lavoro
2) di un gruppo di lavoratori precari che si occupano della la manutenzione di giardini e spazi pubblici della città, dipendenti dal GCT a cui chiedono la stabilizzazione
3) di un gruppo di ex-studenti organizzato nel movimento nazionale dell’UDC (l’Unione dei Diplomati Disoccupati) che ha finito il proprio ciclo di studi, ha vinto il concorso per entrare nel GCT ma ancora non viene assunto.

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Polizia occupa le strade di Meknassi

Queste tre vertenze si sono fuse interrompendo l’estrazione ed il trasporto dei fosfati, dando vita a sit-in in città e lungo la linea ferroviaria Gafsa-Sfax; l’intervento della polizia ha ottenuto l’effetto contrario di quello sperato dal governo: invece di smantellare i sit-in la rivolta è scoppiata in città, anche alcune locomotive dei treni trasportanti i fosfati sono state incendiate, si sono susseguiti scontri per giorni in una città sotto assedio.

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Scontri a Meknassi (Sidi Bouzid)

Dinamiche simili ma con un’ampiezza molto superiore nella regione di Tataouine ed in particolare nel suo capoluogo dove da domenica è in atto una vera e propria battaglia tra manifestanti e polizia che, dopo essersi ritirata dalla città per qualche ora, è rientrata in forze supportata da rinforzi da altre regioni e l’esercito è stato dispiegato davanti le caserme (che regolarmente sono date alle fiamme in città) e alla sede del governatore, nonché nei siti considerati strategici dal governo ovvero i pozzi petroliferi.









I problemi socio-economici di Tataouine nascono con l’indipendenza e con la scelta politica di Bourguiba di marginalizzare le aree meridionali che diedero i natali alla resistenza anti-coloniale più intransigente (il movimento dei fellegha, partigiani n.d.a.) non solo verso il potere coloniale ma anche verso la frazione bourguibista del Partito Neo-Destour accusato di gradualismo prima e di connivenza con la Francia dopo l’indipendenza. Nonostante la regione sia la più ricca di idrocarburi nel paese, gli indicatori socio-economici sono tra i più bassi in assoluto rispetto alla media nazionale, queste condizioni diedero vita ad un forte movimento di protesta e di rivolta che per circa un mese espulse le istituzioni statali dalle regioni (leggi il nostro reportage). La violenta repressione poliziesca causò anche un morto tra i manifestanti investito da una macchina della polizia durante una carica.
Infine arrivò l’accordo con il governo Chahed (il cui partito attualmente fa parte del governo) con il patrocinio sindacale dell’UGTT, in cui si annunciarono finanziamenti annuali e decine di progetti di sviluppo (sic!) i sit-in regionali nel capoluogo, nelle provincie, nei villaggi e nei luoghi produttivi che avevano dato vita ad assemblee permanenti con un metodo decisionale dei manifestanti per la regione simil consiliarista furono smantellati e si ritornò alla normalità… a distanza di 3 anni, il mese scorso dopo la non applicazione degli accordi, i sit-in sono riapparsi e anche qui, come a Meknassi, la repressione dello Stato ha trasformato lo sciopero in aperta rivolta.
Ma ciò che ha più gettato benzina sul fuoco è stato l’arresto di Tarek Haddad, portavoce dei sit-in di Tataouine “ricercato dalle autorità”, per “oltraggio a pubblico funzionario”, “partecipazione a assembramento di natura pregiudizievole per la pace pubblica”, “oltraggio tramite social media” e “impedimento alla circolazione della strada per la forza”; in una parola “colpevole” di essere uno degli organizzatori del movimento di protesta.
Da tre giorni ormai si susseguono gli scontri per le vie di Tataouine con centinaia di manifestanti che rispondono ai gas lacrimogeni e alle cariche della polizia erigendo barricate, dando fuoco a pneumatici e utilizzando tutto ciò che possa servire a tenere le strade della città. Alcune testimonianze parlano di una città assediata in cui i gas lacrimogeni vengono lanciati anche dentro le abitazioni.
Anche questa volta, come nel 2017, circolano versioni fantasiose e allo stesso tempo infamanti che vorrebbero i manifestanti manovrati da fazioni islamiste in un largo spettro politico che andrebbe dalla Fratellanza Musulmana rappresentata da Ennahdha (che tra l’altro è il partito di maggioranza relativa nel governo) passando per gruppi salafiti e arrivando fino a Daech (l’ISIS).
La realtà è ben diversa: testimonianze dirette e immagini indipendenti mostrano una diffusa resistenza popolare con una presenza femminile, agli attacchi della polizia.

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Lavoratrici di Tataouine in prima linea nelle manifestazioni

Contemporaneamente al diffondersi di tali fake news, i giornalisti che provano a diffondere le immagini e notizie reali di quello che sta avvenendo in questi giorni, sono ostacolati nel loro lavoro dalla polizia come testimoniato da alcuni video diffusi dall’agenzia stampa Tunisie Numerique. Inoltre in questi giorni la sede di Radio Tataouine è stata presa d’assalto dalla polizia provocando feriti (vedi video 1 e video 2).
Intanto a spazzare vie tutte queste sciocchezze ci pensano gli studenti universitari della regione limitrofa di Mednenine che hanno solidarizzato con i manifestanti di Tataouine subendo la repressione della polizia con conseguenti scontri anche lì e anche i manifestanti di Meknassi sono scesi in piazza con cartelli solidali con Tataouine, domani è prevista una manifestazione simile di solidarietà in un’altra regione del sud: Gabés.
Attualmente a Tataouine c’è una situazione di stallo, il governo non sembra prendere iniziativa per risolvere le istanze della regione e si limita a ricorrere solo alla repressione poliziesca con la speranza di zittire i manifestanti, il due luglio è prevista la prima udienza in tribunale per Tarek Hadded, intanto nel pomeriggio di mercoledi 24 luglio Hadded è stato rimesso in libertà, segno esito positivo di una contrattazione durante una giornata di “tregua” in cui non vi sono stati scontri.
Sul fronte sindacale l’UGTT aveva proclamato uno sciopero generale nella regione che però è stato respinto dai portavoce dei sit-in…
Questo fatto che può sembrare contraddittorio ma ha la sua radice in due questioni:
1) la differenza organizzativa che intercorre tra l’organizzazione sindacale (urbana e “importata” dal Nord) e la struttura organizzativa “tribale” dei manifestanti persistente; era successo nel 2017 che alcuni solidali provenienti da Tunisi, anche se non appartenenti ai partiti politici istituzionali o all’UGTT, pur essendo accolti fossero trattati con iniziale diffidenza dai manifestanti di Tataouine.
2) il ruolo a volte negativo da “ammortizzatore sociale” che ricopre l’UGTT quando interviene interponendosi tra alcune lotte ed il governo con il risultato di spegnere la lotta senza raggiungere risultati considerevoli per i soggetti in lotta, tendendo una mano sostanzialmente al governo (come da noi analizzato nel 2017 proprio al riguardo di Tataouine). Questo i manifestanti di Tataouine lo hanno imparato dagli eventi di 3 anni fa e adesso non vogliono che questa storia si ripeta.
Nel primo caso si dovrebbe trovare una sintesi tattica per utilizzare entrambi gli strumenti: l’organizzazione della popolazione come spina dorsale e il supporto dei lavoratori di altri settori organizzati dall’UGTT; ciò è possibile solo se l’UGTT, in particolare la segreteria nazionale, rinunci a velleità egemoniche per meri tornaconti particolaristici riconducibili al fatto di guadagnare terreno nel rapporto di forza tra se stessa ed il governo.
Intanto il presidente della repubblica Kais Saied è di rientro dalla visita di Stato in Francia dove a margine della conferenza stampa con Macron è stato accolto da alcuni tunisini residenti con cori di “dégagé” e “Tataouine, Tataouine”, un manifestante ha provocato l’ira del presidente affermando che anche lui, nonostante avesse parlato di sviluppo locale e territoriale ha gettato solo sabbia negli occhi non intervenendo in maniera costruttiva sui problemi sociali di questi giorni. Infine con una nota il presidente ha annunciato che organizzerà un incontro con i manifestanti di Tataouine nei prossimi giorni.
Il problema vissuto da regioni marginali della Tunisia come Tataouine sicuramente è legato alla natura neocoloniale del paese in cui le risorse nazionali sono svenduta all’imperialismo dalla borghesia burocratica-compradora al potere ma anche da come si è sviluppato storicamente la costruzione dello Stato nazionale semi-indipendente proprio da questo tipo di borghesia parassitaria che ha favorito alcune regioni piuttosto che altre riproponendo all’interno del paese alcune dinamiche proprie dell’ex potere coloniale, dinamiche ben analizzate illo tempore da Frantz Fanon. Difficilmente sarà sufficiente l’approccio demagogico proprio di Kais Saied su tali questioni.

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