Tunisi, 23 giu 13:37 - (Agenzia Nova) - Déjà-vu in
Tunisia. Come nel 2017, il governo ha schierato l’Esercito a Tataouine,
provincia meridionale teatro di scontri e tensioni sociali che rischiano
di bloccare il più grande bacino petrolifero del Paese. Il dossier è al
centro dell’azione di governo ed è personalmente seguito da Mohamed
Abbou, ministro di Stato presso il primo ministro incaricato di cariche
pubbliche, governance e anticorruzione, nonché personalità di “raccordo”
fra le tre presidenze: governo, repubblica e parlamento. Se si muove,
Abbou, vero “uomo forte” della compagine governativa e alfiere della
lotta contro la corruzione, significa che la questione è prioritaria. Le
continue manifestazioni di dissenso nelle regioni lontane dalla costa -
ma strategiche per l’economia del Paese, duramente colpita dalle
conseguenze della pandemia di Covid19 - hanno
comportato la sospensione di due megaprogetti portati avanti da compagnie cinesi e sudcoreane, costrette ad abbandonare i cantieri per l’impossibilità di finire il lavoro. Un duro colpo per un paese come la Tunisia alla disperata ricerca di investimenti diretti esteri per rimpinguare le sue riserve in valuta, scese in modo allarmante durante la serrata anti-coronavirus.
Ufficialmente, le dimostrazioni sono scoppiate per la mancata attuazione delle promesse del precedente governo guidato dall’ex premier Youssef Chahed, oggi partner della coalizione di governo. Il 27 aprile del 2017, l’allora capo del governo si era recato personalmente a Tataouine, annunciando ben 64 misure di sviluppo. L’ex primo ministro era stato circondato da un gruppo di facinorosi e costretto a lasciare la zona scortato dalle forze di sicurezza. Un brutto episodio che qualcuno all’epoca aveva interpretato come un “avvertimento” e una “minaccia” alle istituzioni. Oggi la storia sembra ripetersi. Gli episodi di Tataouine seguono i sospetti tentativi di boicottaggio delle linee produttive di Gafsa, bacino minerario dove si estraggono i fosfati, una delle poche risorse naturali che la Tunisia è in grado di esportare. Qualcuno, infatti, ha tentato di incendiare i vagoni ferroviari carichi di fosfati e pronti per messere essere trasformati ad uso industriale. Le proteste inizialmente pacifiche di Tataouine sono degenerate in un tentativo di assalto a una questura locale in seguito data alle fiamme. Il sospetto è che qualcuno abbia interesse di soffiare sul fuoco del disagio sociale e della disoccupazione per altri scopi.
Le vicende di Tataouine e di Gasfa si inseriscono nel solco di un duplice contesto di crisi: una interna alla coalizione di governo; l’altra dovuta ai dissesti regionali causati dalla situazione di caos totale in Libia. Il premier Elyes Fakhfakh sta cercando di mediare tra i due partner più influenti ma ideologicamente più distanti del suo esecutivo: il partito islamico Ennahda da una parte e il Blocco democratico dall’altra. I primi (legati al movimento dei Fratelli musulmani) vorrebbero allargare la coalizione di governo ai liberali di Qalb Touns e ai radicali Al Karama, i secondi (progressisti) soffrono le aperture di Ennahda e le iniziative personali del suo leader, Rached Ghannouci, che è anche presidente del Parlamento. Il capo del governo ha ribadito che nell’attuale contesto di crisi, è non solo auspicabile ma quantomai necessario unire le forze e “sfruttare il clima di coesione, cooperazione e coordinamento” che si è venuta a creare durante la gestione della crisi del coronavirus al fine di preparare il terreno “per il prossimo passo”: ovvero iniziare il ciclo di riforme necessarie per rispettare gli obblighi internazionali derivanti dagli accordi con il Fondo monetario internazionale (Fmi).
Alle problematiche interno del governo Fakhfakh si aggiungono anche i venti di guerra provenienti dalla Libia. Il dossier è finito all’attenzione del parlamento, generando un acceso dibattito presto sfociato in un muro contro muro che ha indebolito la colazione. Basti pensare alla recente risoluzione proposta dal Partito dei destuoriani liberi (partito anti-islamita per antonomasia e vicino alle istanze dell’ex presidente Ben Ali) sulle presunte ingerenze del leader di Ennahda Ghannouci, reo di aver travalicato il suo ruolo istituzionale per favorire l’ingresso della Turchia – campione della Fratellanza musulmana – nel conflitto libico trascinandovi anche la Tunisia. La mozione è stata bocciata, ma ha aperto una spaccatura all’interno della compagine governativa. A dimostrazione dell’importanza della Tunisia nello scacchiere libico basta citare la visita, avvenuta ieri, del capo del comando degli Stati Uniti in Africa (Africom), generale Stephen J. Townsend. Quest’ultimo ha incontrato a El Aouina, a Tunisi, il ministro della Difesa tunisino, Imed Hazgui, proprio dopo essere stato in Libia.
Diversi partiti tunisini e organizzazioni della società civile hanno chiesto chiarezza in merito all’ipotesi annunciata nei giorni scorsi dal comando degli Stati Uniti in Africa di inviare una unità addestrativa in quello che viene percepito come un tentativo di coinvolgere il paese nel conflitto in corso in Libia. Le informazioni relative al coinvolgimento della Tunisia nel conflitto libico sono state smentite da Africom, ma hanno acceso i riflettori sul ruolo di questo piccolo ma importante paese nordafricano. E’ utile ricordare al riguardo la postura assunta dal presidente tunisino, Kais Saied, durante una conferenza stampa congiunta ieri con l’omologo Emmanuel Macron. "Alcuni di voi sanno forse che la Libia era uno Stato federale fino al 1962 perché le autorità centrali all'epoca erano incapaci di estendere la loro autorità su tutto il territorio libico", ha ricordato Saied. "La divisione della Libia è un pericolo per tutta la regione", ha aggiunto il presidente, spiegando che Tunisi è "a favore di una soluzione alla questione libica" basata su "un cessate il fuoco immediato" ed è contraria all'ingerenza di qualsiasi paese straniero. Una posizione che si sposa peraltro con gli interessi dell’Italia, che contrariamente alla Francia ha tutto da perdere da un’eventuale partizione del paese dovuta a un congelamento del conflitto.
comportato la sospensione di due megaprogetti portati avanti da compagnie cinesi e sudcoreane, costrette ad abbandonare i cantieri per l’impossibilità di finire il lavoro. Un duro colpo per un paese come la Tunisia alla disperata ricerca di investimenti diretti esteri per rimpinguare le sue riserve in valuta, scese in modo allarmante durante la serrata anti-coronavirus.
Ufficialmente, le dimostrazioni sono scoppiate per la mancata attuazione delle promesse del precedente governo guidato dall’ex premier Youssef Chahed, oggi partner della coalizione di governo. Il 27 aprile del 2017, l’allora capo del governo si era recato personalmente a Tataouine, annunciando ben 64 misure di sviluppo. L’ex primo ministro era stato circondato da un gruppo di facinorosi e costretto a lasciare la zona scortato dalle forze di sicurezza. Un brutto episodio che qualcuno all’epoca aveva interpretato come un “avvertimento” e una “minaccia” alle istituzioni. Oggi la storia sembra ripetersi. Gli episodi di Tataouine seguono i sospetti tentativi di boicottaggio delle linee produttive di Gafsa, bacino minerario dove si estraggono i fosfati, una delle poche risorse naturali che la Tunisia è in grado di esportare. Qualcuno, infatti, ha tentato di incendiare i vagoni ferroviari carichi di fosfati e pronti per messere essere trasformati ad uso industriale. Le proteste inizialmente pacifiche di Tataouine sono degenerate in un tentativo di assalto a una questura locale in seguito data alle fiamme. Il sospetto è che qualcuno abbia interesse di soffiare sul fuoco del disagio sociale e della disoccupazione per altri scopi.
Le vicende di Tataouine e di Gasfa si inseriscono nel solco di un duplice contesto di crisi: una interna alla coalizione di governo; l’altra dovuta ai dissesti regionali causati dalla situazione di caos totale in Libia. Il premier Elyes Fakhfakh sta cercando di mediare tra i due partner più influenti ma ideologicamente più distanti del suo esecutivo: il partito islamico Ennahda da una parte e il Blocco democratico dall’altra. I primi (legati al movimento dei Fratelli musulmani) vorrebbero allargare la coalizione di governo ai liberali di Qalb Touns e ai radicali Al Karama, i secondi (progressisti) soffrono le aperture di Ennahda e le iniziative personali del suo leader, Rached Ghannouci, che è anche presidente del Parlamento. Il capo del governo ha ribadito che nell’attuale contesto di crisi, è non solo auspicabile ma quantomai necessario unire le forze e “sfruttare il clima di coesione, cooperazione e coordinamento” che si è venuta a creare durante la gestione della crisi del coronavirus al fine di preparare il terreno “per il prossimo passo”: ovvero iniziare il ciclo di riforme necessarie per rispettare gli obblighi internazionali derivanti dagli accordi con il Fondo monetario internazionale (Fmi).
Alle problematiche interno del governo Fakhfakh si aggiungono anche i venti di guerra provenienti dalla Libia. Il dossier è finito all’attenzione del parlamento, generando un acceso dibattito presto sfociato in un muro contro muro che ha indebolito la colazione. Basti pensare alla recente risoluzione proposta dal Partito dei destuoriani liberi (partito anti-islamita per antonomasia e vicino alle istanze dell’ex presidente Ben Ali) sulle presunte ingerenze del leader di Ennahda Ghannouci, reo di aver travalicato il suo ruolo istituzionale per favorire l’ingresso della Turchia – campione della Fratellanza musulmana – nel conflitto libico trascinandovi anche la Tunisia. La mozione è stata bocciata, ma ha aperto una spaccatura all’interno della compagine governativa. A dimostrazione dell’importanza della Tunisia nello scacchiere libico basta citare la visita, avvenuta ieri, del capo del comando degli Stati Uniti in Africa (Africom), generale Stephen J. Townsend. Quest’ultimo ha incontrato a El Aouina, a Tunisi, il ministro della Difesa tunisino, Imed Hazgui, proprio dopo essere stato in Libia.
Diversi partiti tunisini e organizzazioni della società civile hanno chiesto chiarezza in merito all’ipotesi annunciata nei giorni scorsi dal comando degli Stati Uniti in Africa di inviare una unità addestrativa in quello che viene percepito come un tentativo di coinvolgere il paese nel conflitto in corso in Libia. Le informazioni relative al coinvolgimento della Tunisia nel conflitto libico sono state smentite da Africom, ma hanno acceso i riflettori sul ruolo di questo piccolo ma importante paese nordafricano. E’ utile ricordare al riguardo la postura assunta dal presidente tunisino, Kais Saied, durante una conferenza stampa congiunta ieri con l’omologo Emmanuel Macron. "Alcuni di voi sanno forse che la Libia era uno Stato federale fino al 1962 perché le autorità centrali all'epoca erano incapaci di estendere la loro autorità su tutto il territorio libico", ha ricordato Saied. "La divisione della Libia è un pericolo per tutta la regione", ha aggiunto il presidente, spiegando che Tunisi è "a favore di una soluzione alla questione libica" basata su "un cessate il fuoco immediato" ed è contraria all'ingerenza di qualsiasi paese straniero. Una posizione che si sposa peraltro con gli interessi dell’Italia, che contrariamente alla Francia ha tutto da perdere da un’eventuale partizione del paese dovuta a un congelamento del conflitto.
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