pc 27 giugno - L'assemblea operaia di Pomigliano del 23 giugno - Intervento di Mignano - un commento di proletari comunisti nei prossimi giorni
L’assemblea è stata partecipata.
C’erano circa 150 persone di cui almeno 50 erano operai provenienti in
maggioranza dal comparto automobilistico FCA (Pomigliano, Melfi,
Termoli, Cassino, Torino, Pratola Serra). Ma erano presenti anche altre
fabbriche come la INNSE di Milano e la GKN Driveline di Firenze.
La presidenza era composta da operai del comitato operai autorganizzati FCA, promotore dell’assemblea, a
cui si si è aggiunta, per il peso politico della sua vicenda, la
maestra licenziata di Torino... Hanno parlato operai appartenenti a sigle diverse del sindacalismo di base e della
FIOM, ma uniti dalla comune esigenza di organizzarsi.
Intervento Mimmo Mignano, operaio licenziato FCA.
La realtà
scorre veloce. La crisi impone ai padroni di farci lavorare di più e in
condizioni sempre peggiori. Nessun ostacolo è tollerato all’aumento dei
ritmi e all’aumento della produzione. I diritti che sembravano una
conquista definitiva, sono spariti. In fabbrica, la paura di perdere il
posto di lavoro, il controllo stretto dei capi, i provvedimenti
disciplinari, ci costringono ad accettare di tutto. L’aumento dei morti
sul lavoro non è frutto di incidenti e di disattenzioni, ma del fatto
che accettiamo qualsiasi condizione di lavoro, anche quella più
pericolosa per paura dei licenziamenti. Vediamo che tutto in questa
società è al servizio del profitto. Ci hanno fatto sempre credere che lo
stato e le sue leggi erano istituzioni imparziali, frutto di una scelta
democratica dei cittadini. Scopriamo invece che se ci vengono a rubare
in casa non si vede un poliziotto, ma se facciamo un presidio ai
cancelli dello stabilimento ce ne sono centinaia. Quando il padrone
licenzia perdiamo le cause legali per il reintegro, perché le sentenze
sono quasi sempre contro di noi, ed è il tribunale principale, quello
che dà l’indirizzo agli altri, la corte di cassazione, che sostiene
apertamente questa linea.
Scopriamo
che i padroni sono organizzati come una classe. Tutti quelli che stanno
ai gradini più alti della società e hanno redditi alti hanno la stessa
linea di condotta, la pensano tutti allo stesso modo e cioè mettere
sotto noi operai. Perché? Perché noi siamo la classe che produce tutto,
il motore di tutta la loro cosiddetta economia. Più produciamo, più
peggiorano le nostre condizioni di lavoro e di vita, e più i ricchi
s’ingrassano.
È per
questo motivo che la FIAT ha licenziato noi cinque. È per questo stesso
motivo che la Corte di Cassazione le ha dato ragione. Noi rappresentiamo
quello che i padroni non vorrebbero mai vedere: l’operaio che si
ribella alla sua condizione di schiavitù. Il padrone può sopportare fino
ad un certo punto anche la lotta degli operai per il miglioramento
delle condizioni di lavoro. Può sopportare di pagarci qualcosa in più,
può accettare sotto la pressione della lotta di ridurre i ritmi, ma non
può accettare in nessun modo operai che dicono apertamente che bisogna
farla finita con questa società dove gli operai soffrono per far fare la
bella vita ad un pugno di parassiti che vivono del nostro lavoro.
Cosa
abbiamo fatto noi cinque di tanto grave? Abbiamo denunciato con la
satira la morte di nostri compagni sfiancati dalla miseria e dalla
mancanza di prospettive. L’abbiamo fatto in modo plateale usando la
satira, altrimenti nessuno ci avrebbe preso in considerazione. Ma la
nostra protesta è stata pacifica e nei termini delle regole della
convivenza che loro stessi, i padroni e i loro funzionari della politica
e dell’amministrazione dello stato, hanno stabilito. Non a caso non
abbiamo avuto nessuna denuncia penale per aver inscenato il suicidio di
Marchionne. Abbiamo espresso un’opinione, che nella loro democrazia è un
diritto sacro. Non ci hanno perseguito penalmente, ma ci hanno
licenziato condannandoci alla miseria con l’appoggio aperto dei massimi
organi della magistratura, che hanno stravolto le loro stesse leggi per
colpirci.
Ai
sinceri democratici che credono nel diritto borghese è sembrata una
reazione esagerata e non a caso molti di loro hanno espresso nei nostri
confronti piena solidarietà e hanno criticato l’uso distorto, secondo
loro, della legge. In realtà hanno visto solo un aspetto della vicenda,
ma non quello principale.
La FIAT
colpendo noi ha mirato a due obiettivi: eliminare sul nascere una
tendenza operaia che usciva dai limiti classici della lotta sindacale,
quella della vite in più o della vite in meno, e che si poneva come
obiettivo quello di organizzare gli operai su un altro terreno, quello
dell’eliminazione dello sfruttamento.
Il
secondo obiettivo è stato quello di impaurire gli altri operai. Chi si
mette contro il padrone deve essere annientato. Questo è il messaggio
che la FIAT ha voluto dare. State attenti, accettiamo anche le vostre
assemblee, accettiamo che ci chiedete qualche soldo in più ogni tanto,
accettiamo anche che vi lamentate della vostra condizione e volete
migliorarla, però non superate il limite, dovete sempre assicurare a noi
profitti adeguati e il comando. Ma se mettete in discussione il nostro
potere siete finiti.
Il
padrone sa che se noi ci organizziamo per lui la bella vita finisce. Per
evitare questo usa tutti i mezzi a sua disposizione per tenerci divisi.
Ha organizzato la differenza in livelli diversi per lavori che non
hanno differenze, ci ha divisi tra quelli che lavorano sempre e quelli
che lo fanno a singhiozzo, ha appoggiato la nascita di tante sigle
sindacali in concorrenza tra loro e molte le ha ispirate e finanziate
direttamente. Oggi utilizza anche le differenze di razza. Tutto serve
per tenerci divisi. Il padrone sa che divisi non siamo niente, uniti
rappresentiamo una forza temibile.
Un
esempio importante di dove possono arrivare gli operai uniti, è
l’esperienza sul terreno sindacale degli operai della logistica, a cui
siamo legati. Lì l’unità degli operai al di là di tutte le differenze,
anche quella più micidiale per gli operai, la differenza di razza, ha
creato una comunità forte, determinata. Nella logistica sono state fatte
le lotte più significative degli ultimi anni e si sono avuti
miglioramenti salariali e di condizioni di lavoro importanti. Perché gli
operai della logistica ci sono riusciti? Perché sono uniti. Si sono
riconosciuti come appartenenti ad un’unica comunità e si sono
organizzati e per questo motivo rappresentano una forza che fa paura al
padrone.
Come
poteva il padrone FIAT, il più forte in Italia, tollerare noi cinque che
abbiamo affermato che il sindacato è solo uno strumento di lotta e che
le differenze sindacali sono un’arma in mano al padrone per dividerci?
Per superare queste differenze ci siamo messi in contatto con compagni
di altre fabbriche e abbiamo cominciato ad unirci su quelli che sono i
nostri interessi come operai. È così nata l’esperienza degli
autorganizzati.
Ma non ci
siamo fermati, abbiamo cominciato a dire che gli operai si devono
organizzare come classe non solo sul terreno sindacale ma anche sul
terreno politico. Ci siamo detti che nessun partito rappresenta gli
operai, e oggi è più che mai vero, e allora gli operai devono darsi
un’organizzazione politica. Abbiamo posto come obiettivo principale di
questa organizzazione non un miglioramento, una verniciata di facciata
del sistema, ma abbiamo posto all’ordine del giorno l’eliminazione del
sistema dei padroni, la costruzione di una società dove non esista più
la schiavitù degli operai per assicurare la bella vita a qualcuno.
Ci siamo
sempre di più convinti che questa era la strada giusta. Abbiamo
cominciato a discutere con gli altri operai. Abbiamo cercato di
trasmettere loro l’idea che siamo una comunità, una classe che ha gli
stessi interessi e lo stesso nemico: il padrone. Siamo stati presenti
davanti ai cancelli della fabbrica più spesso che potevamo per parlare e
discutere con i nostri compagni, sottolineando i passaggi che il
padrone ci faceva fare verso il peggioramento sempre maggiore della
nostra vita e delle condizioni di lavoro.
E avevamo
ragione perché oggi siamo alla vigilia di una nuova ristrutturazione in
FIAT. L’azienda si prepara a buttare fuori altre migliaia di noi per
sfruttare ancora di più quelli che rimarranno.
Nel corso
degli anni la FIAT ha migliorato sempre di più le sue capacità
produttive. Ha reso sempre più scientifico il modo di farci lavorare per
i suoi profitti. Ma mentre gli azionisti FIAT e i suoi dirigenti si
arricchivano sempre di più, a noi cosa ne è venuto?
Alla fine
degli anni Ottanta a Pomigliano eravamo circa quindicimila, oggi siamo
meno di un terzo. La produzione che facciamo oggi è tre volte, quattro
volte quella che facevamo allora. Siamo più ricchi oggi di allora? No,
siamo più poveri. Lavoriamo in condizioni migliori? No. A meno di
cinquant’anni già siamo inservibili per la fabbrica, diventiamo esuberi
di cui disfarsi. Perché? Perché le condizioni di lavoro complessive sono
peggiorate e noi ci consumiamo prima. Quindi mentre i padroni hanno
sempre di più ingrossato i loro portafogli, noi siamo andati sempre di
più in rovina.
Tra
operai parliamoci chiaramente: abbiamo due alternative davanti oggi: o
organizzarci sui nostri interessi di classe e farla finita con il
sistema dei padroni, oppure andare sempre di più verso la miseria.
I Marchionne con gli operai al potere o vanno a lavorare sulla linea di montaggio o se ne vanno con questo zainetto.
Noi
cinque siamo determinati ad andare avanti. Se Marchionne e suoi datori
di lavoro volevano zittirci definitivamente, hanno sbagliato i calcoli.
Gli
operai che hanno cominciato a muoversi in proprio sui propri interessi
di classe, contro la schiavitù che ci impone il sistema dei padroni,
sono creature rognose: hanno capito che hanno poco da perdere e tutto da
conquistare e non si fermeranno.
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