L’assemblea è stata partecipata. C’erano circa 150 persone di cui almeno 50 erano operai provenienti in maggioranza dal comparto automobilistico FCA (Pomigliano, Melfi, Termoli, Cassino, Torino, Pratola Serra). Ma erano presenti anche altre fabbriche come la INNSE di Milano e la GKN Driveline di Firenze.

La presidenza era composta da operai del comitato operai autorganizzati FCA, promotore dell’assemblea, a cui si si è aggiunta, per il peso politico della sua vicenda, la maestra licenziata di Torino... Hanno parlato operai appartenenti a sigle diverse del sindacalismo di base e della FIOM, ma uniti dalla comune esigenza di organizzarsi. 

Intervento Mimmo Mignano, operaio licenziato FCA.

La realtà scorre veloce. La crisi impone ai padroni di farci lavorare di più e in condizioni sempre peggiori. Nessun ostacolo è tollerato all’aumento dei ritmi e all’aumento della produzione. I diritti che sembravano una conquista definitiva, sono spariti. In fabbrica, la paura di perdere il posto di lavoro, il controllo stretto dei capi, i provvedimenti disciplinari, ci costringono ad accettare di tutto. L’aumento dei morti sul lavoro non è frutto di incidenti e di disattenzioni, ma del fatto che accettiamo qualsiasi condizione di lavoro, anche quella più pericolosa per paura dei licenziamenti. Vediamo che tutto in questa società è al servizio del profitto. Ci hanno fatto sempre credere che lo stato e le sue leggi erano istituzioni imparziali, frutto di una scelta democratica dei cittadini. Scopriamo invece che se ci vengono a rubare in casa non si vede un poliziotto, ma se facciamo un presidio ai cancelli dello stabilimento ce ne sono centinaia. Quando il padrone licenzia perdiamo le cause legali per il reintegro, perché le sentenze sono quasi sempre contro di noi, ed è il tribunale principale, quello che dà l’indirizzo agli altri, la corte di cassazione, che sostiene apertamente questa linea.

Scopriamo che i padroni sono organizzati come una classe. Tutti quelli che stanno ai gradini più alti della società e hanno redditi alti hanno la stessa linea di condotta, la pensano tutti allo stesso modo e cioè mettere sotto noi operai. Perché? Perché noi siamo la classe che produce tutto, il motore di tutta la loro cosiddetta economia. Più produciamo, più peggiorano le nostre condizioni di lavoro e di vita, e più i ricchi s’ingrassano.

È per questo motivo che la FIAT ha licenziato noi cinque. È per questo stesso motivo che la Corte di Cassazione le ha dato ragione. Noi rappresentiamo quello che i padroni non vorrebbero mai vedere: l’operaio che si ribella alla sua condizione di schiavitù. Il padrone può sopportare fino ad un certo punto anche la lotta degli operai per il miglioramento delle condizioni di lavoro. Può sopportare di pagarci qualcosa in più, può accettare sotto la pressione della lotta di ridurre i ritmi, ma non può accettare in nessun modo operai che dicono apertamente che bisogna farla finita con questa società dove gli operai soffrono per far fare la bella vita ad un pugno di parassiti che vivono del nostro lavoro.

Cosa abbiamo fatto noi cinque di tanto grave? Abbiamo denunciato con la satira la morte di nostri compagni sfiancati dalla miseria e dalla mancanza di prospettive. L’abbiamo fatto in modo plateale usando la satira, altrimenti nessuno ci avrebbe preso in considerazione. Ma la nostra protesta è stata pacifica e nei termini delle regole della convivenza che loro stessi, i padroni e i loro funzionari della politica e dell’amministrazione dello stato, hanno stabilito. Non a caso non abbiamo avuto nessuna denuncia penale per aver inscenato il suicidio di Marchionne. Abbiamo espresso un’opinione, che nella loro democrazia è un diritto sacro. Non ci hanno perseguito penalmente, ma ci hanno licenziato condannandoci alla miseria con l’appoggio aperto dei massimi organi della magistratura, che hanno stravolto le loro stesse leggi per colpirci.

Ai sinceri democratici che credono nel diritto borghese è sembrata una reazione esagerata e non a caso molti di loro hanno espresso nei nostri confronti piena solidarietà e hanno criticato l’uso distorto, secondo loro, della legge. In realtà hanno visto solo un aspetto della vicenda, ma non quello principale.

La FIAT colpendo noi ha mirato a due obiettivi: eliminare sul nascere una tendenza operaia che usciva dai limiti classici della lotta sindacale, quella della vite in più o della vite in meno, e che si poneva come obiettivo quello di organizzare gli operai su un altro terreno, quello dell’eliminazione dello sfruttamento.

Il secondo obiettivo è stato quello di impaurire gli altri operai. Chi si mette contro il padrone deve essere annientato. Questo è il messaggio che la FIAT ha voluto dare. State attenti, accettiamo anche le vostre assemblee, accettiamo che ci chiedete qualche soldo in più ogni tanto, accettiamo anche che vi lamentate della vostra condizione e volete migliorarla, però non superate il limite, dovete sempre assicurare a noi profitti adeguati e il comando. Ma se mettete in discussione il nostro potere siete finiti.

Il padrone sa che se noi ci organizziamo per lui la bella vita finisce. Per evitare questo usa tutti i mezzi a sua disposizione per tenerci divisi. Ha organizzato la differenza in livelli diversi per lavori che non hanno differenze, ci ha divisi tra quelli che lavorano sempre e quelli che lo fanno a singhiozzo, ha appoggiato la nascita di tante sigle sindacali in concorrenza tra loro e molte le ha ispirate e finanziate direttamente. Oggi utilizza anche le differenze di razza. Tutto serve per tenerci divisi. Il padrone sa che divisi non siamo niente, uniti rappresentiamo una forza temibile.

Un esempio importante di dove possono arrivare gli operai uniti, è l’esperienza sul terreno sindacale degli operai della logistica, a cui siamo legati. Lì l’unità degli operai al di là di tutte le differenze, anche quella più micidiale per gli operai, la differenza di razza, ha creato una comunità forte, determinata. Nella logistica sono state fatte le lotte più significative degli ultimi anni e si sono avuti miglioramenti salariali e di condizioni di lavoro importanti. Perché gli operai della logistica ci sono riusciti? Perché sono uniti. Si sono riconosciuti come appartenenti ad un’unica comunità e si sono organizzati e per questo motivo rappresentano una forza che fa paura al padrone.

Come poteva il padrone FIAT, il più forte in Italia, tollerare noi cinque che abbiamo affermato che il sindacato è solo uno strumento di lotta e che le differenze sindacali sono un’arma in mano al padrone per dividerci? Per superare queste differenze ci siamo messi in contatto con compagni di altre fabbriche e abbiamo cominciato ad unirci su quelli che sono i nostri interessi come operai. È così nata l’esperienza degli autorganizzati.

Ma non ci siamo fermati, abbiamo cominciato a dire che gli operai si devono organizzare come classe non solo sul terreno sindacale ma anche sul terreno politico. Ci siamo detti che nessun partito rappresenta gli operai, e oggi è più che mai vero, e allora gli operai devono darsi un’organizzazione politica. Abbiamo posto come obiettivo principale di questa organizzazione non un miglioramento, una verniciata di facciata del sistema, ma abbiamo posto all’ordine del giorno l’eliminazione del sistema dei padroni, la costruzione di una società dove non esista più la schiavitù degli operai per assicurare la bella vita a qualcuno.

Ci siamo sempre di più convinti che questa era la strada giusta. Abbiamo cominciato a discutere con gli altri operai. Abbiamo cercato di trasmettere loro l’idea che siamo una comunità, una classe che ha gli stessi interessi e lo stesso nemico: il padrone. Siamo stati presenti davanti ai cancelli della fabbrica più spesso che potevamo per parlare e discutere con i nostri compagni, sottolineando i passaggi che il padrone ci faceva fare verso il peggioramento sempre maggiore della nostra vita e delle condizioni di lavoro.

E avevamo ragione perché oggi siamo alla vigilia di una nuova ristrutturazione in FIAT. L’azienda si prepara a buttare fuori altre migliaia di noi per sfruttare ancora di più quelli che rimarranno.

Nel corso degli anni la FIAT ha migliorato sempre di più le sue capacità produttive. Ha reso sempre più scientifico il modo di farci lavorare per i suoi profitti. Ma mentre gli azionisti FIAT e i suoi dirigenti si arricchivano sempre di più, a noi cosa ne è venuto?

Alla fine degli anni Ottanta a Pomigliano eravamo circa quindicimila, oggi siamo meno di un terzo. La produzione che facciamo oggi è tre volte, quattro volte quella che facevamo allora. Siamo più ricchi oggi di allora? No, siamo più poveri. Lavoriamo in condizioni migliori? No. A meno di cinquant’anni già siamo inservibili per la fabbrica, diventiamo esuberi di cui disfarsi. Perché? Perché le condizioni di lavoro complessive sono peggiorate e noi ci consumiamo prima. Quindi mentre i padroni hanno sempre di più ingrossato i loro portafogli, noi siamo andati sempre di più in rovina.

Tra operai parliamoci chiaramente: abbiamo due alternative davanti oggi: o organizzarci sui nostri interessi di classe e farla finita con il sistema dei padroni, oppure andare sempre di più verso la miseria.

I Marchionne con gli operai al potere o vanno a lavorare sulla linea di montaggio o se ne vanno con questo zainetto.

Noi cinque siamo determinati ad andare avanti. Se Marchionne e suoi datori di lavoro volevano zittirci definitivamente, hanno sbagliato i calcoli.

Gli operai che hanno cominciato a muoversi in proprio sui propri interessi di classe, contro la schiavitù che ci impone il sistema dei padroni, sono creature rognose: hanno capito che hanno poco da perdere e tutto da conquistare e non si fermeranno.