Dal comunicato di Comitato Lavoratori e Lavoratrici delle Campagne e Rete Campagne in Lotta
Non si smentisce il Ministero dell’Interno, che il 30 Agosto, incontrando
a Roma i portavoce di lavoratori e lavoratrici delle campagne che vivono nei
ghetti del foggiano e di San Ferdinando, ha candidamente ammesso di applicare
la legge in maniera arbitraria e unicamente a sfondo repressivo. L’incontro con
il capo dipartimento libertà civili e immigrazione ed il nuovo commissario
nominato per superare le condizioni di marginalità in provincia di Foggia si è
svolto in contemporanea ad una manifestazione degli stessi lavoratori e
lavoratrici nella città di Foggia.
A fronte di una lunga lotta, di diversi incontri con le istituzioni locali
e nazionali, di vittorie strappate con la determinazione ma anche di promesse
rimaste lettera morta, il Ministero si è rimangiato l’impegno a regolarizzare
chi lavora nelle campagne e vive nei ghetti che lo stato stesso ha creato. Come
se non bastasse, le massime autorità competenti in materia di immigrazione e
garanti della legalità hanno chiaramente ammesso di non voler costringere le
parti datoriali a rispettare i contratti collettivi di categoria (e quindi la
garanzia di trasporto e alloggio per gli stagionali), né imporre l’applicazione
della normativa che permetterebbe la regolarizzazione di chi, come la
stragrande maggioranza di coloro che vivono e lavorano nelle campagne italiane,
è sottoposto a grave sfruttamento. Si nega persino l’esistenza di un sistema di
irregolarità diffusa funzionale allo sfruttamento.
A detta dei rappresentanti
di uno stato che si manifesta solo nella sua funzione repressiva, poi, il
problema del circa mezzo milione di irregolari presenti in questo paese si
risolve con le deportazioni – o, più economicamente, non facendo proprio nulla.
È inoltre chiaro che di fronte a problemi strutturali che riguardano la maggior
parte dei distretti agro-industriali italiani, si punta a frammentare le
questioni e indebolire così i fronti di lotta. La promessa scritta di un
incontro con i tre nuovi commissari nominati per risolvere il problema della
marginalità nelle province di Foggia, Reggio Calabria e Caserta, strappata al
capo di gabinetto Morcone grazie al presidio dello scorso 9 agosto, è stata
disattesa, confermando l’arbitrarietà che caratterizza le istituzioni. La
discussione non ha affrontato le richieste dei lavoratori né ha avanzato
qualsivoglia proposta...
L’utilizzo strumentale della legalità ed il ricorso permanente a misure di
’emergenza’ rientrano perfettamente nel solco della linea adottata dal governo
non solo in materia di immigrazione, ma più in generale delle politiche economico-sociali
e di gestione del dissenso. L’esternalizzazione delle frontiere, il cui
controllo è stato affidato ai paesi africani, pagati per limitare i flussi
migratori, le politiche di internamento e controllo di natura carceraria, la
gestione della mobilità attraverso un sistema di campi nei quali finiscono
intrappolate le persone nell’eterna attesa di un documento, l’istituzione di
campi di lavoro sono i dispositivi messi in campo dal governo italiano con il
plauso dell’Unione Europea. Si susseguono a ritmo serrato gli sgomberi e le
misure repressive, si soffia sul fuoco dell’odio razziale e si criminalizza la
povertà, mentre i diritti dei lavoratori tutti, stranieri e italiani, vengono
smantellati pezzo per pezzo. A questo proposito, è emblematico come la nomina
dei commissari anti-marginalità sia stata inserita all’interno del decreto per
lo sviluppo del mezzogiorno, approvato lo scorso giugno, nel quale si
istituiscono le zone economiche speciali (ZES) – che, guarda caso, vorrebbero
coincidere quasi perfettamente con le tre aree di competenza dei commissari (il
porto di Gioia Tauro, il distretto agro-industriale di Foggia, l’hinterland
napoletano). Insomma, la legalizzazione dell’illegalità. D’altronde, il nesso
rifugiati-zone economiche speciali è stato di recente sdoganato dal cosiddetto
‘Jordan Compact’, un accordo attraverso il quale la comunità internazionale,
sotto l’egida della Banca Mondiale, finanzia l’istituzione di 18 ZES
all’interno delle quali impiegare manodopera siriana, a cui è concesso l’asilo
politico in cambio di una vita di sfruttamento.
Contro questo scempio, è necessario sin da
subito elaborare una risposta efficace che non può che passare per la
ricostruzione e il rafforzamento di un fronte compatto, che sappia essere
all’altezza della sfida. Non possiamo che ribadire la nostra determinazione ad
una battaglia necessaria per la nostra stessa sopravvivenza.
Comitato Lavoratori e Lavoratrici delle Campagne
Rete Campagne in Lotta
Rete Campagne in Lotta
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