giovedì 7 settembre 2017

pc 7 settembre - Interventi dal seminario di proletari comunisti - G7/G20 UNA SORTA DI "CHIAMATA ALLE ARMI" - MA L'ASSETTO DELL'IMPERIALISMO TROVA CONTRADDIZIONI AL SUO INTERNO E SEMPRE PIU' FORTE OPPOSIZIONE ALL'ESTERNO

Il G20 è un tentativo di associare le nuove potenze economiche, una sorta di “stanza di compensazione” per far partecipare altri paesi sviluppati alla gestione collettiva, mantenendo il predominio di chi già c'era. Il G20, di fatto, ha sostituito l'Onu che non conta più niente, le sue risoluzioni sono imposte dai paesi del G20, attraverso il consiglio di sicurezza, e rispecchiano gli interessi dei grandi paesi e, in generale, sono destinate a non essere applicate, se non quando riguardano i paesi “indipendenti”, Cuba, Venezuela, ecc.

Ma i paesi imperialisti maggiori non sono riusciti a compattarsi e sono sempre singoli paesi.
Il G20 è stato un tentativo di ridurre le contraddizioni interne per essere più forti all'esterno, ma in realtà si sono più divisi. L'assetto mondiale non regge più, benchè ciò non vuol dire che non continuino a comandare.

In questo contesto aumentano le contraddizioni interne, che rendono difficili soluzioni condivise.
In questo si è inserita la crisi degli Usa, che non riescono a controllare l'economia mondiale, le aree
strategiche, le fonti energetiche. Quando si acutizzano gli interessi tra i paesi imperialisti, i capi dicono “il mio interesse prima di tutto”. In questo sta la vittoria di Trump che dice “basta con l'arretramento dell'imperialismo americano”, e Trump è il tentativo disperato di voler nuovamente dominare il mondo.
Gli Usa con Trump hanno cercato un rappresentante che imponesse i loro interessi. E Trump ha sollevato tutta la feccia; ma questo non fa che approfondire la crisi e acutizzare le contraddizioni.
E il G7 e il G20 sono state la dimostrazione di questo.
Questo spinge tutti i paesi a fare in proprio. Questo significa che devi mettere le tue armi, i tuoi soldi, le tue spese militari, il tuo nucleare. Quindi le varie economie diventano economie di guerra. Sul piano commerciale le conseguenze sono ancora peggiori, barriere doganali dovunque. E i rapporti di forza economici si mostrano nudi e crudi.
E' la crisi generale del sistema imperialista che porta a scaricare i costi del bilancio dello Stato sulle masse.
E' questa crisi, che viene scaricata sui popoli del mondo, sono i contrasti tra imperialismi, che originano la gigantesca ondata migratoria che non è più fermabile.

Ma in questa situazione si alimenta anche la guerra tra bande dei paesi oppressi. Tornano gli aspetti tribali, religiosi. Dove arrivano le potenze imperialiste i popoli si smembrano, ultimo caso Libia. In Libia con Gheddafi vi era un regime legittimo, Stato unico, con il controllo di tutta la Libia; quando vi è stato l'attacco imperialista si è diviso, a dimostrazione che ogni intervento dell'imperialismo peggiora la situazione, prima in Libia non c'era l'Isis, è stato creata dalla caduta di Gheddafi e dall'intervento di Francia, Usa, Italia...

E in questa situazione le guerre “tornano a casa”. C'è un nesso tra il ruolo di oppressione dei paesi del G20 e la guerra che torna a casa. Dall'11 settembre hanno aumentato a dismisura le misure di sicurezza, ma più aumentano e più vi sono gli attentati. Più misure di polizia contro il terrorismo non significa fermare il terrorismo ma togliere libertà alle masse, alla vita normale, a rendere difficile le lotte delle persone ogni giorno. Ma su questo non bisogna lamentarsi ma opporsi.
O i proletari e le masse popolari riescono a rompere questa spirale assurda nei nostri paesi o la situazione peggiorerà ancora più rapidamente. Immigrazione e “terrorismo” domandano che siano i proletari, i poveri dei paesi imperialisti a prendere nelle proprie mani la lotta contro i propri paesi imperialisti. I poveri devono scegliere: o si fanno la guerra tra di loro, o si uniscono contro chi pasteggia a champagne. O c'è un partito, un'organizzazione che in sei mesi fa più che in cento anni, o c'è la guerra tra poveri.

In questo il G7, G20 sono una specie di “chiamata alle armi”. E le forti contestazioni hanno lo scopo di rendere evidente questo.

A Taormina rinchiusi nei guardini Naxos si deve comunque “rompere gli schemi”; e il problema non era cosa pensano gli abitanti, ma cosa pensa il mondo. In Germania le masse si sono ribellate e per tre giorni Amburgo è stata messa a ferro e fuoco. Il gigantesco apparato poliziesco, quando difende una causa ingiusta, non riesce a impedire le rivolte.

La parola d'ordine usata al G7 e al G20 nasce dalla linea che abbiamo: vogliamo disturbare il manovratore, neanche nelle loro case possono stare in pace.
Se non ci sono queste manifestazioni, resta solo l'Isis. O noi occupiamo questo spazio o noi siamo vittime di uno e dell'altro, se c'è la guerra nostra sparisce nella degli altri.
Oggi, certo, abbiamo rapporti di forza impari, ma a St.Pauli la gente era solidale. I ragazzi che si sono battuti sono stati magnifici, e l'hanno potuto fare perchè il popolo era con loro, popolo che a volte partecipa, a volte sostiene.

L'attenzione che c'è stata verso i due Vertici sono una rappresentazione dello scenario dei prossimi anni, in cui vi sono due colline, quella del potere borghese che è sempre più isolata, e quella del popolo che non lo riconosce più – l'astensionismo alle elezioni, in Italia, come in Francia è espressione di questo - e una parte di esso risponde con il combattimento.

La lotta di tutti i giorni deve servire a costruire le forze per i giorni dell'ira, costruire nel popolo l'idea che dobbiamo farla finita con questo sistema, soprattutto quando il sistema si presenta come tale. Nessuna lotta si può fare senza tener conto di come e perchè c'è questa vita di sfruttamento, di miseria, mentre la ricchezza mondiale comunque aumenta; la potenza produttiva aumenta mentre la base sociale si è impoverisce sempre più.
Si tratta di costruire il partito della rivoluzione, fatto dalle persone che lottano, normali. Ma queste persone devono fare il salto di qualità, non possono pensare di lottare solo sui propri problemi.

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