Ieri Marchionne si è fatto intervistare dal quotidiano la
Repubblica! Il manager moderno fascista conferma tutta la propria arroganza e
sbruffoneria, si tratta, infatti, di una intervista che da un lato è
un'autocelebrazione, la propaganda della sua presunta abilità, e che sia
presunta infatti viene fuori dalle stesse cose che dice: i soldi per questa
operazione li hanno messi il governo americano e gli operai tramite il loro
fondo pensione! dall'altro lato serve a chiedere soldi esplicitamente al
governo italiano, soldi che dovrebbero servire per gli investimenti! Marchionne
mette comunque sempre le mani avanti, perché il "piano" si potrà fare sempre se il mercato regge... si
tratta di una scommessa, e così via.
Dal quel che dice rispetto all'uscita dal mercato delle auto
piccole e al concentrarsi sul mercato delle auto di alta gamma è chiaro che la
produzione non potrà mai lontanamente ripartire con le quantità del passato!
Tutto questo nello stesso giorno in cui i dirigenti Fiat
incontravano la Fiom dopo la sentenza di Cassazione, un altro schiaffo al
sindacato "nemico". Lui i piani industriali non li discute con
nessuno e li presenta dove, quando, a chi e come vuole lui.
Commentiamo alcuni passi dell'intervista che riportiamo
integralmente sotto.
***
Intervista all'ad del Lingotto dopo l'acquisizione di
Chrysler: "Puntiamo sulla fascia medio-alta, le accuse di Moody's sul
debito non mi preoccupano"
Marchionne: ecco il futuro della Fiat
"L'America ci dà valore. Ora rilanciamo l'Alfa, tutti gli
operai rientreranno"
Dottor Marchionne, la settimana scorsa la Fiat si è
comprata tutta la Chrysler, ha cambiato dimensione e identità e lei non ha
ancora detto una parola. Cosa succede?
"Quel che dovevo dire l'ho scritto il giorno dopo la
firma ai 300 mila dipendenti del gruppo, insieme con John Elkann. Adesso
dobbiamo soltanto lavorare perché questo sogno che abbiamo realizzato, e che io
inseguivo dal 2009, si metta a camminare, anzi a correre, e produca i suoi
effetti".
Si ricorda come è incominciato tutto?
"Sì. Avevamo un accordo tecnologico con Chrysler,
un'intesa di minima, e mi sono accorto che non serviva a niente, perché non
produceva risultati di qualche rilievo né per Fiat né per gli americani. È
stato allora che l'idea ha cominciato a ronzarmi per la testa. Un'idea, non un
progetto. Diceva così: o tutto o niente. O posso entrare nella gestione e
prendermi la responsabilità delle due aziende, oppure perdiamo tempo".
E poi?
"Poi è arrivato il piano. La chiami fortuna, istinto, visione,
quel che vuole. Resta il fatto che in quel momento di crisi spaventosa abbiamo
visto nei rottami dell'industria automobilistica americana la possibilità di
far rinascere una grande azienda in forma completamente diversa. E l'America ha
creduto nelle nostre idee e ci ha aperto le porte".
Vuol dire che soltanto in America sarebbe stata possibile
un'operazione di questo tipo?
"Dico che per tante ragioni storiche e culturali noi
europei siamo condizionati dal passato, l'idea di chiuderlo per far nascere una
cosa nuova ci spaventa. Da loro no: c'è una disponibilità quasi naturale verso
il cambiamento, la voglia di ripartire".
Meno vincoli e meno dubbi?
"Se porti un'idea nuova, in Italia trovi subito dieci
obiezioni. In America nello stesso tempo trovi dieci soluzioni a possibili problemi.
E poi è arrivato Obama".
[Il giornalista va al dunque. Meno vincoli? È proprio su
questo che Marchionne si è "battuto" anche in Italia: perché avesse
meno vincoli e cioè ancora una volta niente diritti degli operai! sono questi
diritti che Marchionne chiama obiezioni!]
Che ha creduto subito al suo progetto?
"Aveva l'obbiettivo di salvare quelle aziende. La
nostra fortuna è stata di poter trattare direttamente con il Tesoro, con la
task force del Presidente, non con i creditori di Chrysler, come voleva la
vecchia logica. Se no, oggi non saremmo qui".
[E' questa la verità: qui Marchionne si
"confessa". Obama "aveva l'obbiettivo di salvare quelle
aziende"! e ha messo i soldi scommettendo sull'operazione
"salvataggio"]
L'amministrazione vi ha sempre sostenuti?
"Abbiamo scoperto che il nostro piano era più prudente
del loro. Ma la seconda fortuna è stata che il mercato è ripartito prima del
previsto, gli Usa oggi sono tornati a produrre 15 milioni di veicoli, la cura
che abbiamo fatto a Chrysler funziona, noi ci siamo, tanto che la Jeep non ha
mai venduto tante macchine come nel 2013, cioè 730 mila".
Questo basta per mettere Chrylser al riparo?
"Guardi che in America il mercato c'è ma è difficile,
la competizione è durissima. Ma nelle vendite retail lo scorso anno Chrysler è
cresciuta negli Usa più degli altri due big, Ford e Gm. Siamo il quarto
produttore americano, perché in mezzo si è infilata Toyota. Quindi c'è molta
strada ancora da fare, ma siamo in cammino. E meno male che l'istinto aveva
visto giusto nel 2009, perché un'occasione così si presenta una volta sola
nella vita: non accadrà mai più".
[Quando parla delle auto vendute, sia a livello generale che
della Chrysler Marchionne si "allarga" sempre. Le vendite sono
tornate indietro di una ventina d'anni. Altro che ripresa!]
Un piccolo non potrà mai più comprare un grande grazie
alla crisi?
"Abbiamo sfruttato condizioni irripetibili. È vero che
normalmente il sistema americano è capace a digerire la bancarotta e a
assicurarti le condizioni finanziarie per ripartire, perché il Chapter 11 negli
Usa ti lava la macchia del fallimento. Ma quando siamo arrivati noi il sistema digestivo
delle banche si era bloccato, ed ecco che abbiamo potuto negoziare direttamente
con il governo, cosa mai accaduta prima".
[Negli Stati Uniti ci sono appunto meno vincoli. Il
"Capitolo 11" ti lava la macchia del fallimento!]
Un negoziatore più facile perché politicamente
interessato al risanamento aziendale?
"Mica tanto facile. Continuavano a dirmi che la Fiat
doveva metterci la pelle, cioè i soldi. Ho avuto la faccia tosta all'inizio di
dire no. Avevamo studiato bene le ceneri dell'automobile americana, sapevamo
che il rischio era altissimo. Se vuoi, rispondevo, metto in gioco la mia pelle,
vale a dire reputazione e carriera, la Fiat no, nemmeno un euro".
[Marchionne ha più che una faccia tosta! Nemmeno un euro!
Per salvaguardare i soldi dei suoi padroni Agnelli/Elkann]
Perché hanno accettato?
"Tenga conto che stiamo parlando della tragedia del
2009, quando i manager uscivano per strada con gli scatoloni perché le aziende
chiudevano, quando la quota di mercato di Chrysler era precipitata al 6 per
cento, non so se mi spiego. Certo, ogni tanto mi arrivava un messaggio dal mio
partner al Tesoro: secondo te, questa rotta si sta invertendo? Bene, si è invertita.
Abbiamo restituito al governo Usa tutti i soldi che aveva messo in Chrysler, 7 miliardi
e mezzo di dollari, abbiamo ripagato tutti e dopo l'accordo con Veba non
dobbiamo più niente a nessuno. A questo punto, ci siamo comprati il resto
dell'azienda. Chrysler ha trovano un partner".
Direi un padrone, no?
"Direbbe male. La nostra non è una conquista, è la
costruzione di un insieme. Ho scritto una lettera riservata a Gec, il Group
Executive Council, cioè gli uomini che gestiscono il Gruppo, e ho detto che
quello di Fiat-Chrysler è per me un sogno di cooperazione industriale a livello
mondiale, ma soprattutto un sogno di integrazione culturale tra due
mondi".
Non vi sentite padroni di Chrysler, dunque?
"Qualcosa di più, di meglio. Abbiamo creato una cosa nuova.
E da oggi il ragazzo americano che lavora in Chrylser quando vede una Ferrari
per strada può dire: è nostra. Poi, certo, se quando sono arrivato qui mi
avessero detto che saremmo diventati il settimo costruttore del mondo, mi sarei
messo a ridere. Capisco anche che in questi anni qualcuno ci abbia preso per
pazzi. Per fortuna gli azionisti hanno creduto nel progetto e lo hanno
appoggiato. John è venuto subito a Detroit, ha capito il potenziale
dell'operazione e l'ha sostenuta fino in fondo".
[E qui Marchionne fa il reazionario americano: tira fuori
l'"orgoglio" che dovrebbe nascere nel petto del "ragazzo
americano che lavora in Chrylser" che è costretto a lavorare per un
salario diverse volte inferiore a quello degli "anziani" e
"quando vede una Ferrari per strada può dire: è nostra"! Mancano solo
le lacrime e gli applausi! Per il padrone buono!]
Lei sa che su questo successo americano c'è il sospetto
che sia stato costruito a danno dell'Italia, delle sue fabbriche e dei suoi
operai. Cosa risponde?
"Che è vero il contrario. Questa operazione ha riparato
Fiat e i suoi lavoratori dalla tempesta della crisi italiana ed europea, che
non è affatto finita. Non solo: ha dato la possibilità di sopravvivere
all'industria automobilistica italiana in un mercato dimezzato altrimenti non
ce l'avremmo più. E invece potrà ripartire con basi, dimensione e reti più
forti".
Lei dopo la firma è ottimista, ma proprio oggi il Financial Times le fa notare che 4,4
milioni di vetture prodotte da Fiat-Chrysler sono appena la metà di Toyota, e
l'accusa di esser un abile negoziatore ma non un costruttore, un uomo
d'automobili. Come si difende?
"Se adesso che ho Chrysler valgo mezza Toyota, quale
sarebbe il mio valore senza l'America? Quanto alle automobili, al salone di
Detroit 2011 abbiamo presentato 16 nuovi modelli tutti insieme. E aspettiamo il
nuovo piano Alfa Romeo, per favore, prima di parlare".
[Con queste risposte Marchionne ribadisce la propria
posizione e cioè che non si poteva investire prima, posizione smentita dagli
investimenti miliardari già fatti e in corso di tutte le altre case
automobilistiche del mondo!]
Però Moody's non ha aspettato, e ha già minacciato il
downgrade Fiat per i troppi debiti e la poca liquidità dopo l'acquisto di
Chrysler. Chi ha ragione?
"Capisco il loro ragionamento, ma ricordo che nel 2007 arrivammo
a zero debiti, prima che scoppiasse quel bordello nei mercati. Bisognerà vedere
con il piano di aprile dei nuovi modelli dove si posizionerà il debito. Io non
sono preoccupato, proprio no".
Ma la strada maestra nelle vostre condizioni non sarebbe
un aumento di capitale?
"Sarebbe una distruzione di valore. Ci sono metodi,
modelli diversi e innovativi per finanziare gli investimenti".
[Giustamente il giornalista chiede perché viste tutte queste
meraviglie gli Agnelli non investano i propri soldi! Marchionne conosce ben
altri metodi per recuperare soldi!]
Come il convertendo da un miliardo e mezzo di cui si
parla?
"Lasci stare le cifre. Ma il convertendo potrebbe essere
una misura adatta".
In un passato recente con il convertendo i banchieri
italiani si sentivano già padroni della Fiat, non ricorda?
"Ricordo, anche perché quando venivano al Lingotto
mancava solo che prendessero la misura delle sedie. Invece la verità è che
siamo qui, pronti a ripartire, ma abbiamo bisogno di soldi per finanziare la ripartenza.
Le sembra un discorso troppo esplicito, troppo poco italiano?".
No, se lei però mi dice dove quoterete la nuova società.
"Fiat è quotata a Milano. Poi, andremo dove ci sono i
soldi. Mi spiego: dove c'è un accesso più facile ai capitali. Non c'è dubbio
che il mercato più fluido è quello americano, quello di New York, ma deciderà
il Consiglio di amministrazione. Io sono pronto anche ad andare a Hong Kong per
finanziare lo sforzo di Fiat-Chrysler".
Come si chiamerà la nuova società?
"Avrà un nome nuovo".
Quando avverrà la fusione?
"Spero subito, con l'approvazione del consiglio al
dividendo Chrysler di 1,9 miliardi. A quel punto il processo è chiuso, si può
partire".
E dove sarà la sede della nuova società?
"Lo decideremo, anche in base alla scelta di Borsa, ma
mi lasci dire che è una questione che ha un valore puramente simbolico,
emotivo. La sede di Cnh Industrial si è spostata in Olanda, ma la produzione
che era qui è rimasta qui".
Lei dovrebbe capire dove nascono certe preoccupazioni.
Quando è arrivato in Fiat si producevano un milione di auto in Italia, due
milioni dieci anni prima oggi appena 370 mila su un totale di 1,5 milioni di
auto vostre. Come si può aver fiducia nel futuro dell'auto italiana in queste
condizioni?
"Se ritorniamo al punto in cui Fiat doveva investire in
controtendenza in questi anni di mercato calante, io non ci sto, perché se
posso scegliere preferisco evitare la bancarotta. Peugeot ha investito, e oggi
si vede che i soldi sono usciti, ma il mercato non c'è. In più bisogna tener
conto che le auto invecchiano, e un modello lanciato (e non comprato) durante
la crisi sarà vecchio a crisi finita, quando i consumi possono ripartire. No,
la strada è un'atra".
Quale, dopo le promesse mancate di Fabbrica Italia?
"Ecco un'altra differenza tra Italia e America. Là quando
cambiano le carte si cambia gioco, tutti d'accordo, qui avrei dovuto mantenere
gli investimenti anche quando il mercato è sparito. No, la nostra strategia è
uscire dal mass market, dove i clienti
sono pochi, i concorrenti sono tanti, i margini sono bassi e il futuro è
complicato".
[Per favore non gli ricordate che aveva promesso
investimenti con il piano Fabbrica Italia!]
Uscire dal mercato tradizionale Fiat per andare dove?
"Nella fascia Premium, prodotti di alta qualità, con
concorrenza ridotta, clienti più attenti, margini più larghi. In fondo abbiamo
marchi fantastici e per definizione Premium, come l'alfa Romeo e la Maserati.
Perché non reinventarli?".
E perché non lo avete fatto?
"E lei, mi scusi, che ne sa? Sa della Maserati a Grugliasco,
dove lavora gente in guanti bianchi a scegliere le rifiniture in pelle per
andare sui mercati del mondo. Ma non sa che in capannoni-fantasma, mimetizzati
in giro per l'Italia, squadre di uomini nostri stanno preparando i nuovi
modelli Alfa Romeo che annunceremo ad aprile e cambieranno l'immagine del
marchio, riportandolo all'eccellenza assoluta".
[Questa dei capannoni-mimetizzati in giro per l'Italia,
anche se fosse vera, è una ridicola barzelletta, all'"americana"
appunto!]
Allora perché non lo avete fatto prima?
"Mi servivano due cose: la capacità finanziaria, e oggi
finalmente Chrysler come utili e come cassa mi copre le spalle, e un accesso al
mercato mondiale. Oggi se mi presento con l'Alfa negli Usa ho una rete mia di
2.300 concessionari capaci di portare quelle auto dovunque in America,
rispettandone il dna italiano".
Dunque mi pare di capire che non venderà l'Alfa Romeo ai
tedeschi, è così?
"Se la possono sognare. E credo che la sognino,
infatti. L'Alfa è centrale nella nostra nuova strategia. Ma come la Jeep è
venduta in tutto il mondo ma è americana fino al midollo, così il dna dell'Alfa
dev'essere autenticamente tutto italiano, sempre, non potrà mai diventare
americano. Basta anche coi motori Fiat nell'Alfa Romeo. Così come sarebbe stato
un errore produrre il suv Maserati a Detroit: e infatti resterà a casa".
E cosa sarà degli altri marchi?
"Fiat andrà nella parte alta del mass market, con le famiglie Panda e Cinquecento, e uscirà dal
segmento basso e intermedio. Lancia diventerà un marchio soltanto per il
mercato italiano, nella linea Y. Come vede la vera scommessa è utilizzare tutta
la rete industriale per produrre il nuovo sviluppo dell'Alfa, rilanciandola
come eccellenza italiana".
Lei parla di modelli, parliamo di lavoro. Questa
strategia come si calerà negli impianti che oggi sono fermi, o girano con la
cassa integrazione, aumentando l'incertezza italiana nel futuro?
"Senza una rete di vendita nei mercati che tirano, far
la Maserati ad esempio non servirebbe a nulla. Adesso Chrysler ci ha completato
gran parte del puzzle, soprattutto nell'area cruciale Usa-Canada-Messico, dove
oggi possiamo entrare con gli stivali mentre ieri dovevamo presentarci con le
scarpe da ballerina".
Non è che nell'acquisto Chrysler c'è per caso una clausola
di protezione dell'occupazione e della produzione americana?
"Neanche per sogno, sarebbe una cosa tipicamente
italiana, che là non è venuta in mente a nessuno".
Parliamo allora delle fabbriche italiane. Quando e come ripartiranno?
"Ecco il quadro. Nel polo Mirafiori-Grugliasco si
faranno le Maserati, compreso un nuovo suv e qualcos'altro che non le dico. A
Melfi la 500X e la piccola Jeep, a Pomigliano la Panda e forse una seconda
vettura. Rimane Cassino, che strutturalmente e per capacità produttiva è lo
stabilimento più adatto al rilancio Alfa Romeo. Mi impegno: quando il piano
sarà a regime la rete industriale italiana sarà piena, naturalmente mercato
permettendo".
Sta dicendo che finirà la cassa integrazione eterna per i
lavoratori Fiat?
"Sì, dico che col tempo – e se non crolla un'altra
volta il mercato – rientreranno tutti".
Scommettendo sull'Alfa e sulle auto Premium lei scommette
sul dna italiano dell'auto: ma ha ancora corso nel mondo, con la crisi del
nostro Paese?
"La capacità italiana di produrre sostanza e qualità,
di inventare, di costruire è enormemente più apprezzata all'estero che da noi.
Il carattere dell'automobile italiana esiste, eccome. Tutto ciò è una ricchezza
da cui ripartire. Noi siamo pronti. Ma se continuiamo a martellarci i piedi,
invece di puntare al meglio, finirà anche questa storia".
Ma cos'è il meglio, in un Paese che perdendo il lavoro
sta perdendo anche la coscienza delle sue potenzialità, dei doveri e dei
diritti?
"E' aprirsi al mondo, trovarsi spazio nel mondo, non
chiudersi in casa, soprattutto quando intorno c'è tempesta. Fiat ci prova. Ho
scritto ai miei che possiamo concorrere a dare forma e significato alla società
del futuro. Anche per me arriverà il giorno di lasciare. Ma intanto, dieci anni
dopo, è una bella partita".
La Repubblica
10 gennaio 2014
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