Harretz, quotidiano israeliano, riporta che questa settimana verranno notificati i mandati di arresto della Corte penale internazionale dell’Aja contro Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant e il capo di Stato maggiore delle forze di difesa israeliane Ertz Halevi. La Corte sta infatti indagando sulle azioni di Israele nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza in un caso tenuto separato dagli altri compresa l'accusa di genocidio presentata dal Sudafrica.
A differenza della Corte internazionale di giustizia che sta esaminando la causa intentata dal Sudafrica contro Israele, la Corte penale internazionale si occupa dei casi contro singoli individui. Nonostante Israele, così come gli Stati Uniti, non sia firmatario dello Statuto di Roma del 1998 che ha permesso la nascita della Corte nel 2002, chi ne fa parte è invece la Palestina. Proprio le campagne militari di Israele nella Striscia di Gaza, prima Piombo Fuso e poi l’ancora più sanguinosa Margine di Protezione, spinsero l’Autorità Nazionale Palestinese a chiedere alle Nazioni Unite di poter entrare a far parte del gruppo di 124 Stati che hanno aderito allo Statuto, accettando, tra le altre cose, di favorire le indagini della Corte sul proprio territorio, in questo caso quello riconosciuto dalle Nazioni Unite secondo i confini precedenti al 1967.
Così, dal 1 aprile 2015, la Palestina è entrata ufficialmente a far parte della Corte Penale Internazionale. Già allora la decisione fece arrabbiare Israele che, come ritorsione (tanto per cambiare), decise di congelare 106 milioni di euro di tasse raccolte per conto delle autorità palestinesi.
Gli episodi oggetto di indagini da parte della Corte sono numerosi.
Innanzitutto la reazione militare sproporzionata con quasi 35mila vittime nella Striscia, può essere considerata una punizione collettiva, ritenuta un crimine di guerra dalle Convenzioni di Ginevra, in violazione del principio di proporzionalità. Inoltre, sono stati commessi attacchi intenzionali contro
civili e beni civili, oltre che al personale, ai veicoli e alle strutture di personale impegnato nell’assistenza umanitaria. In questo senso, basta ricordare i numerosi raid su strutture dell’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa), l’attacco ai convogli Unicef e della ong Wck, i bombardamenti sugli ospedali e le strutture sanitarie dove operano anche medici di organizzazioni internazionali, così come quelli contro le ambulanze impegnate nel soccorso dei civili vittime dei raid. A questi si aggiungono gli attacchi ai luoghi di culto, come le numerose moschee demolite dalle bombe israeliane.Uno dei punti su cui, secondo le fonti citate dai media, la Corte Penale Internazionale si sta concentrando maggiormente è il possibile ostacolo volontario di Israele all’afflusso di aiuti umanitari in Palestina. Strategia che ha contribuito ad affamare volontariamente la popolazione violando le convenzioni internazionali in materia di diritti umani. In questo senso, oltre all’ostacolo all’arrivo degli aiuti, a contribuire potrebbero essere stati anche gli inviti alla popolazione ad abbandonare le proprie case per sfollare verso il Sud della Striscia. Un trasferimento che potrebbe essere considerato coatto dato che è avvenuto minacciando nuovi raid.
Intanto il ministro degli Esteri Israel Katz ha dato istruzioni a tutte le ambasciate del mondo di prepararsi immediatamente per un'ondata grave anti israeliana proprio a causa dell'intervento dell'eventuale azione della Corte penale internazionale. I media israeliani hanno riferito anche che gli USA starebbero attuando un disperato sforzo diplomatico per impedire alla Corte dell'Aja di emettere questi mandati in settimana dietro pressione di Netanyahu che avrebbe fatto telefonate continue durante il weekend. Negli ultimi giorni sono tanti gli sforzi egiziani per rilanciare i colloqui di cessate il fuoco nel tentativo di fermare l'offensiva di terra israeliana a Rafah ma i bombardamenti nella zona continuano comunque a mietere vittime. Anche se Israele ha allargato le maglie per la consegna degli aiuti, la situazione a Gaza resta drammatica, un portavoce del programma alimentare mondiale ha recentemente affermato che l'aumento dei livelli di aiuto è un buon segno ma che è troppo presto per dire se il rischio di carestia sia stato scongiurato.
Intanto in Palestina non sono ammessi i giornalisti, non sono ammessi osservatori dei diritti umani, nessun testimone a parte le vittime stesse.
Di certo la comunità internazionale non può ridursi a pochi interventi umanitari ai margini di una catastrofe.
Bisogna fermare l’eccidio in corso a Gaza e la pulizia etnica della Palestina ed imporre il rispetto del diritto internazionale ad Israele.
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