da Controinformazione rossoperaia del 29/04
Le giornate del 28 e del 29 a Torino sono state due giornate di mobilitazione e di manifestazioni importanti in occasione del vertice del G7 che si è tenuto appunto in prossimità di Torino nelle residenze di Venaria e Stupinigi.
Sono state giornate importanti perché si è costruita mobilitazione contro il G7 e in particolare quella parte del G7 che nelle date di Torino si sarebbe occupata di questioni ambientali o, come meglio dire, dello scontro internazionale e dei progetti dell'imperialismo in merito all'appropriazione delle risorse energetiche.
Ci sono state sostanzialmente due giornate di lotta precedute da momenti assembleari. In queste due giornate di lotta ha avuto molto risalto quella del 28, quando il corteo, in una delle sue fasi, di fronte ai blocchi delle forze dell’ordine, ha messo in campo un'enorme falò che ha simbolicamente dato fuoco ai
grandi della terra, mostrando, pur non essendo in grado di esplicitarlo, una fortissima volontà di conflitto e di totale opposizione ai Grandi rinchiusi nelle regge di Venaria e blindati per discutere durante il G7.Il giorno dopo la caratterizzazione è stata molto più studentesca, con diversi tentativi da parte del corteo studentesco di raggiungere alcuni dei luoghi che funzionavano come residenze per i Grandi della terra e gli staff al seguito, tentativi che sono state ovviamente repressi, respinti con la forza, con gli idranti e con i manganelli dalla polizia.
Queste due giornate però ci danno l'occasione non solo per valorizzare le due giornate, l'opposizione contro questo G7 – sperando effettivamente che continui questa opposizione nelle altre date che questo vertice metterà in campo in Italia - ma ci danno l'occasione per fare un ragionamento su quello che negli ultimi anni, ma anche negli ultimi mesi, sta avvenendo anche all'interno dei movimenti cosiddetti "ambientalisti", e su questo alcune buone indicazioni, alcuni spiragli di luce sempre più evidenti si stanno facendo largo.
Sembra un po’ messa in secondo piano una tendenza che all'inizio sembrava dominante, cioè quella da un lato di isolare le questioni ambientali da tutto il resto delle contraddizioni che attraversano il Capitale e l'imperialismo, e non solo di isolare questa questione, ma di farla diventare quasi l'unica vera questione importante. Questa sembra effettivamente una posizione che via via sta diventando minoritaria. Sempre più le questioni ambientali vengono trattate attraverso lenti che hanno a che fare con il conflitto di classe, il ruolo della guerra, l'imperialismo, l'appropriazione di risorse energetiche da parte di Stati e multinazionali. Quindi una critica che, a partire dalle questioni climatiche e ambientali, mette sotto accusa effettivamente il modo di produrre, il modo di produrre merci, il modo di produrre energia, il modo di produrre cibo e il modo di sfruttare le risorse. Dall'altro lato sembra arretrare anche una tendenza che per una fase sembrava predominante, cioè che la mobilitazione del movimento ambientalista fosse caratterizzato soprattutto dal tentativo di far aprire gli occhi su quello che stesse avvenendo, come se lo scopo ultimo fosse quello di "far aprire gli occhi ai Grandi della terra" ai quali si chiedeva di "ascoltare gli scienziati", si chiedeva di "essere lucidi", si chiedeva di tenere conto degli avvertimenti che venivano dai movimenti ambientalisti, e ai quali un po’ sembrava demandarsi e delegare verso l'alto la possibilità di una soluzione.
Questa cosa negli ultimi anni sembra essere una posizione che sta in parte arretrando. Sta guadagnando invece molto più spazio una posizione che cerca di sviluppare conflitto, cerca di far aprire sì gli occhi alle persone ma anche cercando alleanze con chi si occupa più specificatamente di temi che possono riguardare le altre contraddizioni che attraversano il capitalismo, da quella sullo sfruttamento sul lavoro, da quella che riguarda la guerra, da quella che riguarda il genocidio in Palestina… Quindi si sta tentando effettivamente un meccanismo di accumulazione di forze, di sviluppo della mobilitazione e di radicalizzazione di questa mobilitazione, ormai certi che non saranno i Grandi della terra a convincersi delle buone ragioni dei movimenti ma che sarà necessario sviluppare la forza dei movimenti per riuscire a costringere Stati e multinazionali ad arretrare e quindi a tentare via via di ribaltare anche su questo piano i rapporti di forza.
Questo è sicuramente un aspetto positivo, dovuto probabilmente a un'insieme di fattori: da un lato il lavoro di tanti compagni che dentro e accanto ai movimenti, alle organizzazioni più strettamente ambientaliste hanno lavorato per costruire una maggiore consapevolezza delle dinamiche che attraversano il nostro modo di produzione e anche una radicalizzazione rispetto alle pratiche messe in campo da questi movimenti - e questo in parte sembra essere un dato acquisito. Dall'altro lato ha agito, come spesso accade in maniera paradossale, la repressione che trattando ogni manifestazione di dissenso su questioni ambientali come forma di “ecoterrorismo” ha tentato di stringere all'angolo i giovani che si mobilitavano e che portavano avanti le proprie azioni su questo tema, etichettandoli come violenti e come “ecoterroristi”, formalizzando una inconciliabilità, incompatibilità di fatto tra le ragioni dei movimenti e le ragioni dei governi, e quindi, invece di far arretrare il movimento, ha prodotto una acquisizione di consapevolezza e di effettiva radicalizzazione.
E dall'altro lato ancora probabilmente ha avuto peso lo sviluppo di tutta una serie di questioni a livello internazionale come la già citata tendenza alla guerra, lo scontro interimperialista, l'appropriazione delle risorse che è parte della strategia colonialista, imperialista, di Israele, lo scontro sulle risorse energetiche; cioè tutta una serie di temi che, pur parlando anche di molte contraddizioni di cui si occupano prettamente i movimenti ambientalisti, non potevano che essere analizzate con maggior consapevolezza attraverso una visione più politica che ponesse al centro l'esistenza di interessi contrapposti, in cui anche il benessere climatico e anche la tutela dell'ambiente non siano da interpretare come una situazione in cui “siamo tutti sulla stessa barca”, ma che vedano parti distinte della popolazione, delle classi, su fronti diversi, in cui uno dei due è teso tuttora a riprodurre questa normalità fatta di sfruttamento e fatta effettivamente di sfruttamento ecocida, come come si usa dire, rispetto all'appropriazione delle risorse e alla distruzione dell'ambiente.
Ormai le diseguaglianze ecologiche vengono via via interpretate come diseguaglianze socio-ecologiche e in questo senso è di buon auspicio questa radicalizzazione e questa maggiore politicizzazione dell'analisi del cambiamento climatico e delle sue conseguenze non solo ecologiche ma anche economiche, politiche e sociali.
In questo senso le giornate di mobilitazione sul G7 Ambiente di Torino hanno restituito in parte questo spaccato; come in parte anche la radicalizzazione di alcuni esponenti più celebri del movimento ambientalista di quest'anno vanno interpretate sicuramente in questo contesto, al di là del peso oggettivo che hanno. Chiaramente qui un riferimento tra tutti sono le prese di posizione di Greta Thunberg rispetto alla Palestina e la capacità di resistere alle feroci critiche che lei e in parte il movimento che fa riferimento a lei hanno subito rispetto allo schierarsi su ciò che sta avvenendo in Palestina.
Nessun commento:
Posta un commento