L'orribile strage dei lavoratori continua ininterrotta. Ieri altri 5 morti sul lavoro, 5 vite operaie, giovani, anziani, migranti, spezzate per il profitto dei padroni, per il sistema che produce morte dei lavoratori, per il governo che sulla sicurezza sul lavoro dimostra fino in fondo di essere un’agenzia, un Ufficio consulenza dei padroni.
Non si era ancora spento l'eco e né si spegnerà l'eco della strage di Firenze, dove gli operai sono stati seppelliti vivi dal crollo delle strutture atte alla costruzione di un nuovo grande centro commerciale dell'ESSELUNGA.
Abbiamo già detto molto su questo, denunciato, sostenuto le proteste sul territorio, sostenuto anche lo sciopero - banale e limitato - indetto dai sindacati confederali di 2 ore. Abbiamo denunciato le responsabilità del governo, del sistema, dei padroni assassini.
Ma queste nuove morti ci dicono che la denuncia che facciamo - giusta e necessaria – è insufficiente e che bisogna andare dentro le vicende che producono questi morti operai.
In fabbrica innanzitutto, perché è facile descrivere le condizioni di lavoro che vi sono in edilizia o vi sono nei luoghi in cui più facilmente la vita degli operai è a rischio, ma in fabbrica in generale è nascosta, è meno evidente che il lavoro è nocivo, che il lavoro è mortale e che i profitti dei padroni sono esattamente l'altra faccia del pianeta dello sfruttamento sul lavoro.
A Caserta è morto Giuseppe Borrelli, 26 anni, un ragazzo di Volla, nel Napoletano, stritolato e morto in una pressa della laminazione sottile, nella fabbrica del gruppo Moschini che ha sede a San Marco Evangelista, in provincia di Caserta. Era da solo quando si è verificato l'incidente.
Il gruppo Moschini non è una fabbrichetta. Il gruppo Moschini ha stabilimenti in Italia, Inghilterra, Turchia, Canada, Corea del Sud. Quella di San Marco non è una fabbrichetta, lavorano 400 operai. Trasformano in pellicole di alluminio per alimenti i profilati t 30/40 m. Borrelli lavorava lì da tre o
quattro anni, non è nemmeno chiaro. Ma il suo datore di lavoro non era il gruppo Moschini, per cui lavorava. Il gruppo Moschini è stato insignito da Mattarella, alcuni anni fa, della onorificenza dei cavalieri del lavoro per meriti speciali della Repubblica. Il contratto che aveva Giuseppe Borrelli era con la Gi Group, un'agenzia interinale. Era quest'ultima che lo aveva assunto a tempo indeterminato e poteva spostarlo da un cliente all'altro sulla base delle richieste ed era Gi Group che gli pagava lo stipendio sulla base dell'inquadramento contrattuale dei metalmeccanici.La figura di questo giovane operaio è di staff leasing, cioè in affitto, operaio in affitto.
All'azienda questo andava benissimo perché aveva personale qualificato ma, nello stesso tempo, nessun vincolo diretto contrattuale con esse.
Con il contratto staff leasing l'operaio si sente perennemente in bilico, vive una condizione di eterna precarietà in ciascuna delle fabbriche in cui lavora. Si tratta di un giovane operaio eternamente in ricatto e quindi obiettivamente disponibile ad accettare le richieste aziendali del suo uso. Se sei un operaio in staff leasing e sei considerato un rompiscatole, l'azienda ti prende e ti rispedisce al mittente senza avere nessun obbligo di tenerti al lavoro.
Borrelli è morto in fabbrica e ci sono altri operai che svolgono medesime mansioni eppure l'inquadramento di questi operai è differente rispetto a quello di Giuseppe, perché accanto agli assunti a tempo indeterminato ci sono i precari delle ditte dell'appalto, di subappalto e infine quelli forniti dalle agenzie interinali.
Ma ieri è morto anche un altro operaio, un operaio di 38 anni, questa volta alla Jindal Films di Brindisi, il grande gruppo industriale dell'acciaieria mondiale che ha conteso fino all'ultimo l'acquisizione dell'ArcelorMittal, l'ex Ilva. Successivamente ha avuto parte dell'acciaieria di Piombino, riducendola, anche quella, in un'eterna cassa integrazione in attesa di tempi migliori. Figlia di Jindal, la Vulcan Steel, è uno dei possibili acquirenti ora dell'ex Ilva di Taranto nel quadro della nuova assegnazione al nuovo padrone. Quindi la Jindal ha altri stabilimenti, stabilimenti minori, non organicamente inseriti nel piano dell'acciaio. E uno di questi è nella zona industriale di Brindisi.
Gianfranco Conte, 38 anni, sposato e padre di due bambini, è morto schiacciato da una bobina mentre lavorava nella fabbrica della Jindal Films che produce film in polietilene, quindi un tipo di produzione differente da quello dell'acciaio. Stava manovrando un carroponte all'interno dello stabilimento quando è stato travolto da una bobina, è stato centrato in pieno torace. L'impatto è stato violento, è rimasto per pochi minuti reattivo, tanto che lui stesso ha spento l'interruttore del macchinario e ha chiesto aiuto. Però via via che i minuti scorrevano è peggiorato, ha perso i sensi. All'arrivo dell'ambulanza le condizioni erano gravissime. L'urto con la bobina ha causato lesioni interne. La corsa all'ospedale è risultata inutile. È deceduto pochi minuti dopo l'arrivo al pronto soccorso.
Ora c'è l'inchiesta, ma cosa c'è di più chiaro di questa morte?
Alla Jindal la sicurezza non c'era. Già il 27 agosto dello scorso anno si è si era verificato un altro grave infortunio. E qui era stato un operaio di sessant'anni a rischiare la vita con una mano incastrata in un rullo. Anche lì l'operaio aveva reagito, aveva avuto anche qui il sangue freddo di spegnere l'interruttore dell'impianto. E qui era stato salvato, anche se gravemente ferito.
Quindi è evidente che in questa fabbrica la sicurezza non c'è, non c'è mai stata. E gli operai, anche in casi di infortunio, sono soli. Si devono salvare la vita da soli. Sono morti anche un altro lavoratore a Carpenedolo, Brescia. A Castellammare di Stabia, invece, è nella Fincantieri che è morto un operaio dello Sri Lanka colpito da un malore. Non sappiamo ancora molto su questa morte.
Ma non ci sono stati morti solo in fabbrica, ieri. Spesso in un solo giorno muoiono più operai in più posti di lavoro. A San Giorgio a Liri (Frosinone), un sessantenne è caduto dal compattatore per la raccolta differenziata ed è morto.
Cosa fare? Dobbiamo ascoltare la litania di governo/padroni/stampa/sindacati confederali? Dobbiamo ancora una volta aspettare gli scioperi immediati che in generale ci sono, ma che immediatamente vengono dimenticati?
E’ chiaro che in questa descrizione delle morti c'è già il perché di queste morti, le circostanze possono essere casuali ma si tratta innanzitutto della questione degli appalti, dei subappalti a cascata, si tratta dei tempi delle lavorazioni sempre più veloci e pericolose, si tratta della mancanza di controllo, si tratta di aziende che possono tranquillamente non tener conto della sicurezza, sapendo che comunque non gli succede niente, si tratta di situazioni in cui operai nelle stesse condizioni hanno contratti diversi e quindi viene a mancare perfino quel vincolo stretto di autocontrollo e solidarietà. Si tratta di assenza del sindacato all'interno della fabbrica, dove la linea sindacale è sempre collaborazionista coi padroni e impotente a difendere le condizioni dei lavoratori e i lavoratori non vedono nel sindacato uno strumento di autodifesa e anche un punto di riferimento durante il loro lavoro e meno che mai un punto di difesa per impedire che queste situazioni succedano.
Noi siamo perché alle morti sul lavoro si risponda sempre con la lotta, siamo perché tutti i giorni ci sia un'attività per la sicurezza sui posti di lavoro a 360 °. Siamo perché i lavoratori abbiano all'interno della fabbrica, del posto di lavoro, costantemente un rappresentante per la sicurezza, da loro eletto, indipendentemente dalla tessera sindacale che possa e abbia i poteri di interrompere il lavoro nocivo. Siamo per l'applicazione rigida di tutte le leggi che riguardino la sicurezza sul lavoro, a partire da rifiutare il lavoro quando non è in condizioni di sicurezza, senza dover necessariamente andare a casa e perdere la giornata. Siamo perché questa attività sia sostenuta nazionalmente da una Rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro e sul territorio, impegnata non tanto a proporci l'eterna litania dei dati o delle possibili leggi che possono migliorare la situazione, ma che sia una struttura di combattimento, in azione permanente che unisca operai delegati indipendentemente dalla dalla tessera sindacale, unisca tecnici, avvocati, medici che possa in misura preventiva - e quando succedono gli incidenti in misura successiva - intervenire e sostenere gli operai e le loro famiglie. Siamo per le postazioni ispettive nelle grandi zone industriali, anche se su questo la linea di depotenziamento degli ispettorati del lavoro e degli organi di controllo perseguite dai governi in questi anni - e che trova la sua apoteosi con questo governo che è un governo di coloro che uccidono i lavoratori, i consulenti sul lavoro di coloro che suggeriscono ai padroni come eludere le norme sulla sicurezza sul lavoro - ha peggiorato la situazione e quindi perfino le prestazioni ispettive non sarebbero più una garanzia senza il controllo operaio.
Ma è chiaro che finché non si aggrediscono le condizioni strutturali di precarietà, le condizioni strutturali di bassi salari, le condizioni strutturali di riduzione delle spese per la sicurezza e la loro impossibilità di essere imposte attraverso il sistema legislativo e penale che diventa sempre meno efficiente nel colpire queste responsabilità.
La scelta del governo è quello della collaborazione coi padroni, è quello della protezione dei padroni. Ed evidente che questo significa morti sul lavoro.
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