di Elisabetta Della Corte da contropiano
C’è un bel lungometraggio di Jonas Carpignano, Mediterranea, realizzato dopo A ‘Chjana anche questo da vedere, che restituisce parte della complessa esperienza migratoria di un uomo dal Burkina Faso che approda poi in Calabria, dove il protagonista, tra le altre esperienze, vive anche quella della rivolta di Rosarno del 2010.
A’Chjana, e poi Mediterranea,
raccontano ciò che in molti si ostinano a non vedere o che si cerca di
rimuovere in fretta – la brutalità a cui sono sottoposte queste vite di
scarto-, come nelle recenti
vicende di Falerna e Rosarno.
vicende di Falerna e Rosarno.
A Falerna, il sindaco, in nome di una
paranoica esigenza di ordine e sicurezza, ha scacciato 200 immigrati dal
Residence degli Ulivi. Negli appartamenti di questo complesso turistico
erano stati collocati i rifugiati dell’emergenza del 2011, la
cosiddetta Emergenza Nord-Africa2,
alimentata dalla disastrosa situazione libica dopo la ‘rivoluzione di
febbraio’ dello stesso anno; sostenuta per ragioni strategiche in primis
da Francia e Inghilterra, e poi USA e Italia, che portò alla caduta del
colonnello Gheddafi che, fino ad allora, tra ricatti e concessioni,
aveva garantito, un certo controllo sulle partenze dalle coste libiche,
nodo centrale nel traffico di persone, tra le vecchie colonie
dall’Africa sub-sahariana e l’Europa.
Lo stato d’emergenza si protrasse fino al
2013, i soldi erano finiti, i profughi erano rimasti tali, ma nessuno
sapeva o voleva fare qualcosa, se non allontanarli. I migranti
incontrati, a marzo di quell’anno, al Residence degli ulivi, ci
raccontarono delle traversie vissute, delle mancanze subite nella
sbrindellata accoglienza italiana, delle incertezze e la paura di
ritrovarsi per strada. Alcuni volevano continuare a studiare ma non
sapevano cosa fare, a chi rivolgersi; altri speravano di andare via in
altri paesi, ma quasi tutti erano finiti a lavorare nei campi quando
c’era da fare, per poco meno di trenta euro al giorno, per otto ore e
più di lavoro.
Uno di loro ci mostrò le cartelle
mediche, era seriamente malato, ma aveva ricevuto poco e niente;
lavorava come bracciante e per sottoporsi ad una sfibrante terapia
‘salva vita’ doveva inforcare la sua bicicletta e percorrere oltre dieci
chilometri all’andata e al ritorno. A Falerna, non c’era solo il
Residence degli Ulivi, in zona avevano trovato rifugio altri immigrati,
in altre strutture, poi chiuse con la fine dei finanziamenti. Diversi
alloggi, più o meno vivibili, nel corso delle perenni emergenze sono
stati concessi, a pagamento, con rilevanti entrate per i locatori che
avevano trovato così un modo conveniente per far fruttare immobili e
alberghi inutilizzati.
Con rabbia e stupore gli immigrati ci
raccontarono di come dall’oggi all’indomani, finiti i fondi-diversi
milioni di euro- molti operatori del sistema di accoglienza, che fino ad
allora erano stati anche i loro referenti sul territorio e presso i
servizi, divennero irrintracciabili al telefono e svanirono nel nulla.
Emergenze infinite, problemi irrisolti,
vite frantumate in percorsi segnati da trappole e galere; benefattori
più o meno fasulli; inospitalità, razzismo e sfruttamento intensivo,
sono alcuni degli aspetti prevalenti.
Non è molto diverso da quanto accade
altrove, è vero, ma l’ostinata ipocrisia istituzionale che avvolge la
vicenda dell’accoglienza ai migranti, e più in generale le relazioni di
brutale sfruttamento a cui sono sottoposti, appaiono qui in tutta la
loro luce.
Basti pensare alla cosiddetta rivolta di
Rosarno e a quello che è successo dopo. A Rosarno nei primi giorni di
gennaio del 2010 dopo l’ennesima violenza subita dai migranti, scoppia
la rivolta – quella volta da un’auto in corsa dei ragazzi avevano
sparato a degli immigrati sulla strada che portava alla fabbrica
abbandonata in cui vivevano accampati, in condizioni disumane, con altre
centinaia d’immigrati arrivati nella piana per la raccolta degli
agrumi. Nelle strade del paese di Rosarno sfila il corteo degli
immigrati che dopo il ferimento dei loro compagni riprendono la strada,
salgono al paese e lì manifestano la loro rabbia.
I vincoli di compatibilità sono saltati;
Rosarno, in quei giorni, è il crocevia della rabbia e della miseria, il
teatro dello scontro tra una parte dei rosarnesi e i lavoratori
immigrati.
La situazione è fuori controllo, dopo le
ronde degli autoctoni, le vessazioni, la caccia agli immigrati nei
casolari di campagna, si decide, per questioni di ordine pubblico, di
sgombrare l’ex-fabbrica e portare via gli immigrati.
Intanto la notizia della rivolta di
Rosarno fa il giro del mondo destando sconcerto. Finito il clamore,
spente le luci del circo mediatico, gli interventi promessi e
finanziati, a livello locale, per migliorare le condizioni di vita e di
lavoro di quei lavoratori immigrati, che ogni anno tornano per la
raccolta degli agrumi, sono sfumati così come altre promesse. I fondi
continuano ad arrivare, ma si disperdono in mille rivoli, dirottati
verso il nulla di fatto.
L’ultimo incendio, di pochi giorni fa,
nella notte tra il 6-7 dicembre, all’interno del nuovo insediamento di
tende e baracche sorto dopo la rivolta di Rosarno, nel comune limitrofo
di San Ferdinando, dimostra quanto poco si sia fatto nonostante le
promesse e i fondi pubblici3.
Anche se a livello regionale si parla di
‘Sistema di accoglienza integrata’ e di rinascita delle aree in via di
spopolamento attraverso la presenza dei migranti, di fatto la retorica è
tanta e i piani d’intervento sembrano assecondare più le esigenze
economiche degli autoctoni che i bisogni delle persone in fuga. La
vicenda dell’ultimo sgombero è solo uno dei tasselli della politica del
disprezzo da un lato e della furberia nostrana dall’altra.
Il modello sperimentato nel corso
dell’Emergenza Nord Africa, quello dell’accoglienza diffusa sul
territorio, diretto dalla Protezione civile- pur non trattandosi di un
terremoto o di un’altra catastrofe- è stato costoso, per molti versi
improvvisato, e soprattutto non facilitava l’inserimento dei rifugiati
ma li consegnava all’inedia di un assistenzialismo risicato sostenuto da
una buona dose di opportunismo e cinismo istituzionale.
1 di Jonas Carpignano, A Chjàna e Mediterranea qui i trailer: https://www.youtube.com/watch?v=LwwkXfmBdq8 https://www.youtube.com/watch?v=qaALVBbde_A
3 http://campagneinlotta.org/fuoco-ai-ghetti-di-stato-casa-per-chi-ci-vive/#.WElWPmFlpAc.facebook
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