mercoledì 7 dicembre 2016

pc 7 dicembre - Una storia di sfruttamento verso i lavoratori immigrati

Da La Bottega del Barbieri
La vicenda di un giovane lavoratore afgano: espulso dal suo Paese e oggi dalla fabbrica italiana.
E’ come vedere l’ultimo film di Ken Loach, senza pagare il biglietto (*).
di Vito Totire (**)
In Italia e in Europa gli appelli all’inserimento socio-lavorativo degli immigrati sono all’ordine del giorno, ma ci vogliono fatti e procedure efficienti per realizzare questo obiettivo.
Ecco una vicenda significativa. Un giovane profugo proveniente dall’Afghanistan, via Pakistan, approda in Italia. Lavora per alcuni anni. Poi sviluppa una sensibilizzazione allergica riconosciuta dall’INAIL in
quanto eziologia lavorativa; tuttavia l’INAIL, in una fase di notevole distanza temporale dall’agente per lui nocivo, riconosce un danno biologico uguale a zero.
Di fatto questo lavoratore è stato espulso dalla fabbrica. Licenziato per “inidoneità” perchè ogni volta che rimetteva piede nel luogo di lavoro l’allergia si ripresentava e sempre più forte.
L’ASL non ha condiviso il parere del medico aziendale che lo ha dichiarato “inidoneo” e ha decretato “che il lavoratore venisse adibito ad attività che non lo esponessero alle sostanze a cui è diventato allergico”. Esiste una postazione simile in fabbrica? Il datore di lavoro dice di no.

Alcune domande. Un organo ispettivo ha validato questa opinione o ha valutato se l’agente eziologico possa essere utilizzato con un sistema a circuito chiuso? Non che sia semplice, ma questo obiettivo è davvero tecnologicamente non fattibile? Non ci risulta che questi approfondimenti siano stati fatti; in questo caso dunque il parere del datore di lavoro è legge.
Dall’altra parte la ASL, il medico di base, il medico aziendale e tutti i dermatologi-allergologi che hanno visitato il lavoratore: nessuno di loro ha segnalato la situazione all’INAIL. Lo fa, nel dicembre 2015, il medico di una associazione di volontariato: nessuno degli altri aveva sospettato la natura occupazionale della patologia? La domanda pare pertinente visto che occorrerebbe, anche per ragioni deontologiche, segnalare all’INAIL le patologie professionali, pur se solo “sospette”. Peraltro se una schiera così numerosa di medici non ravvisa una eziologia professionale che invece viene poi riconosciuta dall’INAIL sorge un dubbio (ovviamente sfondiamo una porta apertissima…): che in Italia ci sia una sottostima delle effettive malattie professionali? Ma veh!!!
Non ci soffermiamo, al momento, in maniera approfondita sui motivi per i quali la allergia si è slatentizzata (***); è materia che approfondiremo in altra sede. Sta di fatto che (evidentissimi sono i tanti casi analoghi a questo, per esempio in edilizia) una esposizione massiccia e indebita certamente è in grado di slatentizzare una allergia che altrimenti avrebbe potuto rimanere silente, almeno per decenni. Si profila dunque la ipotesi di una organizzazione del lavoro non sufficientemente attenta alla prevenzione con questa “motivazione”: se un operaio diventa allergico non è un grande problema, lo si licenzia e se ne assume un altro; tanto la forza-lavoro abbonda...
Veniamo al punto più urgente: il lavoratore (con moglie a carico) è disoccupato da lungo tempo. Gli è precluso qualunque sbocco occupazionale in comparti in cui siano presenti le sostanze alle quali si è sensibilizzato (salvo, come si diceva, una “lungimirante” gestione di questi fattori di rischio “a ciclo chiuso”). La nazionalità non italiana e il livello di formazione non concorrono a dargli grandi chances. Perché solleviamo il problema adesso? Perché l’INAIL, tabelle medico-legali alla mano, ha ribadito ieri (16/11/16) in “collegiale” il riconoscimento di un danno biologico uguale a zero...
Ora le tabelle sono discutibili, certamente vanno cambiate e aggiornate (peraltro: di cosa si occupano i Ministri del Governo in carica?): difficile per noi comuni mortali comprendere come una malattia che ti ha espulso dal lavoro possa, nelle effettive misure di protezione sociale, corrispondere allo zero.
Ma il problema ancora più urgente oggi pare un altro. Quel che è più grave cioè è che questo lavoratore oggi non può contare sul supporto di nessuna agenzia pubblica per il ricollocamento lavorativo. E’ vero: esistono agenzie private di ricollocamento, ma quelle che hanno chances di riuscita costano, le altre non hanno possibilità di raggiungere l’obiettivo.
Con un danno biologico uguale a zero il nostro amico non ha nessuna possibilità di entrare sotto la cappa di protezione della Legge 68/99 (che peraltro funziona malissimo anche per chi abbia cosiddette invalidità riconosciute: 35% INAIL o 46% “civili”).
Non entriamo nel merito delle tragiche motivazioni che hanno costretto questa persona a scappare dal suo Paese di origine (forse ci sarà occasione di farlo in seguito). Il nostro amico era convinto di trovare in Italia un futuro molto diverso.
Giustizia vorrebbe che si prestasse grande attenzione a non espellere il più vulnerabile per sostituirlo, come se fosse il pezzo di un ingranaggio rotto. Peraltro diversi studiosi (allergologi ed epidemiologi) hanno evidenziato che migrare da un continente a un altro può comportare uno shock ambientale per il sistema immunitario. Dunque l’evento di cui stiamo parlando potrebbe avere una dimensione non solo individuale (sarebbe ugualmente importante), ma anche sociale.
Oggi questo lavoratore non deve essere abbandonato, occorre inserirlo in un percorso formativo ad hoc e garantirgli, in attesa di un pieno reinserimento in un ambiente di lavoro risk-free, un reddito per sopravvivere decentemente.
I quotidiani hanno annunciato un bando per 400 posti di lavoro a Bologna per le persone in difficoltà. Peccato che non sia stato comunicato alla opinione pubblica il referente a cui rivolgersi per le domande di inserimento nella ovvia graduatoria prevista. Cercheremo il referente, sperando che le domande non siano esorbitanti rispetto al numero di 400 posti.
Diciamo e facciamo tutto questo perché intendiamo rapportarci agli immigrati e (agli autoctoni) come persone portatrici di diritti e non usarli come forza-lavoro da rottamare alla prima occasione.
POST SCRIPTUM PER IL SINDACO DI BOLOGNA: fra un suo impegno e l’altro si ricordi della delibera comunale che ha deciso di collocare una targa commemorativa nel luogo dell’omicidio sul lavoro del giovane operaio albanese Reuf Islami morto soffocato sotto uno scavo non protetto in via Ranzani; si avvicina il prossimo anniversario e non vorremmo che fosse dimenticato anche questa volta. (****).
Bologna, 17/11/16
(*) Ovviamente grazie a Ken Loach e a chi si ricorda degli “ultimi”...
(**) Vito Totire è medico del lavoro/psichiatra, portavoce del circolo “Chico” Mendes di Bologna
(***) A proposito di “slatentizzata” ho chiesto a Vito Totire una spiegazione. Eccola.
Si valuta che in un gruppo di persone esposte a un allergene non tutti possano essere candidati a sviluppare l’allergia. Si ritiene che vadano più facilmente incontro alle manifestazioni allergiche i cosiddetti atopici, in sostanza i più vulnerabili. Tuttavia questi manifestano l’allergia più o meno velocemente anche in rapporto ai livelli di esposizione: se l’esposizione è effettivamente minimale è possibile che la vulnerabilità rimanga latente e si manifesti, magari in forma sfumata, solo a fine carriera. Livelli elevati di esposizione slatentizzano nel senso che fanno emergere i sintomi della malattia più in fretta; in sostanza slatentizzazione vuol dire uscita dalla incubazione preclinica e comparsa della dimensione clinica della malattia: quando la malattia è slatentizzata le dosi capaci di riaccendere la patologia sono veramente infinitesime. Purtroppo la triste storia tipica è quella dell’operaio edile ultrasessantenne che comincia a proteggersi dalla polvere del cemento... un po’ troppo tardi e che pure deve tirare per arrivare alla pensione”.
(****) La vicenda di Reuf Islami è stata raccontata qui:

Nessun commento:

Posta un commento