Da
La Bottega del Barbieri
La
vicenda di un giovane lavoratore afgano: espulso dal suo Paese e oggi
dalla fabbrica italiana.
E’
come vedere l’ultimo film di Ken Loach, senza pagare il biglietto
(*).
di
Vito
Totire
(**)
In
Italia e in Europa gli appelli all’inserimento socio-lavorativo
degli immigrati sono all’ordine del giorno, ma ci vogliono fatti e
procedure efficienti per realizzare questo obiettivo.
Ecco
una vicenda significativa. Un giovane profugo proveniente
dall’Afghanistan, via Pakistan, approda in Italia. Lavora per
alcuni anni. Poi sviluppa una sensibilizzazione allergica
riconosciuta dall’INAIL in
quanto eziologia lavorativa; tuttavia l’INAIL, in una fase di notevole distanza temporale dall’agente per lui nocivo, riconosce un danno biologico uguale a zero.
quanto eziologia lavorativa; tuttavia l’INAIL, in una fase di notevole distanza temporale dall’agente per lui nocivo, riconosce un danno biologico uguale a zero.
Di
fatto questo lavoratore è stato espulso dalla fabbrica. Licenziato
per “inidoneità” perchè ogni volta che rimetteva piede nel
luogo di lavoro l’allergia si ripresentava e sempre più forte.
L’ASL
non ha condiviso il parere del medico aziendale che lo ha dichiarato
“inidoneo” e ha decretato “che il lavoratore venisse adibito ad
attività che non lo esponessero alle sostanze a cui è diventato
allergico”. Esiste una postazione simile in fabbrica? Il datore di
lavoro dice di no.
Alcune
domande. Un organo ispettivo ha validato questa opinione o ha
valutato se l’agente eziologico possa essere utilizzato con un
sistema a circuito chiuso? Non che sia semplice, ma questo obiettivo
è davvero tecnologicamente non fattibile? Non ci risulta che questi
approfondimenti siano stati fatti; in questo caso dunque il parere
del datore di lavoro è legge.
Dall’altra
parte la ASL, il medico di base, il medico aziendale e tutti i
dermatologi-allergologi che hanno visitato il lavoratore: nessuno di
loro ha segnalato la situazione all’INAIL. Lo fa, nel dicembre
2015, il medico di una associazione di volontariato: nessuno degli
altri aveva sospettato la natura occupazionale della patologia? La
domanda pare pertinente visto che occorrerebbe, anche per ragioni
deontologiche, segnalare all’INAIL le patologie professionali, pur
se solo “sospette”. Peraltro se una schiera così numerosa di
medici non ravvisa una eziologia professionale che invece viene poi
riconosciuta dall’INAIL sorge un dubbio (ovviamente sfondiamo una
porta apertissima…): che in Italia ci sia una sottostima delle
effettive malattie professionali? Ma veh!!!
Non
ci soffermiamo, al momento, in maniera approfondita sui motivi per i
quali la allergia si è slatentizzata (***); è materia che
approfondiremo in altra sede. Sta di fatto che (evidentissimi sono i
tanti casi analoghi a questo, per esempio in edilizia) una
esposizione massiccia e indebita certamente è in grado di
slatentizzare una allergia che altrimenti avrebbe potuto rimanere
silente, almeno per decenni. Si profila dunque la ipotesi di una
organizzazione del lavoro non sufficientemente attenta alla
prevenzione con questa “motivazione”: se un operaio diventa
allergico non è un grande problema, lo si licenzia e se ne assume un
altro; tanto la forza-lavoro abbonda...
Veniamo
al punto più urgente: il lavoratore (con moglie a carico) è
disoccupato da lungo tempo. Gli è precluso qualunque sbocco
occupazionale in comparti in cui siano presenti le sostanze alle
quali si è sensibilizzato (salvo, come si diceva, una “lungimirante”
gestione di questi fattori di rischio “a ciclo chiuso”). La
nazionalità non italiana e il livello di formazione non concorrono a
dargli grandi chances. Perché
solleviamo il problema adesso?
Perché l’INAIL, tabelle medico-legali alla mano, ha ribadito ieri
(16/11/16) in “collegiale” il riconoscimento di un danno
biologico uguale a zero...
Ora
le tabelle sono discutibili, certamente vanno cambiate e aggiornate
(peraltro: di cosa si occupano i Ministri del Governo in carica?):
difficile per noi comuni mortali comprendere come una malattia che ti
ha espulso dal lavoro possa, nelle effettive misure di protezione
sociale, corrispondere allo zero.
Ma
il problema ancora più urgente oggi pare un altro. Quel che è più
grave cioè è che questo lavoratore oggi non può contare sul
supporto di nessuna agenzia pubblica per il ricollocamento
lavorativo. E’ vero: esistono agenzie private di ricollocamento, ma
quelle che hanno chances di riuscita costano, le altre non hanno
possibilità di raggiungere l’obiettivo.
Con
un danno biologico uguale a zero il nostro amico non ha nessuna
possibilità di entrare sotto la cappa di protezione della Legge
68/99 (che peraltro funziona malissimo anche per chi abbia cosiddette
invalidità riconosciute: 35% INAIL o 46% “civili”).
Non
entriamo nel merito delle tragiche motivazioni che hanno costretto
questa persona a scappare dal suo Paese di origine (forse ci sarà
occasione di farlo in seguito). Il nostro amico era convinto di
trovare in Italia un futuro molto diverso.
Giustizia
vorrebbe che si prestasse grande attenzione a non espellere il più
vulnerabile per sostituirlo, come se fosse il pezzo di un ingranaggio
rotto. Peraltro diversi studiosi (allergologi ed epidemiologi) hanno
evidenziato che migrare da un continente a un altro può comportare
uno shock ambientale per il sistema immunitario. Dunque l’evento di
cui stiamo parlando potrebbe avere una dimensione non solo
individuale (sarebbe ugualmente importante), ma anche sociale.
Oggi
questo lavoratore non deve essere abbandonato, occorre inserirlo in
un percorso formativo ad
hoc e
garantirgli, in attesa di un pieno reinserimento in un ambiente di
lavoro risk-free, un reddito per sopravvivere decentemente.
I
quotidiani hanno annunciato un bando per 400 posti di lavoro a
Bologna per le persone in difficoltà. Peccato che non sia stato
comunicato alla opinione pubblica il referente a cui rivolgersi per
le domande di inserimento nella ovvia graduatoria prevista.
Cercheremo il referente, sperando che le domande non siano
esorbitanti rispetto al numero di 400 posti.
Diciamo
e facciamo tutto questo perché intendiamo rapportarci agli immigrati
e (agli autoctoni) come persone portatrici di diritti e non usarli
come forza-lavoro da rottamare alla prima occasione.
POST
SCRIPTUM PER IL SINDACO DI BOLOGNA: fra un suo impegno e l’altro si
ricordi della delibera comunale che ha deciso di collocare una targa
commemorativa nel luogo dell’omicidio sul lavoro del giovane
operaio albanese Reuf Islami morto soffocato sotto uno scavo non
protetto in via Ranzani; si avvicina il prossimo anniversario e non
vorremmo che fosse dimenticato anche questa volta. (****).
Bologna,
17/11/16
(*)
Ovviamente grazie a Ken Loach e a chi si ricorda degli “ultimi”...
(**)
Vito Totire è medico del lavoro/psichiatra, portavoce del circolo
“Chico” Mendes di Bologna
(***)
A proposito di “slatentizzata”
ho chiesto a Vito Totire una spiegazione. Eccola.
“Si
valuta che in un gruppo di persone esposte a un allergene non tutti
possano essere candidati a sviluppare l’allergia. Si ritiene che
vadano più facilmente incontro alle manifestazioni allergiche i
cosiddetti atopici, in sostanza i più vulnerabili. Tuttavia questi
manifestano l’allergia più o meno velocemente anche in rapporto ai
livelli di esposizione: se l’esposizione è effettivamente minimale
è possibile che la vulnerabilità rimanga latente e si manifesti,
magari in forma sfumata, solo a fine carriera. Livelli elevati di
esposizione slatentizzano
nel senso che fanno emergere i sintomi della malattia più in fretta;
in sostanza slatentizzazione
vuol dire uscita dalla incubazione preclinica e comparsa della
dimensione clinica della malattia: quando la malattia è
slatentizzata le dosi capaci di riaccendere la patologia sono
veramente infinitesime. Purtroppo la triste storia tipica è quella
dell’operaio edile ultrasessantenne che comincia a proteggersi
dalla polvere del cemento... un po’ troppo tardi e che pure deve
tirare per arrivare alla pensione”.
(****)
La vicenda di Reuf Islami è stata raccontata qui:
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