Il
Ministro Urso ha rinviato il nuovo incontro che si doveva tenere il 27
maggio a Roma coi sindacati sull'emergenza Ilva e appalto al 9 giugno,
con la motivazione: "«al fine di acquisire elementi di valutazione più
compiuti e tenuto conto degli impegni congressuali e internazionali di
talune delle organizzazioni sindacali». (?).
Questo rinvio non va affatto bene!
Riportiamo dalla stampa borghese o esplicitamente padronale, alcune informazioni e alcune valutazioni/commenti.
DA NOTIZIE STAMPA
L’Occidente è alle prese da tempo con grandi partite economico-industriali riguardanti l’acciaio, e
l’Italia con l’ex-Ilva è tornata nuovamente a affrontare il rischio di uno stop a quello che un tempo era l’impianto siderurgico più grande d’Europa...“Qualora l’altoforno dovesse rivelarsi danneggiato in maniera irreparabile, il piano industriale di Acciaierie d’Italia – che punta a una produzione di sei milioni di tonnellate di acciaio entro il 2026 – si rivelerebbe probabilmente infattibile“, nota StartMag, sottolineando che questo rischia di rappresentare un pregiudizio alla possibile cessione del gruppo a Baku Steel.
Gli azeri chiedono al Governo Meloni garanzie per proseguire la trattativa: innanzitutto, una garanzia di continuità operativa di fronte alle norme ambientali, ma soprattutto, la prospettiva securitaria di un rafforzamento delle forniture gasiere a Taranto tramite installazione di una nuova nave per il Gnl che si sommi alle forniture via tubo (proprio provenienti dall’Azerbaijan) del gasdotto Tap...
Resterebbe allora una sola strada: la ripresa del controllo da parte dell’azionista pubblico.
La
prospettiva di un possibile ritorno dello Stato in campo come primo
attore prende le mosse in una fase storica in cui Regno Unito vede lo
Stato scendere in campo per rilevare la proprietà di British Steel,
prevenendo una scalata cinese e in cui gli Stati Uniti, al passaggio tra
Joe Biden e Donald Trump, continuano la linea operativa di fermare la
scalata della giapponese Nippon Steel alla storica Us Steel di
Pittsburgh in nome della tutela della sicurezza industriale nazionale.
La
base di partenza del controllo pubblico al 50% di Adi tramite un
soggetto legato allo Stato come Invitalia potrebbe essere interessante. E
in prospettiva, da grandi agende infrastrutturali (si pensi al Ponte
sullo Stretto) alle politiche di rilancio dell’industria della Difesa
sono molti i campi in cui al Paese, negli anni a venire, servirà
acciaio.
L’Italia in termini di produzione è dodicesima al mondo
e seconda in Europa, dopo la sola Germania. Eppure il rischio di
perdere il primato è alto. E sta avvenendo proprio mentre l’economia
globale ridisegna le sue filiere tra reshoring e decarbonizzazione.
Nel
2024 l’industria siderurgica italiana ha realizzato 20 milioni di
tonnellate di acciaio (dati Federacciai), segnando un calo del 5%
rispetto all’anno precedente. Flessione divenuta strutturale: la
produzione su base annua era scesa del 2,3% nel 2023 e dell’11,5% nel
2022.
A livello geografico il cuore della siderurgia italiana si trova al Nord e oltre l’85% di quel che viene prodotto è «acciaio secondario», così chiamato perché ottenuto fondendo rottame ferroso all’interno di forni elettrici.
Proprio
questa dotazione impiantistica ha reso l’Italia la prima
elettrosiderurgia dell’Unione Europea, alla quale contribuisce per il
30% del totale, davanti a Germania (18,5%) e Spagna (12%).
In
Italia la produzione di acciaio primario – fondamentale per settori come
la meccanica, i mezzi di trasporto e gli elettrodomestici – rappresenta
meno del 15% dell’output nazionale. L’unico stabilimento a «ciclo
integrale» in grado di produrre questa tipologia di acciaio è quello
della ex Ilva, oggi Acciaierie d’Italia, a Taranto, dotato di altoforni.
Ma
oggi il gruppo, in amministrazione straordinaria, sta attraversando
l’ennesima crisi industriale con la produzione che nel 2024 non è andata
oltre 2 milioni di tonnellate. La crisi dell’ex Ilva, però, ne genera
almeno altre due.
La quasi inattività dell’unico stabilimento a
ciclo integrale sul territorio nazionale equivale a una scarsa
produzione dei laminati piani: prodotti fondamentali per auto,
elettrodomestici, apparecchi elettrici ed edilizia. Da qui la seconda
crisi: a fronte di un consumo interno pari a 15 milioni di tonnellate,
nel 2023, il Paese ha dovuto importare oltre 11 milioni di tonnellate di
prodotti piani.
La Cina produce, l’India avanza e l’America protegge
La
dipendenza dall’estero non rappresenta un sano stato di salute per le
filiere coinvolte. Ma nel settore siderurgico il problema diventa ancor
più grande perché, al livello mondiale, non c’è già più spazio per
essere auto-sufficienti. L’industria siderurgica globale tutta deve fare
i conti con l’eccesso di capacità produttiva della Cina che rappresenta
il 55% della produzione mondiale di acciaio e occupa il posto di primo
fornitore europeo e italiano.
Pechino, che nel 2024 ha prodotto
oltre 1 miliardo di tonnellate di acciaio, è una delle cause del
sottoutilizzo degli impianti europei e della perdita di quote di mercato
per i relativi produttori. L’eccesso di capacità ha determinato un
peggioramento significativo del saldo commerciale, con le vendite
extra-Ue di prodotti in acciaio che tra il 2014 e il 2023 si sono
ridotte del 45%. E una forte crescita della capacità produttiva nei
prossimi anni è prevista anche per l’India, oggi secondo produttore al
mondo con quasi 150 milioni di tonnellate annue.
A completare il
quadro c’è l’America, che nel 2018 ha introdotto dazi volti a
penalizzare la penetrazione dell’industria europea (poi sostituiti con
un sistema meno punitivo e oggi nuovamente minacciati da Donald Trump).
«Per
il 2025, la siderurgia italiana si attende una graduale
stabilizzazione, favorita da politiche monetarie meno restrittive e
dalla speranza di soluzioni diplomatiche ai conflitti, che potrebbero
rilanciare la fiducia e gli investimenti globali. Tuttavia», ha spiegato
a MF-Milano Finanza il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, «le
difficoltà attuali non sono solo congiunturali, ma riflettono anche
problematiche strutturali».
«La crisi dei consumi e il
riposizionamento dei prezzi verso valori storici evidenziano la
necessità di adeguamenti strategici. L’industria siderurgica europea
soffre una progressiva perdita di competitività.... È essenziale
correggere il tiro, bilanciando la transizione ecologica con il supporto
alla capacità produttiva e alla competitività industriale».
Nessun commento:
Posta un commento