La guerra dei dazi scatenata da Trump con l’annuncio dato il 2 aprile, il famigerato “Liberation Day”, ha messo in luce diverse questioni sull’assetto dell’imperialismo odierno. Qui possiamo solo accennare alla questione, visto che ci vuole sicuramente un’analisi approfondita.
È certo, comunque, che l’imperialismo
statunitense a guida del fascista e golpista Trump con la guerra dei dazi ha
accelerato la già gravissima crisi economica mondiale, che si esprime
attraverso guerre per interposta persona come quella dell’Ucraina e con il
sostegno al regime nazisionista di Israele per non parlare delle guerre in
Africa… una crisi che si avvia verso la guerra mondiale.
Le giravolte sui dazi di Trump,
come le chiamano i giornali e i cosiddetti "esperti di economia", sono all’ordine
del giorno: aveva annunciato (smentendo l’accordo preso qualche settimana prima
con l’Unione Europea!) che dal 1° giugno i dazi con i paesi dell’Europa
sarebbero saliti del 50%! E nello stesso discorso aveva pesantemente minacciato
anche Apple dicendo che se non produce negli Stati Uniti i dazi per gli iPhone
sarebbero saliti del 25%. Questi telefonini supertecnologici si producono nelle
fabbriche della Cina e la Apple, per cercare di superare l’ostacolo veramente
difficile, sta pure provando a traferire la produzione in India, operazione
altrettanto complicata.
Ma l’elenco delle stesse potentissime
multinazionali americane colpite dai dazi di Trump è lungo come riporta il
Sole24Ore: GM, Nvidia, Meta, Microsoft, Amazon, Ford Motor, che produce negli
Stati Uniti l’80 % delle auto che vende sul mercato interno, Harley-Davidson,
anche la giapponese Toyota Motor Corp. L’elenco è impressionante, continua il
quotidiano dei padroni: Procter & Gamble Co., Stanley Black & Decker, Honeywell
International, GE HealthCare Technologies e GE Aerospace, Boeing, 3M Co... e
tutte parlano di perdite per miliardi di dollari, oltre al non detto del taglio
ai lavoratori e dei possibili trasferimenti delle produzioni in altri paesi. Perfino
la multinazionale francese del lusso, Lvmh, del reazionario Arnault, amico di
Trump, sta perdendo miliardi (ma Arnault continua a sostenere Trump!).
È chiaro, dunque, che una parte degli stessi padroni imperialisti di queste aziende tra le più grandi del mondo che devono programmare gli investimenti e la produzione sono in grande difficoltà – la guerra dei dazi si rivela un boomerang -, difficoltà aggravate dagli alti e bassi nelle Borse che fanno cadere il
valore delle azioni e la conseguente perdita di miliardi per chi investe nella fianza; tutto questo oggettivamente aumenta le contraddizioni all’interno dello stesso imperialismo Usa e di riflesso in tutto il mondo, anche perché molte di queste aziende hanno esplicitamente parlato di aumenti dei prezzi per limitare i danni, cioè scaricandoli soprattutto su chi deve acquistare le merci per sopravvivere, non certo per il lusso.Ma in questa crisi, non sono solo
le singole multinazionali a cercare soluzioni, anche i singoli paesi
imperialisti procedono ognuno per proprio conto, insomma non esistono attualmente
paesi che fanno “blocco”!
E questo lo dimostrano gli effetti che questa guerra commerciale ha sui paesi imperialisti e capitalisti della Unione europea, che Trump continua a insultare in ogni modo: «È molto difficile trattare con l’Unione europea, che è stata formata con l’intento primario di approfittarsi degli Stati uniti sul commercio» … «le nostre conversazioni con loro non stanno andando da nessuna parte» … meglio «imporre direttamente dazi del 50% verso l’Ue a partire dal 1 giugno». «Non cerco un accordo con l’Ue», ecc.
Ma questo minacciato aumento dei
dazi è stato momentaneamente “congelato” ancora una volta da Trump, dopo aver
ricevuto la telefonata della Von der Leyen; è tornato ancora una volta sui suoi
passi, ripetiamo momentaneamente, dicendo che è stato lui a concedere tempo
fino al 9 luglio, perché gli è stato chiesto.
I paesi imperialisti europei così
sperano di prendere tempo per trovare soluzioni che soddisfino le esigenze
delle proprie multinazionali e dei propri assetti produttivi: secondo diverse
dichiarazioni, l’“Unione europea” propone tassi reciproci uguale a zero (cosa
che non può piacere a Trump che ha detto che ha bisogno di soldi freschi e
tanti: “Non mi interessa produrre calzini, magliette, ma roba che conta,
intelligenza artificiale, computer, chip, equipaggiamenti militari, tanks, carrarmati”),
e vorrebbe potersi giocare, in caso di necessità, la carta della tassazione del
comparto dei servizi dove invece sono gli USA ad avere il bilancio positivo.
Trump ha detto esplicitamente che
vorrebbe trattare paese per paese, cosa sottolineata dal segretario del tesoro
USA Bessent che cita la differenza con molti paesi extraeuropei, come l’India e
la Cina dove si vedrebbero “prospettive di accordo”, mentre per l’Europa i
problemi sarebbero i “negoziati a Ventisette”.
Ma i Ventisette non hanno tutti
la stessa posizione sui dazi, anzi, e non partono affatto tutti dallo stesso
livello di potenza economica: Germania, Francia, Italia… hanno differenti
prodotti interni lordi, così come diverse capacità finanziarie, deficit di
bilancio, propensione all’esportazione… e legami più o meno forti anche dal
punto di vista politico con gli USA… ci sono infatti, paesi che preferiscono
“trattare” sui dazi come la Polonia, l’Ungheria, l’Italia della Meloni che
conferma la sua alleanza strategica con gli USA, anziché rispondere con la guerra
dei controdazi.
E questi stessi paesi
imperialisti sono al contempo impegnatissimi, ognuno per conto proprio, a
cercare altri mercati e altri accordi commerciali: Meloni (oggi in Asia
centrale), Merz, Macron… tutti in viaggio, soprattutto in Cina, Vietnam e Asia
in generale.
Ogni paese imperialista, d’altra
parte, come risposta alla crisi e preparazione alla prossima guerra mondiale, ha
il proprio programma di riarmo, a cominciare dalla Germania di Merz che ha
deciso di investire 1000 miliardi, e l’Italia che intende non solo arrivare al
3,5% o addirittura al 5% del pil richiesto dalla Nato, ma ha messo a punto il
proprio “libro bianco”, come ha ripetutamente dichiarato il ministro della
guerra Crosetto, che prevede aumento di fondi e militari…
Fino a che punto terrà la
posizione della contrattazione unitaria sui dazi di Trump dell’Ue delegata alla
Von der Leyen? Visto che mentre la Von der Leyen prova a contrattare a livello
centrale già ieri la Meloni e la Metsola hanno attaccato la stessa Ue per i troppi
vincoli alle spese e per i “dazi interni”…
Ciò che è sicuro è che questa
guerra dei dazi, con i suoi aumenti dei prezzi confermati dai padroni delle
multinazionali, si sta scaricando e si scaricherà ancor di più sul proletariato
e le masse popolari di tutto il mondo, ma rappresenta anche esplicitamente l’esasperazione
della concorrenza a livello mondiale insita nel sistema capitalista tra i vari
paesi imperialisti per la nuova spartizione del mondo.
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