lunedì 18 gennaio 2021

pc 18 gennaio - Tunisia in fiamme - Nel decimo anniversario della Rivolta Popolare in Tunisia avanza la Restaurazione. Ciò che serve è una Rivoluzione di Nuova Democrazia e la Guerra Popolare!

Nel decimo anniversario della Rivolta Popolare in Tunisia avanza la Restaurazione. Ciò che serve è una Rivoluzione di Nuova Democrazia e la Guerra Popolare!

Il decimo anniversario della caduta del regime di Ben Ali in Tunisia (14 gennaio 2011) assume un significato particolare e chiarificatore del bilancio da trarre da quell’evento così importante per le masse popolari tunisine, arabe e non solo.

La borghesia compradora tunisina attualmente rappresentata dal governo Mechichi (sostenuto dai reazionari islamisti di Ennahda, da quelli laicisti della diaspora post-RCD di Tahya Tounes e Qalb Tounes e dai socialdemocratici della Corrente Democratica e del Partito del Popolo) utilizzando la scusa della pandemia ha di fatto vietato le manifestazioni previste per il decennale della Rivolta Popolare e della caduta del regime di Ben Ali, decretando un lockdown di 4 giorni a partire proprio dal 14 gennaio, associato ad un coprifuoco dalle 16:00 alle 6:00 del mattino. Sono inoltre stati sospesi tutti i corsi in scuole e università di ogni ordine e grado fino al 24 gennaio. Il decreto governativo sottolinea inoltre, per non lasciare dubbi, che sono vietate tutte le manifestazioni in questo periodo.

È evidente il tipo di scelta politica governativa da un lato volta ad esorcizzare lo spettro della rivolta che si manifesta continuamente negli scioperi e blocchi stradali nei quattro angoli del paese da dieci anni a questa parte proprio fino a questi giorni; dall’altro rappresenta un ulteriore conferma  all’analisi fornita dalle forze rivoluzionarie marxiste-leniniste-maoiste in tempi non sospetti, che la Rivolta Popolare tunisina del 2010/2011, con l’apertura della fase della costituente e successiva approvazione della nuova costituzione nel 2013 è entrata in una fase di Restaurazione progressiva in cui mese dopo mese e anno dopo anno il composito polo restauratore formato da reazionari islamisti e laicisti ma anche dagli utili idioti di “sinistra” come le componenti pseudo marxiste e panarabiste del Fronte Popolare, hanno contribuito a indebolire il polo popolare e rivoluzionario rimasto fedele alle parole d’ordine dell’Intifada di dieci anni fa ovvero “Choghl, hurria, karama watania” [lavoro, libertà, dignità nazionale n.d.a.].
Al contrario i revisionisti e i socialdemocratici, agitando a sproposito i concetti di Rivoluzione e “transizione democratica” (quest’ultimo fuorviante) e non capendo che la rivoluzione è innanzitutto una questione di conquista del potere politico, si sono oggettivamente accodati alla classe dominante tunisina e all’imperialismo facendo anche loro gli elogi della “costituzione tra le più avanzate del mondo” e costruendo nella loro testa quella “Tunisia come laboratorio della transizione democratica” che avanzerebbe passo passo nel lungo periodo verso la piena vittoria (la “democrazia”).

In realtà anche da un punto di vista rivoluzionario gli eventi tunisini possono esseri considerati un “laboratorio” interessante seppur non per come viene inteso dai sostenitori della “transizione democratica”.
Anche i rivoluzionari seguono i movimenti della storia e della lotta di classe in un’ottica di lungo periodo, il problema è però il punto di vista di classe con il quale si interpretano tali movimenti, e come quindi si interviene nei rapporti di forza reali sul terreno che si scontrano e che determinano se la direzione dello sviluppo sociale va verso la Rivoluzione (transizione democratica direbbero alcuni) o verso la restaurazione di una forma di potere più simile all’ancient regime ma nelle forme attuali e moderne, senza RCD e senza Ben Alì peraltro defunto. Un esempio pratico di ciò è stato l’atteggiamento delle forze rivoluzionarie nelle recenti elezioni politiche e presidenziali in cui hanno costruito un movimento di boicottaggio attivo per le prime ed hanno invece dato indicazione per un “voto critico” a Kais Saied per le seconde (rimandiamo ai post specifici dell’anno scorso su questo blog per un maggiore approfondimento di tale questione).

Ma tornando agli eventi di dieci anni fa, sin dall’aborto del movimento Casbah 2, in cui i giovani assediavano la sede del potere per l’appunto alla Casbah di Tunisi, in favore di un tentativo di mandare tutti a casa con l’avvio del processo costituente, il polo rivoluzionario e popolare ha incominciato a essere messo in seria difficoltà trovandosi a combattere, impreparato, un fronte restauratore formato dai Fratelli Musulmani, dall’ala trasformista dello RCD capitanata dal defunto Essebsi e dagli utili idioti di “sinistra” dell’ex PCOT e del Watad tutti uniti nell’opera di normalizzare la rivolta ovvero nel mandare le masse a casa per poi richiamarle nell’atto sacro della democrazia borghese: le elezioni della costituente. Quell’atto che alcuni interpretano come avvio della “transizione democratica” dopo la fuga di Ben Ali, segna in realtà il primo passo di restaurazione del vecchio potere nelle forme adeguate al nuovo contesto, in altre parole la borghesia compradora tunisina che dal 20 marzo 1956 al 14 gennaio 2011 è stata rappresentata essenzialmente dallo stesso partito al potere (seppur i cambi di etichetta formali) con a capo prima Bourghuiba  e poi Ben Ali, dopo la fase di transizione del 2011-2013, ha allargato la propria base sociale agli esponenti della grande borghesia rappresentata dai Fratelli Musulmani, nonché a settori della media e piccola borghesia professionista e intellettuale che hanno di fatto strappato i giovani dalle piazze per consegnarli a decine di ONG europee ed americane drogando i giovani oltre che con i  loro finanziamenti, anche con l’illusione di tale fantomatica transizione verso la “democrazia”.

A sfatare tale vera e propria farneticazione vi sono gli arresti e gli abusi polizieschi che si sono intensificati gradualmente in questi ultimi sei anni arrivando al loro picco nelle ultime settimane colpendo in maniera mirata attivisti politici e sociali. Ma come rovescio della medaglia nello stesso periodo vi sono state due rivolte che si sono di molto avvicinate a raggiungere l’ampiezza di quella del 2011: una nel 2016 e l’altra nel 2017, entrambe scoppiate nella regione marginale e frontaliera di Kasserine che ben presto ha contagiato le altre regioni compresa la capitale e costringendo in entrambi i casi i governi dell’epoca a decretare coprifuoco nazionali;
a ciò si sono aggiunte le innumerevoli rivolte su scala regionale e locale, solo per citarne una parte ricordiamo: i pescatori e lavoratori petroliferi nelle isole Kerkennah, i lavoratori petroliferi e i disoccupati di Tataouine, i lavoratori e i disoccupati nella regione mineraria di Gafsa, gli agricoltori dell’Oasi di Jemna nella regione di Kebili, gli agricoltori e gli allevatori di Beja, le rivolte giovanili e proletarie nelle banlieues della capitale in particolare Ettadhamen, Kram, Hammam Lif, gli scioperi settoriali e generali nel pubblico impiego, tra gli studenti, tra i giovani medici e avvocati, basti guardare i rapporti annuali della FTDES per rendersi conto del barometro sociale della protesta in questo decennio post-rivolta.

Nel decimo anniversario della grandiosa rivolta popolare tunisina ciò che rimane è ancora una volta la conferma che la Storia è fatta dalle masse, dai popoli. Il popolo tunisino con una rivolta violenta (altro che “Rivoluzione dei Gelsomini”) e con i propri martiri, ancora oggi non riconosciuti ufficialmente, ha rovesciato il governo autocratico al potere da oltre 20 anni.
Gli obiettivi della Rivoluzione non sono stati raggiunti ma in questi dieci anni il ricordo di quei mesi a cavallo tra il 17 dicembre 2010 ed il 14 gennaio 2011 e i mesi seguenti è rimasto vivo in molti settori popolari che quotidianamente lottano e hanno lottato contro i 9 governi “rivoluzionari” o “democratici” post 14 gennaio 2011.
La contraddizione tra imperialismo (e i loro lacchè tunisini) e popolo tunisino sta lì pronta a giungere alla sua logica conseguenza prima o poi…

Quando la prossima Rivolta popolare scoppierà non è dato saperlo, ciò che possiamo azzardare è che:
la prossima volta Fratelli Musulmani e revisionisti di “sinistra” saranno noti per il ruolo che hanno svolto contro gli interessi popolari, la prossima volta non si farà l’errore di consegnare le armi all’esercito per vedersele puntate nuovamente contro dopo un paio d’anni dalla stessa polizia di Ben Ali senza Ben Ali, la prossima volta non si lascerà che l’UGTT freni la forza dei lavoratori per difendere il proprio ruolo dentro lo Stato attuale dominato dalla borghesia compradora tunisina,
la prossima volta forti dell’esperienza di questi anni in Tunisia e della recente esperienza dei popoli algerino, sudanese non sarà né “transizione democratica” né intifada sconfitta né tutta la paccottiglia interpretativa tipica del degrado post-modernista che in maniera ideologica nega l’esistenza ed il ruolo delle classi sociali, del Partito rivoluzionario, spargendo confusione e illusione tra le masse popolari e contribuendo così alla loro sconfitta. Le esperienze rivoluzionarie più avanzate dell’Oggi, le Guerre Popolari in India, nelle Filippine ed in Turchia mostrano la via ai popoli di tutto il mondo: sarà Rivoluzione di Nuova Democrazia in marcia verso il Socialismo ed il Comunismo.

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