La protesta dei contadini in India
Migliaia di contadini si sono riversati nella capitale dell’India, Nuova Delhi, stringendola in un vero e proprio assedio, tra novembre e dicembre dello scorso anno, per protestare contro le nuove tre leggi sull’agricoltura che il governo ha emanato a settembre 2020.
Una protesta mai vista per dimensioni, come infatti ammettono diversi mezzi di informazione: “Le proteste sono la più grande mobilitazione di sempre dei contadini…”
Già dopo la promulgazione delle tre leggi nere, come le chiamano i contadini, erano cominciate le proteste nei vari Stati che compongono l’Unione Indiana, soprattutto negli stati del nord del Paese, Punjab, Rajasthan, Haryana, Uttar Pradesh occidentale… e dopo uno sciopero generale del 25 Settembre indetto per tutta l’India (Bharat Bandh) la protesta si è estesa anche a tutto l’Uttar Pradesh, al Karnataka, Tamil Nadu, Odisha, Kerala, Uttarakhand e parti del Maharashtra e del Madhya Pradesh; ma dall’inizio di novembre le masse contadine organizzate raccolte in oltre 40 grandi “sindacati”, non avendo avuto alcuna risposta dal governo, hanno deciso di spostare la protesta direttamente nella città sede del governo.
I motivi della contestazione delle tre leggi nere sono chiari e semplici, come chiara è diventata a tutti la
loro sostanza: il governo vuole dare via libera all’ingresso delle multinazionali nell’agricoltura del Paese smantellando di fatto l’attuale sistema di produzione, vendita e distribuzione dei prodotti agricoli (che funziona attraverso la vendita allo Stato presso centri di raccolta e mercati protetti – i cosiddetti ‘mandi’ – ad un prezzo minimo garantito – MSP è la sigla usata in India), che permette a milioni di contadini di sopravvivere; il governo vuole la privatizzazione di tutto il settore che rappresenta circa un quarto del prodotto interno lordo e 650 milioni di lavoratori coinvolti nell’agricoltura (metà di tutta la popolazione!) e metterlo nelle mani delle grandi multinazionali, soprattutto indiane in questo momento, dominate dagli Ambani, Adani, Birlas, Tata ecc., con il loro controllo sui prodotti agricoli, sui prezzi sui contratti con i contadini ecc., insomma un controllo totale del settore. Le dichiarazioni di Modi in questo senso sono chiare: “Il nuovo decennio vedrà la nascita e crescita di multinazionali autoctone”, “Le riforme, dall’agricoltura allo spazio, aumenteranno il raggio d’azione delle imprese…”Il senso e gli obbiettivi delle leggi sono dunque chiari ma come si sa i governi provano a camuffarne il contenuto aggiungendo parole che servono a illudere, a calmare le masse in rivolta, dichiarando che queste leggi addirittura rappresentano dei miglioramenti e agevolazioni per le popolazioni!
Le tre leggi portano questi nomi altisonanti:
Legge sul commercio dei prodotti agricoli (promozione e agevolazione), 2020
Accordo dei contadini (potenziamento e protezione) sulla legge sulla garanzia dei prezzi e sui servizi agricoli, 2020
Legge sui prodotti essenziali (Emendamento), 2020
La prima amplia le attuali aree commerciali previste per i prodotti agricoli a "qualsiasi luogo di produzione, raccolta, aggregazione"; consente il commercio elettronico sia all’ingrosso che al dettaglio dei prodotti agricoli essenziali: modalità quasi impossibile da usare per i contadini; vieta ai governi statali di imporre tasse di mercato, accise o altri tipi di prelievi su agricoltori, commercianti e piattaforme di commercio elettronico che agiscono in una "zona commerciale esterna".
La seconda fornisce un quadro giuridico che dovrebbe salvaguardare gli agricoltori che stipulano contratti con gli acquirenti, e prevedono l’indicazione dei prezzi; ma in previsione della logica prevaricazione degli “acquirenti” nei confronti dei contadini, definisce un meccanismo di risoluzione delle controversie. I contadini, cioè, dopo essere stati fregati, come dice un giornalista, potranno “lamentarsi”, portando magari in tribunale colossi dell’economia mondiale!
La terza rimuove i prodotti alimentari come cereali, leguminose, patate, cipolle, semi oleosi commestibili e oli dall'elenco dei prodotti essenziali, eliminando i limiti di stoccaggio di tali articoli tranne che in "circostanze straordinarie”; e per gettare fumo negli occhi impone un limite all’accumulazione di scorte per i prodotti agricoli solo se ciò porta ad un aumento dei prezzi.
Di fatto, come si vede, si tratta proprio dello smantellamento del sistema attuale, cosa che è stata richiesta come “prerequisito” (mercato libero, prezzi da contrattare, nessuna produzione “protetta”) per eventuali investimenti, dai padroni delle multinazionali.
Portare i contadini ad indebitarsi ancora di più e farli fallire per fare ciò che si vuole, per un uso “libero” della terra, dalla trasformazione in monocolture all’impianti di stabilimenti, fabbriche, miniere. D’altronde è da circa 30 anni, come ricorda qualche analista, che ci provano! Sono le ricette del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, gli “aggiustamenti strutturali” imposti a vari stati in cambio della possibilità di ottenere prestiti internazionali: di fatto “riforme” che peggiorano le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori, delle lavoratrici e delle masse popolari in generale. E il capo economista del Fondo Monetario Internazionale lo dice apertamente: “le leggi sull’agricoltura e sul lavoro sono passi importanti nella giusta direzione. Hanno il potenziale di un mercato del lavoro più flessibile … e nel caso dell’agricoltura di avere un mercato più integrato che crea competizione…” Questi “aggiustamenti” vengono seguiti volentieri da Modi che sta provando contemporaneamente a restringere i poteri dei vari Stati dell’Unione, come per esempio sull’agricoltura, accentrando le decisioni e scaricando su di essi i costi.
Le proteste
Una volta compreso quindi il contenuto vero delle leggi (e a queste va aggiunta la nuova legge definita “emendamento” sull’energia elettrica che prevede, anche questa, liberalizzazione dei prezzi e relativo aumento delle tariffe e ulteriori costi per i contadini!), le masse dei contadini hanno scatenato le proteste con l’unico obiettivo di costringere il governo a ritirare le tre leggi: queste sono le richieste ferme fino ad oggi, insieme ad un’altra serie di richieste per alleggerire il peso sulle masse dei contadini… come l’aumento di almeno il 50% del prezzo minimo di sostegno (MSP), la riduzione dei prezzi del gasolio per uso agricolo del 50%, il ritiro di tutte le accuse contro i contadini in protesta e il rilascio dei leader arrestati.
Le proteste hanno preso di mira non solo il governo in senso simbolico nei vari Stati, ma i luoghi di produzione, vendita e stoccaggio delle merci dei padroni dell’India: supermercati, pompe di benzina, sili per l’ammasso, tralicci delle telecomunicazioni. L’attacco a questi tralicci, in particolare (circa 2000) ha scatenato le ire del miliardario Ambani (patrimonio personale di 170 miliardi di dollari in un paese dove le grandi masse “vivono” con un dollaro al giorno – al 102° posto su 107 nella graduatoria internazionale dei paesi dove più si soffre la fame) che ha chiesto ai tribunali e al governo di intervenire per mettere fine al “vandalismo”.
Queste proteste, che hanno in parte colto di sorpresa lo stesso governo, che forse pensava di spaccare il fronte che si è creato utilizzando le differenze esistenti tra contadini grandi medi e piccoli, si sono ampliate all’inverosimile, si sono allargate ad altri Stati e a tanti altri settori, hanno conquistato il consenso popolare, la solidarietà e il sostegno materiale di intellettuali e lavoratori che combattono quotidianamente contro padroni, e governi spietati: basti pensare agli operai di fabbrica che quando si ribellano vengono attaccati e talvolta uccisi dalle milizie private dei padroni con il sostegno dello Stato che usa la sua polizia industriale (Central Industrial Security Force - CISF) per salvaguardare i profitti delle multinazionali; o sempre allo stesso Stato guidato da Modi che non si fa scrupolo nel far massacrare i musulmani con leggi discriminatorie e razziste.
La repressione
Le giuste proteste dei contadini sono state accolte dal governo con la violenza più dura; esso ha dapprima cercato di arginare le proteste nei diversi Stati e poi ha cercato di impedire ai contadini di arrivare nella capitale Nuova Delhi, alzando barricate, scavando perfino trincee nelle strade, usando “cannoni ad acqua nel cuore dell’inverno, abusi, provocazioni, troll, palese disinformazione…” (the Hindu), e ancora filo spinato, lacrimogeni in una Delhi già di ghiaccio per il freddo polare e le inondazioni di pioggia.
La conta dei morti fino a questo momento è di circa 60, senza contare la piaga assurda dei suicidi per debiti e povertà, oltre 10.000 nel 2019.
La forza della protesta
Ma nonostante la messa in campo di un possente movimento di “truppe” interno, il governo non è riuscito nell’intento: “Abbiamo usato cannoni ad acqua e installato barricate ma non siamo stati capaci di fermare i contadini che continuavano ad andare avanti … Coloro che protestano si muovono in grandi numeri e alcuni di loro lanciano pietre ai poliziotti durante gli scontri”, “I manifestanti hanno rotto i vetri dei veicoli con i cannoni ad acqua e hanno attraversato la piazza. A causa del grande numero non avevamo altra scelta che lasciarli passare…”, così ha riferito un poliziotto. “La polizia ha scavato trincee per impedirci di arrivare a Delhi. I nostri coraggiosi contadini hanno superato ogni barricata, cannoni ad acqua, candelotti lacrimogeni per arrivare qui”, ha detto un contadino.
Questa massa in rivolta si è armata non solo di armi tradizionali delle lotte popolari per respingere gli attacchi della polizia, ma anche dal punto di vista “legale”, utilizzando con intelligenza i risultati della Commissione nazionale per i contadini guidata da un famoso scienziato agricolo e sotto la giurisdizione dello stesso governo; risultati che dicono che la soluzione non è affatto quella della privatizzazione, ma anzi quella di rafforzare il sistema attuale riconoscendo ai contadini un prezzo più elevato per i propri prodotti.
La “novità” della presenza massiccia delle donne
L’altra “sorpresa” di queste gigantesche proteste contro il governo Modi è quella delle donne. Infatti, ai contadini scesi in lotta si sono affiancate progressivamente migliaia di donne, in qualche modo “rompendo la mentalità feudale” come dice un giornalista, e che hanno dimostrato tutta la loro determinazione piazzandosi in prima linea nel combattimento.
Per alcuni mezzi di informazione indiani è stata una “sorpresa” e ne hanno parlato in questi termini: "Una caratteristica sorprendente delle proteste questa volta è la presenza delle donne"… “migliaia di donne sono diventate un pilastro delle proteste dei contadini che bloccano le strade a Nuova Delhi e che sono diventate una grande sfida per il governo. La presenza e soprattutto il protagonismo delle donne è davvero una sfida gigantesca per il governo fascista indù di Modi. Ma questa sorpresa è solo l’effetto della “invisibilità” della forza lavoro femminile nei vasti terreni agricoli indiani.
Quasi il 75% delle donne rurali in India che lavorano a tempo pieno sono contadine, secondo l'organizzazione non governativa Oxfam India, e il numero dovrebbe perfino aumentare man mano che sempre più uomini migrano verso le città per trovare lavoro. Eppure, poco meno del 13% delle donne possiede la terra che lavora. E adesso queste donne sono “scese in strada” come dicono alcune di loro, con l’intenzione di restarci fino a quando non avranno vinto la loro battaglia.
L’importanza della questione (all’interno della crisi mondiale)
L’ostinazione del governo Modi nel volere a tutti i costi applicare queste leggi si spiega con la “necessità” del rappresentante dei padroni indiani di dare una risposta positiva, questa sì, alla fame di profitti delle multinazionali aggravata dalla crisi mondiale e aggravata ulteriormente in questo momento dalla pandemia globale. La portata delle manifestazioni, infatti, specchio dell’importanza dell’argomento in questione è di quelle gigantesche, riguarda l’attuale stato di cose a livello mondiale, riguarda la crisi e la risposta che i governi provano a dare ad essa per uscirne, tocca la concorrenza mondiale, il tipo di approvvigionamento delle derrate alimentari fondamentali per l’esistenza stessa dell’umanità, tocca il “landgrabbing”, l’accaparramento delle terre, con la relativa cacciata delle popolazioni locali, riguarda la distruzione non solo di terreni agricoli con l’uso della chimica, ma anche la distruzione delle immense foreste del Paese e la gestione delle immense “materie prime”.
Terreni e foreste che devono essere “libere”, appunto, dal controllo dei contadini per permettere ai padroni delle multinazionali Ambani, Adani ecc. ecc. di “stare sul mercato”, di competere a livello internazionale, e visto che, per esempio, la produzione di elettrodomestici o di abbigliamento e altri “vecchi” settori ristagna, sono necessari altri campi di investimento come l’immenso mercato dell’agricoltura o i “settori nuovi” dell’alta tecnologia che permettono grandi profitti… è recente e molto importante, in questo senso, l’accordo miliardario di Ambani con i giganti di Internet, Facebook Inc., Google ecc. E impiantare le nuove tecnologie, (i tralicci distrutti dai contadini durante le proteste!) in tutto il paese significa avere il controllo del territorio, penetrare nelle foreste costruendo nuove strade.
Questo aspetto del controllo delle foreste al governo Modi interessa grandemente perché sono il principale luogo di azione della guerra popolare guidata dal PCI (Maoista), un ostacolo insormontabile per i piani del governo. E non a caso alcuni esponenti del governo hanno preso subito di mira la protesta e la solidarietà ad essa dicendo che la protesta dei contadini è finita nelle mani dei maoisti.
Il governo prova la carta del “dialogo”
Dopo le prime incessanti e fortissime settimane di lotta e l’accerchiamento di Nuova Delhi, il governo ha convocato i rappresentanti dei contadini per aprire la discussione sulle tre leggi. Dopo ben 7 incontri però il governo, soprattutto attraverso il suo ministro dell’agricoltura, è rimasto fermo sulle sue posizioni, non intende abolire le tre leggi! Vuole soltanto discutere di alcune clausole e prova addirittura ancora a convincere i contadini della bontà delle leggi. E Narendra Modi, sempre riempiendosi la bocca di democrazia, lo ha detto apertamente e chiaramente: queste leggi sono uno spartiacque! C’è un prima e un dopo queste leggi, e non ci può essere alcun “approccio umano” da parte sua, come auspicato da alcuni contadini!
I contadini, e le contadine, a loro volta, sono rimasti fermi nella richiesta di abolizione delle tre leggi e minacciano altre iniziative se la richiesta non verrà accolta. La risposta è infatti la continuazione della lotta: i contadini hanno già costruito delle vere e proprie cittadelle attorno alla capitale (che conta circa 20 milioni di abitanti) e in particolare in alcuni punti cruciali, e la situazione può diventare ancora più infuocata visto che l’enorme periferia di Delhi presenta un grande numero di industrie e centinaia di migliaia di operai. Dopo l’8 gennaio, se non ci saranno risposte adeguate si prepara la “parata dei trattori”, una marcia dentro la capitale per il 26 gennaio, Festa della Repubblica.
Possiamo ben dire che con le sue nuove tre leggi a favore delle multinazionali Modi ha sollevato una pietra così grande che nel ricadere potrebbe dare il colpo mortale a lui e al suo governo…
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