Renzi, crisi di governo, rimpasti e trattative. La risposta è comunque lo sciopero!
Fronte della Gioventù Comunista | gioventucomunista.it
18/01/2021
Comunicato della Segreteria Nazionale del Fronte della Gioventù Comunista sulla crisi di governo.
In seguito ad una polemica di settimane su ogni organo di stampa, la scorsa settimana Italia Viva - il partito di Matteo Renzi - ha aperto ufficialmente una crisi di governo, ritirando le ministre Bellanova (Agricoltura) e Bonetti (Famiglia) dall'esecutivo. Le dimissioni sono arrivate ufficialmente dopo l'astensione delle ministre renziane nella votazione per l'approvazione del Recovery Plan nell'ultima seduta del Consiglio dei Ministri. La situazione merita un approfondimento maggiore rispetto a molte letture semplificate circolate anche a sinistra, viste anche le conseguenze politiche che ne stanno derivando.
Lo scontro tra Italia Viva ed il resto della maggioranza di governo è cominciato sulla legge di bilancio e si è ulteriormente acuito sulla ripartizione dei fondi del Recovery Plan. Consapevole dei futuri rischi elettorali del suo piccolo partito, Renzi ha cercato in modo spregiudicato di rappresentare nel dibattito interno al governo gli interessi dei settori più aggressivi del campo padronale. Non è casuale in questa direzione il consenso che ha incassato da un personaggio come Briatore, che ha plaudito apertamente alla crisi di governo sottolineando particolarmente di riconoscersi nella richiesta renziana di fare ricorso al MES. Il futuro politico di Italia Viva e dello stesso Renzi dipende effettivamente in modo maggiore dal successo nell'operazione di risultare rappresentanti credibili per alcuni settori capitalistici insoddisfatti, piuttosto che da clamorose inversioni dei sondaggi. Renzi è perfettamente consapevole che il suo tempo per tenere aperte prospettive future è ora e che difficilmente avrà al suo arco frecce diverse dal peso specifico della sua piccola truppa di parlamentari, che tirando la corda anche fino all'apertura della crisi di governo ha proprio la possibilità di smuovere qualche miliardo e permettergli di incassare sostegno per il futuro.
Un ulteriore tassello al mosaico si aggiunge osservando lo scontro aperto da Renzi circa un mese fa direttamente contro il premier Conte, per la decisione di quest'ultimo di mantenere per sé la delega ai servizi segreti. La polemica era accompagnata dalla richiesta, accolta dal governo, di revocare l'istituzione di una nuova fondazione nell'ambito di servizi segreti e cybersecurity. L'argomento è stato ripescato da Renzi nei giorni della rottura con il governo con l'accusa rivolta a Conte di essere stato troppo timido nella condanna a Trump per i fatti di Capitol Hill, accompagnata da una nuova richiesta di lasciare la delega ai servizi segreti motivata dal supporto degli agenti italiani concesso dall'allora governo Lega-M5S al presidente uscente americano nel "caso Barr", una controinchiesta che colpiva i democratici USA per rispondere al "Russiagate".
Facendo un salto indietro di alcuni mesi, effettivamente il precedente picco di presenza mediatica di Renzi era stato durante la campagna elettorale negli USA, quando a più riprese era circolato il suo nome come papabile prossimo segretario generale della NATO in caso di vittoria di Biden. Collegando questi elementi, è possibile che almeno una parte degli argomenti di attrito di Renzi con il governo dipendano dalla sua volontà di dimostrarsi un interlocutore credibile in Italia per la nuova amministrazione Biden, che da una parte potrebbe non ritenere particolarmente affidabili gli scudieri atlantici di Fratelli d'Italia per i loro rapporti con Trump e che d'altra parte potrebbe non trovare una corrispondenza totale con un governo che ha sottoscritto un accordo con la Cina per la "Nuova Via della Seta" e ha affidato la "task force" per la "Fase 2" durante il primo lockdown ad un manager come Vittorio Colao, che negli anni ha costruito rapporti più che cordiali con i cinesi.
Le attenzioni su questi argomenti ed un eventuale maggiore peso da conquistare nel governo in caso di rimpasto, da rivolgere eventualmente nel contenere gli spazi conquistati da monopoli cinesi in Italia, potrebbero essere per Renzi le carte da giocare per assicurarsi il sostegno effettivo di Biden per la sua elezione a segretario generale della NATO nel 2022.
La risposta delle altre forze di governo (M5S-PD-LEU) è stata compatta nell'accusare Renzi di irresponsabilità per l'aver aperto una crisi di governo in un momento in cui i contagi giornalieri oscillano intorno ai 15.000 e i morti intorno ai 500, senza contrazioni importanti dall'inizio della seconda ondata. Le mosse spregiudicate di Renzi, il misto di calcoli puramente politici e rispondenza ad interessi non percepiti, sono risultate incomprensibili per la maggior parte degli italiani, generando un'indignazione diffusa come prezzo da pagare nell'immediato per il leader di Italia Viva e fornendo facili argomenti da cavalcare per Conte e i partiti che lo sostengono.
Le restanti forze di governo si sono presentate con la retorica della "responsabilità nei confronti del Paese" per affrontare la pandemia e la crisi economica, come le forze mature che al contrario del capriccioso Renzi "capiscono la gravità del momento" e ne hanno incassato un incremento sensibile di sostegno nel dibattito pubblico, rinnovando anche la propaganda sull'essere un governo "di sinistra" unica alternativa alla destra.
In questa ottica M5S, PD e LEU alla ricerca di una ricomposizione della crisi sono stati soccorsi da un appello promosso dall'ANPI intitolato "Uniamoci per salvare l'Italia", sottoscritto da varie associazioni, CGIL,CISL e UIL, ma anche da Rifondazione Comunista che sembra non aver ancora imparato la lezione di cosa comporti sostenere i governi borghesi e che vede comparire la sua senatrice Paola Nugnes tra i senatori "responsabili" disposti a votare la fiducia al governo secondo quanto riportano diversi articoli giornalistici. Con questo appello viene giocata la carta dell'antifascismo strumentale come collante di una coalizione che si richiama all'unità nazionale interclassista per sostenere un governo che ha gestito la crisi in modo smaccatamente favorevole alla Confindustria e ai padroni italiani, cercando di porre le basi di un rinnovato centrosinistra allargato che includa stabilmente anche i 5 stelle.
Se Renzi mira per il suo tornaconto a rappresentare alcuni interessi particolari di settori della borghesia italiana nelle trattative, questo non significa che finora il governo M5S-PD-LEU-IV non abbia governato sempre e comunque per l'interesse dei padroni. Il governo di Conte è stato anzi estremamente capace nel far svolgere allo stato la funzione di "capitalista collettivo" in grado di portare avanti una strategia complessiva più lungimirante delle singole spinte più aggressive di Confindustria ed evitando che richieste eccessive nell'immediato si tramutassero in errori strategici come con il caso del blocco dei licenziamenti prorogato finora, che ad un piccolo prezzo economico ha evitato l'incremento della conflittualità nei luoghi di lavoro garantendo la stabilità necessaria per continuare ad erogare un vero e proprio fiume di centinaia di miliardi di finanziamenti a fondo perduto alle imprese.
Che si tratti al massimo di uno scontro di specifiche tendenze per la ripartizione di parte del Recovery Plan lo dimostra anche la stabilità delle borse in questi giorni, ma anche il mancato endorsement a Renzi da parte di Bonomi, che si è limitato a sottolineare una parziale insoddisfazione e che non si è di certo astenuto dalle dichiarazioni roboanti nei mesi passati. Del resto si tratta sempre di quella particolare "insoddisfazione" dei padroni di fronte ad un Recovery Plan che all'80% è modellato direttamente sulle specifiche richieste avanzate da Confindustria per sostenere la ristrutturazione capitalistica in Italia attraverso l'ampio ricorso alla spesa pubblica, e per il restante 20% "solo" indirettamente.
Sul piano istituzionale le conseguenze sembrano essere contenute dal momento che il Presidente della Repubblica Mattarella sembra escludere in maniera piuttosto chiara la possibilità di andare al voto in questo contesto, come invece richiesto dai partiti di destra che in queste occasioni "riscoprono" sempre in modo stucchevole una retorica democratico-libertaria in salsa vittimista piccolo borghese. Martedì in Senato ci sarà il voto di fiducia in cui il governo proverà la costituzione di una maggioranza alternativa, ma con ogni probabilità si tratta di stabilire solo quali saranno le condizioni esatte - comprese ipotesi di sostituzione del premier - per un rimpasto di governo che includa Italia Viva, che potrebbe trovare ostacoli solo nella volontà di Conte di riportare una completa vittoria d'immagine.
Uno sforzo di analisi per sistematizzare questi elementi non è certo uno sforzo di retorica, anche se sicuramente è largamente frustrato dalla debolezza dei comunisti e del movimento operaio in Italia che in questo momento storico non sono in grado di mettere all'ordine del giorno lo sfruttare a proprio favore una crisi di governo e gli scontri interni al campo borghese. Ma proprio per questo è necessario evitare sbandamenti, rivendicare il fatto che l'opposizione a Renzi l'abbiamo fatta quando era lui a dirigere il governo e a promuovere misure antipopolari come Jobs Act e Buona Scuola, ma respingere nettamente e sonoramente al mittente le sirene filogovernative, la becera retorica del "governo di sinistra" e anche l'appello "Uniamoci per salvare l'Italia" promosso dall'ANPI.
Rimpasto o meno, l'indirizzo rimarrà quello di scaricare il costo della crisi sulle spalle dei lavoratori. Sta a noi metterci in gioco per costruire realmente un'alternativa credibile per i lavoratori e le classi popolari, un'alternativa di lotta organizzata per respingere l'offensiva padronale. Non è facile e nemmeno dietro l'angolo, ma è l'unica strada che si può percorrere a cominciare dalle lotte che possiamo condurre oggi. Per noi l'unica risposta possibile alla crisi di governo è rafforzare ulteriormente gli sforzi del Fronte della Gioventù Comunista per sostenere lo sciopero generale e la mobilitazione studentesca del 29 gennaio.
18/01/2021
Comunicato della Segreteria Nazionale del Fronte della Gioventù Comunista sulla crisi di governo.
In seguito ad una polemica di settimane su ogni organo di stampa, la scorsa settimana Italia Viva - il partito di Matteo Renzi - ha aperto ufficialmente una crisi di governo, ritirando le ministre Bellanova (Agricoltura) e Bonetti (Famiglia) dall'esecutivo. Le dimissioni sono arrivate ufficialmente dopo l'astensione delle ministre renziane nella votazione per l'approvazione del Recovery Plan nell'ultima seduta del Consiglio dei Ministri. La situazione merita un approfondimento maggiore rispetto a molte letture semplificate circolate anche a sinistra, viste anche le conseguenze politiche che ne stanno derivando.
Lo scontro tra Italia Viva ed il resto della maggioranza di governo è cominciato sulla legge di bilancio e si è ulteriormente acuito sulla ripartizione dei fondi del Recovery Plan. Consapevole dei futuri rischi elettorali del suo piccolo partito, Renzi ha cercato in modo spregiudicato di rappresentare nel dibattito interno al governo gli interessi dei settori più aggressivi del campo padronale. Non è casuale in questa direzione il consenso che ha incassato da un personaggio come Briatore, che ha plaudito apertamente alla crisi di governo sottolineando particolarmente di riconoscersi nella richiesta renziana di fare ricorso al MES. Il futuro politico di Italia Viva e dello stesso Renzi dipende effettivamente in modo maggiore dal successo nell'operazione di risultare rappresentanti credibili per alcuni settori capitalistici insoddisfatti, piuttosto che da clamorose inversioni dei sondaggi. Renzi è perfettamente consapevole che il suo tempo per tenere aperte prospettive future è ora e che difficilmente avrà al suo arco frecce diverse dal peso specifico della sua piccola truppa di parlamentari, che tirando la corda anche fino all'apertura della crisi di governo ha proprio la possibilità di smuovere qualche miliardo e permettergli di incassare sostegno per il futuro.
Un ulteriore tassello al mosaico si aggiunge osservando lo scontro aperto da Renzi circa un mese fa direttamente contro il premier Conte, per la decisione di quest'ultimo di mantenere per sé la delega ai servizi segreti. La polemica era accompagnata dalla richiesta, accolta dal governo, di revocare l'istituzione di una nuova fondazione nell'ambito di servizi segreti e cybersecurity. L'argomento è stato ripescato da Renzi nei giorni della rottura con il governo con l'accusa rivolta a Conte di essere stato troppo timido nella condanna a Trump per i fatti di Capitol Hill, accompagnata da una nuova richiesta di lasciare la delega ai servizi segreti motivata dal supporto degli agenti italiani concesso dall'allora governo Lega-M5S al presidente uscente americano nel "caso Barr", una controinchiesta che colpiva i democratici USA per rispondere al "Russiagate".
Facendo un salto indietro di alcuni mesi, effettivamente il precedente picco di presenza mediatica di Renzi era stato durante la campagna elettorale negli USA, quando a più riprese era circolato il suo nome come papabile prossimo segretario generale della NATO in caso di vittoria di Biden. Collegando questi elementi, è possibile che almeno una parte degli argomenti di attrito di Renzi con il governo dipendano dalla sua volontà di dimostrarsi un interlocutore credibile in Italia per la nuova amministrazione Biden, che da una parte potrebbe non ritenere particolarmente affidabili gli scudieri atlantici di Fratelli d'Italia per i loro rapporti con Trump e che d'altra parte potrebbe non trovare una corrispondenza totale con un governo che ha sottoscritto un accordo con la Cina per la "Nuova Via della Seta" e ha affidato la "task force" per la "Fase 2" durante il primo lockdown ad un manager come Vittorio Colao, che negli anni ha costruito rapporti più che cordiali con i cinesi.
Le attenzioni su questi argomenti ed un eventuale maggiore peso da conquistare nel governo in caso di rimpasto, da rivolgere eventualmente nel contenere gli spazi conquistati da monopoli cinesi in Italia, potrebbero essere per Renzi le carte da giocare per assicurarsi il sostegno effettivo di Biden per la sua elezione a segretario generale della NATO nel 2022.
La risposta delle altre forze di governo (M5S-PD-LEU) è stata compatta nell'accusare Renzi di irresponsabilità per l'aver aperto una crisi di governo in un momento in cui i contagi giornalieri oscillano intorno ai 15.000 e i morti intorno ai 500, senza contrazioni importanti dall'inizio della seconda ondata. Le mosse spregiudicate di Renzi, il misto di calcoli puramente politici e rispondenza ad interessi non percepiti, sono risultate incomprensibili per la maggior parte degli italiani, generando un'indignazione diffusa come prezzo da pagare nell'immediato per il leader di Italia Viva e fornendo facili argomenti da cavalcare per Conte e i partiti che lo sostengono.
Le restanti forze di governo si sono presentate con la retorica della "responsabilità nei confronti del Paese" per affrontare la pandemia e la crisi economica, come le forze mature che al contrario del capriccioso Renzi "capiscono la gravità del momento" e ne hanno incassato un incremento sensibile di sostegno nel dibattito pubblico, rinnovando anche la propaganda sull'essere un governo "di sinistra" unica alternativa alla destra.
In questa ottica M5S, PD e LEU alla ricerca di una ricomposizione della crisi sono stati soccorsi da un appello promosso dall'ANPI intitolato "Uniamoci per salvare l'Italia", sottoscritto da varie associazioni, CGIL,CISL e UIL, ma anche da Rifondazione Comunista che sembra non aver ancora imparato la lezione di cosa comporti sostenere i governi borghesi e che vede comparire la sua senatrice Paola Nugnes tra i senatori "responsabili" disposti a votare la fiducia al governo secondo quanto riportano diversi articoli giornalistici. Con questo appello viene giocata la carta dell'antifascismo strumentale come collante di una coalizione che si richiama all'unità nazionale interclassista per sostenere un governo che ha gestito la crisi in modo smaccatamente favorevole alla Confindustria e ai padroni italiani, cercando di porre le basi di un rinnovato centrosinistra allargato che includa stabilmente anche i 5 stelle.
Se Renzi mira per il suo tornaconto a rappresentare alcuni interessi particolari di settori della borghesia italiana nelle trattative, questo non significa che finora il governo M5S-PD-LEU-IV non abbia governato sempre e comunque per l'interesse dei padroni. Il governo di Conte è stato anzi estremamente capace nel far svolgere allo stato la funzione di "capitalista collettivo" in grado di portare avanti una strategia complessiva più lungimirante delle singole spinte più aggressive di Confindustria ed evitando che richieste eccessive nell'immediato si tramutassero in errori strategici come con il caso del blocco dei licenziamenti prorogato finora, che ad un piccolo prezzo economico ha evitato l'incremento della conflittualità nei luoghi di lavoro garantendo la stabilità necessaria per continuare ad erogare un vero e proprio fiume di centinaia di miliardi di finanziamenti a fondo perduto alle imprese.
Che si tratti al massimo di uno scontro di specifiche tendenze per la ripartizione di parte del Recovery Plan lo dimostra anche la stabilità delle borse in questi giorni, ma anche il mancato endorsement a Renzi da parte di Bonomi, che si è limitato a sottolineare una parziale insoddisfazione e che non si è di certo astenuto dalle dichiarazioni roboanti nei mesi passati. Del resto si tratta sempre di quella particolare "insoddisfazione" dei padroni di fronte ad un Recovery Plan che all'80% è modellato direttamente sulle specifiche richieste avanzate da Confindustria per sostenere la ristrutturazione capitalistica in Italia attraverso l'ampio ricorso alla spesa pubblica, e per il restante 20% "solo" indirettamente.
Sul piano istituzionale le conseguenze sembrano essere contenute dal momento che il Presidente della Repubblica Mattarella sembra escludere in maniera piuttosto chiara la possibilità di andare al voto in questo contesto, come invece richiesto dai partiti di destra che in queste occasioni "riscoprono" sempre in modo stucchevole una retorica democratico-libertaria in salsa vittimista piccolo borghese. Martedì in Senato ci sarà il voto di fiducia in cui il governo proverà la costituzione di una maggioranza alternativa, ma con ogni probabilità si tratta di stabilire solo quali saranno le condizioni esatte - comprese ipotesi di sostituzione del premier - per un rimpasto di governo che includa Italia Viva, che potrebbe trovare ostacoli solo nella volontà di Conte di riportare una completa vittoria d'immagine.
Uno sforzo di analisi per sistematizzare questi elementi non è certo uno sforzo di retorica, anche se sicuramente è largamente frustrato dalla debolezza dei comunisti e del movimento operaio in Italia che in questo momento storico non sono in grado di mettere all'ordine del giorno lo sfruttare a proprio favore una crisi di governo e gli scontri interni al campo borghese. Ma proprio per questo è necessario evitare sbandamenti, rivendicare il fatto che l'opposizione a Renzi l'abbiamo fatta quando era lui a dirigere il governo e a promuovere misure antipopolari come Jobs Act e Buona Scuola, ma respingere nettamente e sonoramente al mittente le sirene filogovernative, la becera retorica del "governo di sinistra" e anche l'appello "Uniamoci per salvare l'Italia" promosso dall'ANPI.
Rimpasto o meno, l'indirizzo rimarrà quello di scaricare il costo della crisi sulle spalle dei lavoratori. Sta a noi metterci in gioco per costruire realmente un'alternativa credibile per i lavoratori e le classi popolari, un'alternativa di lotta organizzata per respingere l'offensiva padronale. Non è facile e nemmeno dietro l'angolo, ma è l'unica strada che si può percorrere a cominciare dalle lotte che possiamo condurre oggi. Per noi l'unica risposta possibile alla crisi di governo è rafforzare ulteriormente gli sforzi del Fronte della Gioventù Comunista per sostenere lo sciopero generale e la mobilitazione studentesca del 29 gennaio.
Nessun commento:
Posta un commento