“Il
vento di Minneapolis - diciamo tra l’altro nell’analisi sulla situazione
mondiale https://proletaricomunisti.blogspot.com/2020/06/27-giugno-pandemia-e-crisi-mostrano-la.html#more
- ha contagiato tutto il paese e il movimento antirazzista non si ferma e si estende. Ma attenzione,
non c'è un generico movimento antirazzista. Ci sono proletari afroamericani e
delle altre nazionalità che si ribellano alla brutalità poliziesca sistemica su
cui si regge l'imperialismo Usa, indipendentemente dai governi - e con Trump si
è arrivati al massimo. Ci sta la gioventù antirazzista, il movimento Black
Lives Matter; ma c'è anche una campagna elettorale, l'antitrumpismo che si
riversa nel sostegno a Biden come faccia più presentabile dell'imperialismo
Usa, a fronte della crisi di consenso di Trump. In questa dinamica noi
vediamo un altro scenario, quello del movimento rivoluzionario proletario e di
massa che si muove con una dinamica di una potenziale guerra civile, dato che
comunque Trump e il fascio populismo non lasceranno il campo senza esercitare
il massimo dei suoi poteri e della violenza. Tutte le dichiarazioni di
Trump su antifa, anti insurrezione, sono il cuore del problema con cui
misurarsi.”
***
Non solo Portland, gli squadroni
di Trump verso Chicago e New York
Stati uniti. Prove generali di
stato autoritario: manifestanti e passanti prelevati per strada. La procura
dell'Oregon fa causa al governo federale
La protesta a Portland
22.07.2020
Durante un incontro con i
giornalisti, lunedì nello Studio Ovale, Donald Trump ha dichiarato di volere
inviare agenti federali a Chicago, New York e Philadelphia contro quelli che
definisce «anarchici della sinistra radicale».
Ha esaltato i risultati che a suo
parere sono stati ottenuti a Portland, dove qualche giorno fa il presidente ha
fatto quelle che sembrano vere e proprie prove tecniche di stato totalitario
inviando, così sono stati definiti, «squadroni di spie», agenti non
identificabili, che hanno prelevato manifestanti e passanti per trasportarli e
detenerli per ore in veicoli militari, anche questi non identificabili.
LA PRASSI È STATA RIPETUTA
talmente tante volte che il procuratore generale dell’Oregon, Ellen Rosenblum,
ha intentato una causa contro il governo federale, accusandolo di detenere
illegalmente i cittadini.
Democratici e leader locali
parlano di proteste in gran parte pacifiche affrontate dalle forze federali con
lacrimogeni, ferendo gravemente un manifestante e spingendone altri nei furgoni
non contrassegnati.
Una prassi che si innesta in un
territorio dove il rapporto tra comunità e forze dell’ordine è già complesso e
delicato, come ha spiegato al Washington Post Michael German, un ex agente
speciale dell’Fbi e membro anziano del Centro di giustizia di Brennan: «Nei
due, tre anni passati, c’è stata una frattura a Portland tra polizia e
comunità. Più aggressività veniva data dalla polizia, più aggressività
veniva restituita. L’amministrazione locale stava riuscendo a sanare questa
ferita ma ciò che sta accadendo in questi giorni va in senso diametralmente
opposto».
IL PROBLEMA È che non solo a
Portland, ma in molte città Usa, le proteste contro il razzismo non si sono
mai fermate, vanno avanti da oltre 50 giorni; questo è molto più di quanto
Donald Trump possa sopportare e la settimana scorsa ha schierato duemila agenti
federali tra Portland, Seattle e Washington D.C., definendole «squadre di
risposta rapida».
La governatrice dell’Oregon Kate
Brown ha definito l’invio delle truppe «uno sfacciato abuso di potere» che va
contro il bene dei cittadini e calpesta il diritto a manifestare.
Lunedì il Chicago Tribune ha
riferito di piani per schierare circa 150 agenti federali. «Non ho bisogno di
inviti da parte dello Stato – ha dichiarato a Fox News Chad Wolf, segretario ad
interim del Dipartimento per la sicurezza interna – Lo faremo che piaccia o
no».
Per giustificare una virata così
tanto autoritaria, Trump e la sua amministrazione continuano a parlare di manifestazioni
fuori controllo e a demonizzare il movimento Black Lives Matter. In realtà la
minaccia di inviare truppe federali a Chicago e in altre città è la migliore
speranza per Trump di trasformare la lotta elettorale in una lotta tout court
tra i difensori dell’ordine e quella sinistra radicale che, se Biden venisse
eletto, governerebbe il Paese seminando violenza e terrore, secondo la
narrativa trumpiana.
CIÒ CHE I DIFENSORI delle libertà
civili temono è il facile passaggio tra la demonizzazione dei manifestanti,
alla soppressione del dissenso. «Non sarebbe la prima volta nella storia che un
presidente opera per azzittire le voci che gli risultano scomode – ha
dichiarato Adam Fallace, uno degli avvocati della Aclu di Portland,
l’associazione di legali che si occupano di difendere i diritti civili –
Stavolta è il presidente degli Stati uniti. Negli Usa sono legali le
manifestazioni di ogni tipo di dissenso, se ora questo dissenso va contro la
sensibilità del commander in chief dovrebbe essere un problema suo e non delle
migliaia di cittadini che amministra. La situazione è estremamente pericolosa,
siamo su di un terreno sdrucciolevole e precario».
A complicare ulteriormente le
cose c’è un innalzamento del livello di criminalità diffuso in vari centri urbani
che Trump imputa alla debolezza dei poteri locali. In realtà la spiegazione non
è univoca e semplicistica. In queste città è in atto in braccio di ferro tra
municipio e corpi di polizia che hanno visto il proprio budget tagliato. In una
sorta di ritorsione, la polizia ha rallentato il proprio lavoro proprio in un
momento delicato vista la crisi economica. Su questo terreno si è buttato Trump
con il suo pugno di ferro.
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