mercoledì 22 luglio 2020

pc 22 luglio - Stati Uniti: il fascio/imperialismo di Trump e le violenze della polizia non fermano ma allargano le proteste popolari


“Il vento di Minneapolis - diciamo tra l’altro nell’analisi sulla situazione mondiale https://proletaricomunisti.blogspot.com/2020/06/27-giugno-pandemia-e-crisi-mostrano-la.html#more - ha contagiato tutto il paese e il movimento antirazzista non si ferma e si estende. Ma attenzione, non c'è un generico movimento antirazzista. Ci sono proletari afroamericani e delle altre nazionalità che si ribellano alla brutalità poliziesca sistemica su cui si regge l'imperialismo Usa, indipendentemente dai governi - e con Trump si è arrivati al massimo. Ci sta la gioventù antirazzista, il movimento Black Lives Matter; ma c'è anche una campagna elettorale, l'antitrumpismo che si riversa nel sostegno a Biden come faccia più presentabile dell'imperialismo Usa, a fronte della crisi di consenso di Trump. In questa dinamica noi vediamo un altro scenario, quello del movimento rivoluzionario proletario e di massa che si muove con una dinamica di una potenziale guerra civile, dato che comunque Trump e il fascio populismo non lasceranno il campo senza esercitare il massimo dei suoi poteri e della violenza. Tutte le dichiarazioni di Trump su antifa, anti insurrezione, sono il cuore del problema con cui misurarsi.”


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Non solo Portland, gli squadroni di Trump verso Chicago e New York
Stati uniti. Prove generali di stato autoritario: manifestanti e passanti prelevati per strada. La procura dell'Oregon fa causa al governo federale
La protesta a Portland


22.07.2020
Durante un incontro con i giornalisti, lunedì nello Studio Ovale, Donald Trump ha dichiarato di volere inviare agenti federali a Chicago, New York e Philadelphia contro quelli che definisce «anarchici della sinistra radicale».
Ha esaltato i risultati che a suo parere sono stati ottenuti a Portland, dove qualche giorno fa il presidente ha fatto quelle che sembrano vere e proprie prove tecniche di stato totalitario inviando, così sono stati definiti, «squadroni di spie», agenti non identificabili, che hanno prelevato manifestanti e passanti per trasportarli e detenerli per ore in veicoli militari, anche questi non identificabili.
LA PRASSI È STATA RIPETUTA talmente tante volte che il procuratore generale dell’Oregon, Ellen Rosenblum, ha intentato una causa contro il governo federale, accusandolo di detenere illegalmente i cittadini.
Democratici e leader locali parlano di proteste in gran parte pacifiche affrontate dalle forze federali con lacrimogeni, ferendo gravemente un manifestante e spingendone altri nei furgoni non contrassegnati.


Una prassi che si innesta in un territorio dove il rapporto tra comunità e forze dell’ordine è già complesso e delicato, come ha spiegato al Washington Post Michael German, un ex agente speciale dell’Fbi e membro anziano del Centro di giustizia di Brennan: «Nei due, tre anni passati, c’è stata una frattura a Portland tra polizia e comunità. Più aggressività veniva data dalla polizia, più aggressività veniva restituita. L’amministrazione locale stava riuscendo a sanare questa ferita ma ciò che sta accadendo in questi giorni va in senso diametralmente opposto».
IL PROBLEMA È che non solo a Portland, ma in molte città Usa, le proteste contro il razzismo non si sono mai fermate, vanno avanti da oltre 50 giorni; questo è molto più di quanto Donald Trump possa sopportare e la settimana scorsa ha schierato duemila agenti federali tra Portland, Seattle e Washington D.C., definendole «squadre di risposta rapida».
La governatrice dell’Oregon Kate Brown ha definito l’invio delle truppe «uno sfacciato abuso di potere» che va contro il bene dei cittadini e calpesta il diritto a manifestare.
Lunedì il Chicago Tribune ha riferito di piani per schierare circa 150 agenti federali. «Non ho bisogno di inviti da parte dello Stato – ha dichiarato a Fox News Chad Wolf, segretario ad interim del Dipartimento per la sicurezza interna – Lo faremo che piaccia o no».
Per giustificare una virata così tanto autoritaria, Trump e la sua amministrazione continuano a parlare di manifestazioni fuori controllo e a demonizzare il movimento Black Lives Matter. In realtà la minaccia di inviare truppe federali a Chicago e in altre città è la migliore speranza per Trump di trasformare la lotta elettorale in una lotta tout court tra i difensori dell’ordine e quella sinistra radicale che, se Biden venisse eletto, governerebbe il Paese seminando violenza e terrore, secondo la narrativa trumpiana.
CIÒ CHE I DIFENSORI delle libertà civili temono è il facile passaggio tra la demonizzazione dei manifestanti, alla soppressione del dissenso. «Non sarebbe la prima volta nella storia che un presidente opera per azzittire le voci che gli risultano scomode – ha dichiarato Adam Fallace, uno degli avvocati della Aclu di Portland, l’associazione di legali che si occupano di difendere i diritti civili – Stavolta è il presidente degli Stati uniti. Negli Usa sono legali le manifestazioni di ogni tipo di dissenso, se ora questo dissenso va contro la sensibilità del commander in chief dovrebbe essere un problema suo e non delle migliaia di cittadini che amministra. La situazione è estremamente pericolosa, siamo su di un terreno sdrucciolevole e precario».
A complicare ulteriormente le cose c’è un innalzamento del livello di criminalità diffuso in vari centri urbani che Trump imputa alla debolezza dei poteri locali. In realtà la spiegazione non è univoca e semplicistica. In queste città è in atto in braccio di ferro tra municipio e corpi di polizia che hanno visto il proprio budget tagliato. In una sorta di ritorsione, la polizia ha rallentato il proprio lavoro proprio in un momento delicato vista la crisi economica. Su questo terreno si è buttato Trump con il suo pugno di ferro.

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