sabato 25 luglio 2020

pc 25 luglio - LOTTA PER LA RIDUZIONE DELL'ORARIO DI LAVORO, CENTRALE E NECESSARIA

Oggi torna con forza la necessità per la classe operaia della lotta per la riduzione dell'orario di lavoro a parità di paga. 
E' una lotta centrale contro i massicci licenziamenti che il padronato sta mettendo in campo e vuole fare soprattutto in autunno, per cui si parla di addirittura 1 milione e mezzo di lavoratori buttati in mezzo ad una strada.
E' una lotta contro la enorme, spropositata cassintegrazione, Covid e non Covid, una cig sempre più misera che sta portando migliaia di lavoratori e le loro famiglia e livello di miseria.
E' una lotta contro lo sfruttamento che sta diventando sempre più intenso, per la difesa della salute e della vita, perchè meno operai devono fare la stessa o più produzione, con pause ridotte o azzerate, ritmi di lavoro intensificati, condizioni stressanti di lavoro, con la punta di iceberg della condizione aggravata delle donne.
E' una lotta per la difesa del salario, falcidiato dalla cassintegrazione, dal costo della vita impossibile, e sempre più ridotto anche per chi continua a lavorare; l'illusione che lavorando di più, facendo straordinari, accettando turni massacranti si poteva aumentare il salario, si sta rivelando anche agli occhi dei più incalliti una pericolosa e falsa "difesa".
E' una lotta per respingere e combattere la "guerra tra poveri" tra occupati e disoccupati che padroni e governo di fatto portano avanti, usando i disoccupati per ricattare gli operai, per far accettare condizioni salariali e di lavoro sempre peggiorative.

Questa lotta per la riduzione della giornata lavorativa bisogna farla. Non è facile, non è breve. Ma è vitale per la classe e l'insieme dei lavoratori. 
E' una lotta contro i padroni, come classe, come contro ogni padrone; ma anche contro il governo, che regala sgravi, incentivi, cassintegrazione permanente, proroga la "foglia di fico" del blocco dei licenziamenti, ma non decide alcuna legge che stabilisca la riduzione dell'orario di lavoro, che da più di 100 anni è sempre di 8 ore.

Questa battaglia è stata sempre importante e centrale nella storia della lotta di classe, dello scontro tra interessi del capitale, difesi da tutti i governi e Stati borghesi, e interessi degli operai, dei disoccupati, delle masse popolari; questa battaglia ha posto nei fatti il problema dell'unità della classe e ha fatto crescere la coscienza della necessità della lotta rivoluzionaria per il potere proletario.

Per questo, sono quanto mai attuali, anche oggi, le parole di Marx contenute nell' "Indirizzo inaugurale dell'Associazione internazionale degli operai" del 1864 - che riportiamo e chiamiamo soprattutto gli operai a leggerle con attenzione: 

"Dopo una lotta trentennale, condotta con mirabile costanza, la classe operaia inglese, profittando di un passeggero dissidio fra i padroni della terra e quelli del denaro, fece passare la Legge delle dieci
ore. I notevoli benefici fisici, morali e intellettuali che ne trassero gli operai industriali (registrati nei rapporti semestrali degli ispettori di fabbrica) sono ormai evidenti. La maggior parte dei governi continentali fu costretta a introdurre (in forma più o meno modificata) la legge inglese sulle fabbriche, e lo stesso Parlamento britannico è costretto a estendere d'anno in anno la sfera d'azione di tale legge. Ma tale mirabile legge operaia non fu solo di importanza pratica. Per mezzo dei suoi scienziati più famosi (es. il dottor Ure, il professor Senior, ed altri sapienti di pari livello) la borghesia predisse e provò a sazietà che ogni restrizione legale della giornata lavorativa avrebbe sonato a morto per l'industria britannica (che come un vampiro può vivere solo succhiando sangue, specie di fanciulli). In tempi antichi l'uccisione dei fanciulli era un rito misterioso del culto di Moloch... ma praticato solo in occasioni solenni (forse una volta all'anno) e senza alcuna predilezione per i figli dei poveri. Tale lotta contro la restrizione legale della giornata lavorativa fu furiosa poiché (oltre a limitar l'avarizia) toccava la disputa fra la cieca legge dell'offerta e della domanda (cioè l'economia politica della borghesia) e la produzione sociale regolata dalla società (cioè l'economia politica della classe operaia). Indi la legge delle dieci ore fu un grande successo pratico nonché la vittoria di un principio: per la prima volta pubblicamente l'economia politica della borghesia soggiacque all'economia politica della classe operaia.

Ma l'economia politica del lavoro stava per riportar una vittoria ben più grande sull'economia politica della proprietà. Parliamo del movimento cooperativo, specialmente delle fabbriche cooperative erette da poche mani audaci e senza aiuti. Il valore di tale grande esperimento sociale non rischia di venir esagerato. Coi fatti anziché con argomenti queste cooperative hanno provato: che la produzione su grande scala e in accordo con i precetti della scienza moderna è possibile senza l'esistenza di una classe d'imprenditori che impieghi una classe di lavoratori; che i mezzi di lavoro non esigono, per rendere, di essere monopolizzati come mezzi di predominio e di sfruttamento del lavoratore; e che il lavoro salariato, come il lavoro schiavile e servile, è solo una forma transitoria e inferiore, che deve cedere al lavoro associato che svolge il suo assunto con mano volonterosa, mente alacre e cuore felice. In Inghilterra il seme del sistema cooperativo fu gettato da Robert Owen; analoghi esperimenti fatti da operai sul continente furono in realtà il risultato pratico di teorie non inventate bensì proclamate ad alta voce nel 1848. Le esperienze del periodo che va dal 1848 al 1864 hanno dato prove irrefutabili che il lavoro cooperativo, benché bello in teoria e buono nella pratica, finché resta limitato all'angusta cerchia di sforzi singoli di operai isolati, mai sarà in grado di arrestare la progressione geometrica del monopolio, di liberare le masse o solo di alleviar il peso delle loro miserie. Forse per tale ragione aristocratici plausibili, filantropi borghesi garruli nonché economisti arditi hanno fatto all'improvviso elogi stucchevoli allo stesso sistema cooperativo che invano avevano cercato di soffocare in germe deridendolo come utopia di sognatori e bollandolo come sacrilegio di socialisti. Per salvare le masse lavoratrici, il lavoro cooperativo dovrebbe svolgersi a livello nazionale indi esser sostenuto coi mezzi dello Stato. Ma invece i signori della terra e del capitale useranno sempre i loro privilegi per difender e perpetuare i loro monopoli economici. Ben lungi dal cooperare all'emancipazione del lavoro, seguiteranno a opporle ogni ostacolo possibile. Ricordate lo scherno con cui Lord Palmerston liquidò nell'ultima sessione parlamentare i sostenitori del disegno di legge sui diritti dei fittavoli irlandesi: gridò «la Camera dei Comuni è una Camera di proprietari fondiari!». Proprio per questo la classe operaia ha ora il dovere di conquistar il potere politico. E par averlo compreso poiché in Inghilterra, in Germania, in Italia e in Francia c'è stato un risveglio simultaneo della classe operaia e simultanei sforzi sono fatti per riorganizzarla come partito politico.


La classe operaia ha un elemento di successo, i numeri; ma i numeri pesano sulla bilancia solo allorché uniti in collettività e diretti con conoscenza del fine. L'esperienza del passato ha insegnato come il dispregio del legame fraterno (che dovrebbe esistere fra gli operai di diversi Paesi e incitarli a sostenersi gli uni con gli altri in tutte le loro lotte per l'emancipazione) è punito con la disfatta comune dei loro sforzi isolati. Tale idea ha spinto operai di diversi Paesi, adunati in pubblica assemblea il 28 settembre 1864 a St. Martin's Hall, a fondare l'Associazione Internazionale dei Lavoratori".

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