Un documentario prodotto da Michael Moore e girato da Jeff Gibbs mette in discussione la possibilità che possa esistere un capitalismo verde.
- Simone Rossi e Andrea Di Crescenzo - La città futura
- 18/07/2020
La questione climatica è una tematica che nella
storia, soprattutto recente, ha un ruolo sempre maggiore. Tanto gli
intellettuali ed i tecnici quanto le masse di ogni area del pianeta
hanno fatto e stanno facendo i conti con quella che è a tutti gli effetti una minaccia crescente.
Il problema esiste, è reale, ed i ritmi a cui procede la devastazione
ambientale sono allarmanti: basti pensare che negli ultimi anni i
ghiacciai si sono sciolti ad un ritmo di 765 miliardi di tonnellate
ogni 365 giorni, che continua ad aumentare [1].
Di fronte alla convinzione della portata drammatica
della crisi si fa strada la volontà e la necessità di trovare una
risposta al perché, per la prima volta nella storia, il pianeta Terra
sia così influenzato dall’azione umana al punto da rischiare di entrare
in un processo di trasformazione inarrestabile ed a noi dannoso.
Illuminante per rispondere a questa domanda è il documentario “Planet of the Humans” (che vi invitiamo a vedere) diretto da Jeff Gibbs e prodotto da Michael Moore, dove nello specifico ci si concentra sulla questione negli Stati Uniti d’America.
Il documentario,dedica ampi spazi alla descrizione del settore delle energie
cosiddette rinnovabili,
mostrando come al di là della propaganda il loro impatto sull’ambiente sia analogo a quello delle altre fonti energetiche. Dopo aver smontato questi miti si lascia al fruitore dell’opera il compito di cercare una soluzione concreta alla crisi climatica, con la nuova consapevolezza che non esistono soluzioni facili, visti gli interessi in gioco.
mostrando come al di là della propaganda il loro impatto sull’ambiente sia analogo a quello delle altre fonti energetiche. Dopo aver smontato questi miti si lascia al fruitore dell’opera il compito di cercare una soluzione concreta alla crisi climatica, con la nuova consapevolezza che non esistono soluzioni facili, visti gli interessi in gioco.
Nel 2017, Michael Bloomberg, noto uomo d’affari
americano “impegnato” nella lotta al cambiamento climatico, affermava:
“Passate dal carbone al gas naturale o alle rinnovabili. [...].
Potreste mettere pannelli solare sui vostri tetti” [2]
I pannelli solari suggeriti da Bloomberg sono ciò che rende l’energia solare
non rinnovabile. Per produrli è necessario il silicio, un materiale
semiconduttore che permette di convertire l’energia solare in
elettrica. Il silicio è molto abbondante sul nostro pianeta, ad esempio
la sabbia lo contiene. Questo però deve essere puro per essere usato
nei pannelli solari ed il silicio presente nella sabbia, afferma Ozzie
Zehner [3], contiene troppe impurità. Per ottenere il silicio adatto
bisogna fondere il quarzo (la quale estrazione è un processo altamente
inquinante) in una fornace ad altissima temperatura e questo provoca
un’importante emissione di anidride carbonica, che è esattamente ciò che
si vorrebbe evitare. Successivamente è necessaria un’altra
purificazione che consiste nel trattamento del silicio ottenuto dalla
fusione con idrogeno ed acido muriatico, questa reazione produce il
tetracloruro di silicio, una sostanza altamente tossica. [4]
L’energia solare non è un’energia rinnovabile, la
produzione dei pannelli solari incide negativamente sul pianeta, più di
quanto il prodotto finale possa incidere positivamente.
Fra le energie pseudo rinnovabili, citate da Bloomberg, troviamo anche le biomasse
che sono la più grande fonte di energia “verde”. Questa soluzione
prevede di bruciare alberi invece del carbone per produrre energia o
carburanti, risulta pertanto evidente come non sia un’energia
rinnovabile. E questi sono solo alcuni degli esempi! Viene da chiedersi
allora perché anche tante organizzazioni ambientaliste, in teoria
impegnate sul campo e che quindi conoscono la realtà del rinnovabile,
propongano questo tipo di soluzioni.
Durante una manifestazione ambientalista Jeff Gibbs
ed i suoi collaboratori hanno chiesto ad esponenti di movimenti
ambientalisti cosa pensassero riguardo le energie verdi: la maggior
parte ha evitato la domanda mentre altri hanno addirittura affermato di
appoggiare le biomasse come energia sostenibile.
È la loro ignoranza o c’è qualcos’altro? [5]. Così inizia la critica esposta nel documentario nei confronti di organizzazioni ambientaliste come Sierra Club o 350.org. Viene denunciato come nei “green century funds”
sostenuti da 350.org meno dell’1% del denaro è investito in energia
“rinnovabile” mentre il restante 99% è diretto ad infrastrutture per
gas e petrolio, estrazione mineraria, Coca Cola (che è uno dei maggiori
produttori di plastica) e tante banche fra cui Blackrock che è la più
grande finanziatrice della deforestazione sulla Terra. Sierra Club
collabora invece con un altro fondo, “Aspiration”, che include diverse
compagnie petrolifere che traggono profitto dalla distruzione del
pianeta come Chevron o ExxonMobil.
Ciò che queste organizzazioni stanno cercando di fare è colpevolizzare i singoli
nascondendo e legittimando i reali autori del cambiamento climatico
propagandando una soluzione interna al sistema come le energie
rinnovabili.
Il singolo viene portato a sentirsi responsabile di
ciò che sta avvenendo e quindi viene spinto ad usare la borraccia
piuttosto che la bottiglia di plastica o ad andare in bicicletta invece
di prendere la macchina. In realtà l’azione del singolo, pur se
importante, non è sufficiente come soluzione. La retorica del “se tutti
lo facessero” è una subdola forma di ipocrisia impostaci secondo la
quale il singolo fa la sua buona azione, “fa il suo”, scaricando la
responsabilità sugli altri che dovrebbero fare lo stesso (un ennesimo
esempio di guerra tra poveri). Questa retorica è utopica: le buone
azioni per quanto buone risultano sostanzialmente inutili se non
accompagnate da una critica generale a questo sistema produttivo.
La sproporzione tra il singolo e l’industria risulta
evidente guardando i dati, basti pensare alle già citate Chevron, che
dal 1965 al 2017 ha prodotto 43 miliardi di tonnellate di emissioni
climalteranti (gas serra), e Coca Cola, che ammette di produrre 3
milioni di tonnellate di plastica l’anno (200.000 bottiglie al minuto!)
[6] [7]. Producono quindi un veleno che tutti noi dovremmo impegnarci a
smaltire per “salvare” il pianeta. Cure annacquate per una malattie
della quale si conosce la causa.
Di fronte a questa distruzione deliberata e
consapevole del globo, appoggiata da politici, grandi mezzi di
informazioni ed organizzazioni “ambientaliste”, e di fronte
all’evidenza del cambiamento nullo che tutto questo sta portando, la
mobilitazione ha iniziato a crescere, così come l’interesse degli
intellettuali progressisti.
Qui in Italia il momento più alto di questa presa di coscienza è rappresentato dall’irruzione nelle piazze del movimento “Fridays For Future”,
il quale, nato in maniera disorganizzata e spesso per un passaparola
digitale, si è saputo dare un’organizzazione territoriale forte e nel
tempo sempre più avanzata nelle posizioni, scacciando gli iniziali
opportunisti e facendo emergere, tanto nei comunicati quanto nelle
piazze (dopo anni di nuovo piene di studenti), parole
d’ordine avanzate contro le multinazionali ed il green washing,
ricordando che non esiste alcuna giustizia climatica senza giustizia
sociale.
Questo sistema di produzione alimenta il fuoco che
brucia il nostro pianeta. Dopo anni passati a cercare di spegnere il
fuoco si è iniziato ad agire sulla causa ed a smentire chi tentava di
fornire false risposte, è la strada più difficile ma l’unica che
costituisca realmente una soluzione. C’è una risposta che è stata
sistematicamente occultata ma che ormai si sta rendendo di massa, e che
deve trovare il modo di poter emergere e farsi reale. Questa può essere
riassunta in una sola frase: L’ambientalismo senza anticapitalismo è giardinaggio [8]. E Planet of the humans ci aiuta a capire il perché.
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