martedì 21 luglio 2020

pc 21 luglio - L’ambientalismo senza anticapitalismo è giardinaggio - Un contributo


Un documentario prodotto da Michael Moore e girato da Jeff Gibbs mette in discussione la possibilità che possa esistere un capitalismo verde.

L’ambientalismo senza anticapitalismo è giardinaggio
La questione climatica è una tematica che nella storia, soprattutto recente, ha un ruolo sempre maggiore. Tanto gli intellettuali ed i tecnici quanto le masse di ogni area del pianeta hanno fatto e stanno facendo i conti con quella che è a tutti gli effetti una minaccia crescente. Il problema esiste, è reale, ed i ritmi a cui procede la devastazione ambientale sono allarmanti: basti pensare che negli ultimi anni i ghiacciai si sono sciolti ad un ritmo di 765 miliardi di tonnellate ogni 365 giorni, che continua ad aumentare [1].
Di fronte alla convinzione della portata drammatica della crisi si fa strada la volontà e la necessità di trovare una risposta al perché, per la prima volta nella storia, il pianeta Terra sia così influenzato dall’azione umana al punto da rischiare di entrare in un processo di trasformazione inarrestabile ed a noi dannoso.
Illuminante per rispondere a questa domanda è il documentario “Planet of the Humans” (che vi invitiamo a vedere) diretto da Jeff Gibbs e prodotto da Michael Moore, dove nello specifico ci si concentra sulla questione negli Stati Uniti d’America.
Il documentario,dedica ampi spazi alla descrizione del settore delle energie cosiddette rinnovabili,
mostrando come al di là della propaganda il loro impatto sull’ambiente sia analogo a quello delle altre fonti energetiche. Dopo aver smontato questi miti si lascia al fruitore dell’opera il compito di cercare una soluzione concreta alla crisi climatica, con la nuova consapevolezza che non esistono soluzioni facili, visti gli interessi in gioco.

Nel 2017, Michael Bloomberg, noto uomo d’affari americano “impegnato” nella lotta al cambiamento climatico, affermava: “Passate dal carbone al gas naturale o alle rinnovabili. [...]. Potreste mettere pannelli solare sui vostri tetti” [2]
I pannelli solari suggeriti da Bloomberg sono ciò che rende l’energia solare non rinnovabile. Per produrli è necessario il silicio, un materiale semiconduttore che permette di convertire l’energia solare in elettrica. Il silicio è molto abbondante sul nostro pianeta, ad esempio la sabbia lo contiene. Questo però deve essere puro per essere usato nei pannelli solari ed il silicio presente nella sabbia, afferma Ozzie Zehner [3], contiene troppe impurità. Per ottenere il silicio adatto bisogna fondere il quarzo (la quale estrazione è un processo altamente inquinante) in una fornace ad altissima temperatura e questo provoca un’importante emissione di anidride carbonica, che è esattamente ciò che si vorrebbe evitare. Successivamente è necessaria un’altra purificazione che consiste nel trattamento del silicio ottenuto dalla fusione con idrogeno ed acido muriatico, questa reazione produce il tetracloruro di silicio, una sostanza altamente tossica. [4]
L’energia solare non è un’energia rinnovabile, la produzione dei pannelli solari incide negativamente sul pianeta, più di quanto il prodotto finale possa incidere positivamente.
Fra le energie pseudo rinnovabili, citate da Bloomberg, troviamo anche le biomasse che sono la più grande fonte di energia “verde”. Questa soluzione prevede di bruciare alberi invece del carbone per produrre energia o carburanti, risulta pertanto evidente come non sia un’energia rinnovabile. E questi sono solo alcuni degli esempi! Viene da chiedersi allora perché anche tante organizzazioni ambientaliste, in teoria impegnate sul campo e che quindi conoscono la realtà del rinnovabile, propongano questo tipo di soluzioni.
Durante una manifestazione ambientalista Jeff Gibbs ed i suoi collaboratori hanno chiesto ad esponenti di movimenti ambientalisti cosa pensassero riguardo le energie verdi: la maggior parte ha evitato la domanda mentre altri hanno addirittura affermato di appoggiare le biomasse come energia sostenibile.
È la loro ignoranza o c’è qualcos’altro? [5]. Così inizia la critica esposta nel documentario nei confronti di organizzazioni ambientaliste come Sierra Club o 350.org. Viene denunciato come nei “green century funds” sostenuti da 350.org meno dell’1% del denaro è investito in energia “rinnovabile” mentre il restante 99% è diretto ad infrastrutture per gas e petrolio, estrazione mineraria, Coca Cola (che è uno dei maggiori produttori di plastica) e tante banche fra cui Blackrock che è la più grande finanziatrice della deforestazione sulla Terra. Sierra Club collabora invece con un altro fondo, “Aspiration”, che include diverse compagnie petrolifere che traggono profitto dalla distruzione del pianeta come Chevron o ExxonMobil.
Ciò che queste organizzazioni stanno cercando di fare è colpevolizzare i singoli nascondendo e legittimando i reali autori del cambiamento climatico propagandando una soluzione interna al sistema come le energie rinnovabili.
Il singolo viene portato a sentirsi responsabile di ciò che sta avvenendo e quindi viene spinto ad usare la borraccia piuttosto che la bottiglia di plastica o ad andare in bicicletta invece di prendere la macchina. In realtà l’azione del singolo, pur se importante, non è sufficiente come soluzione. La retorica del “se tutti lo facessero” è una subdola forma di ipocrisia impostaci secondo la quale il singolo fa la sua buona azione, “fa il suo”, scaricando la responsabilità sugli altri che dovrebbero fare lo stesso (un ennesimo esempio di guerra tra poveri). Questa retorica è utopica: le buone azioni per quanto buone risultano sostanzialmente inutili se non accompagnate da una critica generale a questo sistema produttivo.
La sproporzione tra il singolo e l’industria risulta evidente guardando i dati, basti pensare alle già citate Chevron, che dal 1965 al 2017 ha prodotto 43 miliardi di tonnellate di emissioni climalteranti (gas serra), e Coca Cola, che ammette di produrre 3 milioni di tonnellate di plastica l’anno (200.000 bottiglie al minuto!) [6] [7]. Producono quindi un veleno che tutti noi dovremmo impegnarci a smaltire per “salvare” il pianeta. Cure annacquate per una malattie della quale si conosce la causa.
Di fronte a questa distruzione deliberata e consapevole del globo, appoggiata da politici, grandi mezzi di informazioni ed organizzazioni “ambientaliste”, e di fronte all’evidenza del cambiamento nullo che tutto questo sta portando, la mobilitazione ha iniziato a crescere, così come l’interesse degli intellettuali progressisti.
Qui in Italia il momento più alto di questa presa di coscienza è rappresentato dall’irruzione nelle piazze del movimento “Fridays For Future”, il quale, nato in maniera disorganizzata e spesso per un passaparola digitale, si è saputo dare un’organizzazione territoriale forte e nel tempo sempre più avanzata nelle posizioni, scacciando gli iniziali opportunisti e facendo emergere, tanto nei comunicati quanto nelle piazze (dopo anni di nuovo piene di studenti), parole d’ordine avanzate contro le multinazionali ed il green washing, ricordando che non esiste alcuna giustizia climatica senza giustizia sociale.
Questo sistema di produzione alimenta il fuoco che brucia il nostro pianeta. Dopo anni passati a cercare di spegnere il fuoco si è iniziato ad agire sulla causa ed a smentire chi tentava di fornire false risposte, è la strada più difficile ma l’unica che costituisca realmente una soluzione. C’è una risposta che è stata sistematicamente occultata ma che ormai si sta rendendo di massa, e che deve trovare il modo di poter emergere e farsi reale. Questa può essere riassunta in una sola frase: L’ambientalismo senza anticapitalismo è giardinaggio [8]. E Planet of the humans ci aiuta a capire il perché.

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