da infoaut - stralci
...Le prese di posizione della
leadership grillina di Di Maio e Sibilia, nella sua nuova veste di
tirapiedi di Salvini al Ministero dell’Interno, vedono l’equiparazione
(nel migliore dei casi propagandistica e ignorante, nel peggiore
consapevolmente appiattita sulle posizioni leghiste) di un modello di
meticciato e cooperazione (più che di “integrazione” e “solidarietà”,
che ovviamente ne risultano) emancipatorio e dal basso al “business
dell’accoglienza” targato PD. Paragone insensato perché su quest’ultimo
si sono costruite reti di favori, carriere politiche e non, industrie della paura
ed elargizioni trasversali. Mentre Lucano (che non è nemmeno iscritto
al PD) non ha intascato nulla, e semmai il comune calabrese che
amministra è stato salvato dallo spopolamento e da un destino di
ghettizzazione ed oppressione come quello vigente a San Ferdinando, una settantina di km ed una costa più ad ovest.
In realtà il modello Riace è una minaccia a tutto campo per le retoriche e le prassi politiche del
governo. Un qualcosa di pericoloso non solo perché parte da quella provincia abbandonata a sé stessa dallo Stato, ormai assurta a terreno elettivo dei populisti nostrani e non; non solo perché nell’ “arte di arrangiarsi” del sindaco riacese possono identificarsi tanti cittadini e ancor più migranti in lotta contro burocrazie ed ordinanze insensate - che lesinano aiuti ai bisognosi e pagamenti ai fornitori ma sono prontissime e rapaci nel punire e fare cassa; non solo perché a fronte della prospettiva di Palazzo Chigi di un workfare di cittadinanza, dai caratteri fortemente paternalisti e nazionalisti e volto a tagliare il paese sulla linea del colore, Lucano propone un welfare che ricomprende tutti i riacesi e prescinde almeno in parte dai dogmi lavoristi (alla faccia della retorica piddina in proposito, unita a quella per cui "i soldi non ci sono"); ma perché laddove imperano i modelli dell’assistenzialismo o
del respingimento
quella di Lucano non è mera disobbedienza civile, come scrive Saviano,
ma un'alternativa possibile, concreta e funzionale, da schiacciare con
ogni mezzo.In realtà il modello Riace è una minaccia a tutto campo per le retoriche e le prassi politiche del
governo. Un qualcosa di pericoloso non solo perché parte da quella provincia abbandonata a sé stessa dallo Stato, ormai assurta a terreno elettivo dei populisti nostrani e non; non solo perché nell’ “arte di arrangiarsi” del sindaco riacese possono identificarsi tanti cittadini e ancor più migranti in lotta contro burocrazie ed ordinanze insensate - che lesinano aiuti ai bisognosi e pagamenti ai fornitori ma sono prontissime e rapaci nel punire e fare cassa; non solo perché a fronte della prospettiva di Palazzo Chigi di un workfare di cittadinanza, dai caratteri fortemente paternalisti e nazionalisti e volto a tagliare il paese sulla linea del colore, Lucano propone un welfare che ricomprende tutti i riacesi e prescinde almeno in parte dai dogmi lavoristi (alla faccia della retorica piddina in proposito, unita a quella per cui "i soldi non ci sono"); ma perché laddove imperano i modelli dell’assistenzialismo o
Non per una parte di elettorato grillino, passato nel giro di un lustro dai riferimenti di Gino Strada e Dario Fo, dall’abolizione della Bossi-Fini e dalla moneta complementare (usata concretamente da Lucano per sopperire alla mancata erogazione di fondi istituzionali) alle ruberie della Lega ed ai respingimenti arbitrari a completamento dell’opera di Minniti, altro grande nemico del sindaco calabrese. E la cui insofferenza si è palesata sia sul web che nelle aule parlamentari rispetto ai grillini fautori di un generico “rispetto delle regole”, nascosti dietro al dispositivo del “contratto di governo” o semplicemente passati armi e bagagli alle posizioni salviniane assecondando il complottismo ed il vittimismo dei vertici del governo davanti alle grandi questioni dell’attualità...
...La magistratura è un potere molto relativamente autonomo; non solo per l’esistenza di correnti politiche al suo interno che la pone in relazione con i partiti, ma anche per il sistema di porte girevoli con cui il suo personale, dall’attività giudiziaria, può passare a quella politica, economica e sociale. Entrambe queste tendenze si ritrovano nel caso in oggetto: il signor Luigi d’Alessio (che non è un discutibile cantante ma il procuratore di Locri, titolare dell’inchiesta su Lucano e simpatizzante di Magistratura Democratica) aveva già avviato la sua guerra contro il modello Riace da un anno, con Minniti al ministero dell’interno e la dirigenza RAI che aveva bloccato una fiction su di esso a causa delle sue indagini. Mentre l’ispettrice Enza Papa, coordinatrice delle operazioni sul campo, è gravata da un clamoroso conflitto d’interesse, essendo il suo compagno direttore di una struttura d’accoglienza direttamente concorrente con le cooperative riacesi.
E senza richiamare esempi storici ormai familiari (sia nel senso comune che, purtroppo, nella cronaca quali apartheid e campi di concentramento) per cui questa legalità è qualcosa di alieno non solo alla legittimità ma alla giustizia, ricordiamo che esiste in Italia un esercito di procuratori dediti anima e corpo in nome dello Stato (come loro compito e vocazione) all’indagare, incarcerare, compromettere l’agibilità e le relazioni quotidiane di migliaia di individui che si spendono in prima persona per cambiare l’esistente; e che con il caso Lucano si sentiranno ancora più autorizzati a portare avanti le loro repressive e dispendiose crociate. Basti pensare ai processi contro il movimento No Tav portati agli ennesimi gradi di giudizio da procuratori con l'elmetto; alle sentenze contro i manifestanti che al G8 di Genova rappresentarono la prima grande opposizione ad un (dis)ordine globale che la destra cerca ora di rivendicarsi; alle altissime condanne inflitte ai manifestanti di Piacenza e Cremona, scesi in piazza per chiudere le locali sedi di Casa Pound difese strenuamente dalla celere - e che producono materialmente la fattispecie del reato di antifascismo.
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