Lunedì 5 marzo a Firenze, nella città che ha già visto la strage di Piazza Dalmazia nel 2011, Idy Dien, un uomo originario del Senegal, un immigrato, un lavoratore, è stato assassinato con 9 colpi di pistola. Ha sparato un italiano di 66 anni, Roberto Pirrone. Sostiene che voleva togliersi la vita per i gravi problemi economici, ma ha scelto di togliere la vita a qualcun’altro. In queste ore e giorni Questura, politica istituzionale e giornalisti hanno fatto di tutto per ridimensionare l’accaduto parlando di assassinio casuale.
Pirrone non è un fascista, a suo dire non era mosso da moventi razziali, ma ha "scelto" di sparare ad un uomo nero, come se la vita di Idy Dien, anche lui un lavoratore e un padre di famiglia, avesse meno valore. Ha percorso 400 metri da casa sua a Ponte Vespucci, e Idy non è stato la prima persona che ha incontrato come emerso anche da alcune riprese. Ha ritenuto che la vita di un uomo nero
potesse essere sacrificata al posto di quella di un bianco, non si è sparato, ha ammazzato una persona che, nella sua testa “poteva” essere uccisa.
Questo rende quanto accaduto forse ancora più grave perché dimostra che quando odio, disperazione e frustrazione prevalgono è quasi automatico scagliarsi non contro chi ne è la vera causa, ma contro quei soggetti che da anni tutte le forze politiche, sostenute da mezzi stampa e Tv, indicano come causa di tutti i mali. La responsabilità politica di quanto accaduto a Idy è infatti di chi, in questi anni di crisi ha alimentato e continua a speculare su questo orrendo clima di paura ed emergenza, di chi ha utilizzato precarietà ed individualismo come leve con cui rompere legami di solidarietà, permettendo, in nome della “sicurezza” e della “lotta al degrado” di far crescere odio ed egoismo. Sono questi sentimenti, alimentati da Salvini con la sua retorica razzista fino a Minniti con le sue leggi antidegrado, che hanno causato la morte di un altro lavoratore prima del tempo.
Lunedì e martedì pomeriggio eravamo a fianco dei senegalesi che hanno manifestato fin sotto le finestre di Palazzo Vecchio e durante il presidio su Ponte Vespucci.
Qualche benpensante ipocrita, compreso il sindaco Nardella, è sembrato più addolorato e spaventato per 4 fioriere divelte, che per l’omicidio di un uomo a sangue freddo.
Evidentemente si ignora la rabbia e la volontà di reagire non solo ad un omicidio ma ad anni di razzismo, anche e soprattutto istituzionale, con tanti ambulanti repressi, manganellati ed arrestati, su ordine anche del nostro sindaco. Non stupisce quindi che martedì Nardella sia stato cacciato dal presidio: chi tutti i giorni subisce violenza e discriminazione sa riconoscere le responsabilità.
Nardella, che il giorno dell’omicidio ha rifiutato di incontrare i compagni di Idy e si e il giorno dopo presentato in maniera strumentale al presidio, ha avuto ciò che merita. D’altronde il comitato di ordine pubblico - di cui è parte anche lui - non avuto alcun problema a vietare alla comunità senegalese ed ai numerosi solidali, di muoversi in corteo, bloccando le persone manganelli alla mano, proprio sul lungarno adiacente a ponte Vespucci: il nostro sangue deve restare lontano dai salotti della città bene, non può sporcare le candide pareti del decoro urbano che evidentemente per Comune, istituzioni, e purtroppo anche per alcuni normali cittadini, valgono più della vita di un lavoratore.
Idy Diene ha pagato il prezzo di una guerra tra poveri voluta e alimentata da chi difende i propri interessi creando un nemico contro cui è facile scagliarsi.Facciamo appello a tutte e tutti gli antifascisti gli antirazzisti ad essere in piazza sabato 10 marzo per ricostruire quei rapporti di solidarietà che sono alla base dello sviluppo di un mondo più giusto, libero da odio, paura, sfruttamento e distruzione, per rilanciare la lotta comune contro quelli che sono i veri responsabili di tutto questo, per ribadire che non ci faremo dividere, perché l’unico nemico è comune ed è chi alimenta odio e paura cercando in ogni modo di metterci gli uni contro gli altri.
Firenze Antifascista
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