scrivo questa lettera dal carcere di
Piacenza in cui mi trovo rinchiuso da quella memorabile giornata di
lotta collettiva che da nord a sud dell’Italia ha visto le strade e
le piazze riempirsi di una forza politica fondamentale per la nostra
classe precaria in questo periodo storico: un tuonante NO al fascismo
e al razzismo. No a Casa Pound, Forza Nuova, e Lega Nord. No alla
retorica dello straniero e del diverso. No al terrorismo leghista. No
all’identificazione del migrante come persona da sfruttare sul
posto di lavoro tra mille ricatti, e poi giustiziabile sull’altare
della xenofobia, non di un folle, di un borderline, ma da un
fascista. In quelle piazze di massa c’eravamo tutti: c’era la
classe operaia, i
lavoratori della logistica che conoscono bene il
prezzo di essere immigrati nel nostro paese, e che da anni scioperano
per condizioni di lavoro dignitose; c’erano i giovani delle
periferie, dei quartieri popolari, che crescono insieme alle seconde
generazioni migranti nelle scuole e nelle strade, e che fin da
bambini conoscono la frustrante marginalità dovuta alle condizioni
economiche delle proprie famiglie; c’erano gli studenti
universitari accorsi da tutta Italia per urlare il rifiuto
all’avanzata fascista, contro i rigurgiti di un finto ideale che
meno di cento anni fa spinse i nostri nonni partigiani ad imbracciare
le armi per spedire la feccia fascista nelle fogne. In quella
giornata tra Piacenza e Macerata abbiamo vinto tutti noi che abbiamo
conquistato le piazze a spinta per non permettere i comizi fascisti e
l’equiparazione “democratica” dell’antifascismo militante con
il fascismo. Dopo il nostro arresto sono seguite molte altre piazze
antifasciste a Torino, Milano, Napoli, Palermo, Bologna.
Tra queste fredde mura era fonte di
enorme calore assistere alla compattezza con cui non si è mai fatto
un passo indietro: ogni volta che Casa Pound, Forza Nuova o Lega
hanno tentato di fare un comizio la risposta sociale è sempre stata
ostinata e radicale. Un grande grazie a voi, compagn@, per aver rotto
la gabbia, per aver rotto le catene nel momento in cui sembravano
stringersi. Noi ora dentro il carcere siamo come ostaggi nella
rappresaglia dello stato contro i poveri, in una battaglia persa da
Minniti, e che ora si serve dei tribunali per reprimere ciò che era
giusto e naturale fare: scendere in strada e lottare. Il “pugno di
ferro” che mi tiene in carcere con la sola accusa di resistenza è
solo un pezzo di carta, e ben più gravi sono le accuse rivolte
contro gli altri compagni! La liberazione di Mustafà mi ha riempito
di gioia. Ora in cella siamo rimasti solo noi due, ma non siamo soli,
e non lo saremo mai se fuori i compagni e le compagne antifascisti di
tutta Italia continuano a manifestare il grande NO al fascismo
proprio come abbiamo fatto in queste ultime settimane.
Stare in carcere non è semplice, ma la
solidarietà e il rispetto degli altri detenuti non è mai mancato ed
è stato sempre forte. Spero di poter tornare presto in libertà e di
non aver perso il posto di lavoro e recuperare un po’ di tempo
sottratto agli studi, ma soprattutto per tornare a vedere le piazze
sempre più gremite, compatte e determinate ad opporsi contro la
situazione politica che si è venuta a creare dopo le elezioni.
Ringrazio di cuore per tutti i telegrammi e le lettere da tutta Italia che sto ricevendo. Sono talmente tante che non so più dove metterle qua dentro! La vostra solidarietà mi tiene più vivo e più lucido!
Ringrazio di cuore per tutti i telegrammi e le lettere da tutta Italia che sto ricevendo. Sono talmente tante che non so più dove metterle qua dentro! La vostra solidarietà mi tiene più vivo e più lucido!
A testa alta e a pugno chiuso!
Dibi
Nessun commento:
Posta un commento