di Salvo Ardizzone
Come era largamente prevedibile, l’Italia continuerà a mantenere i suoi soldati in Afghanistan.
All’indomani delle dichiarazioni di Obama sul rinvio del rimpatrio del contingente Usa, Renzi non ha perso tempo ad adeguarsi; a Venezia, durante un’inaugurazione alla Ca’ Foscari, ha detto che è giusto mantenere l’impegno militare accanto a Washington, ed ha concluso rendendo noto che si sta valutando (leggi: sta per essere accettata) la richiesta Usa di proseguire la missione per un altro anno.
Non si tratta di una decisione improvvisa; già qualche giorno fa, a Bruxelles, il ministro della Difesa Pinotti l’aveva ventilato, dopo la recente visita del Segretario alla Difesa Ashton Carter; adesso è ormai deciso.
La presenza italiana in Afghanistan, già prolungata, si sarebbe dovuta concludere prima a ottobre e poi a dicembre; ora i nostri militari hanno la prospettiva di rimanere per tutto il 2016 in uno scenario che si va continuamente deteriorando.
Al momento sono circa 750 uomini, divisi fra il quartier generale di Kabul (una sessantina) ed Herat
nell’ovest del Paese. Si tratta di un contingente con una componente logistica ed elicotteristica, una task force per la sicurezza della base (al momento basata su elementi della brigata “Aosta”) e un centinaio di istruttori per la formazione delle forze afghane.
Ufficialmente i nostri militari non hanno compiti “combat”, ma la situazione è in rapida evoluzione negativa: l’Esercito e la Polizia afghani, come largamente previsto, tranne poche eccezioni stanno dimostrando tutta la propria inefficienza e inadeguatezza. Male armati, male equipaggiati e peggio diretti da ufficiali il più delle volte inetti e corrotti, quei reparti sono semplice carne da macello: di qui le perdite continue e le tantissime diserzioni che ne falcidiano gli effettivi.
Di fronte hanno le bande talebane (e degli altri network del terrorismo e dei trafficanti) che, con la partenza dei reparti della Nato e di Isaf dal campo hanno ormai la prospettiva della vittoria. Sanno che è solo una questione di tempo prima che gli ultimi occidentali partano, lasciandosi dietro un Paese distrutto e uno Stato marcio pronto a collassare alla prima spallata; e che si tratti della realtà lo si è visto a Kunduz, quando una città d’un milione di abitanti è stata occupata da un giorno all’altro.
La scelta di rimanere ancora, lasciando in Afghanistan alcuni reparti che non potranno incidere in alcun modo sullo sviluppo della situazione, è una decisione scriteriata, dettata solo dalla volontà di Obama di evitare di dover dichiarare il “Missione fallita” prima della fine del suo mandato, lasciandone il peso al suo successore.
Resterà una retroguardia sempre più ridotta in una situazione sempre più compromessa: poco più che ostaggi nel tentativo di mascherare quello che è e resta un sanguinoso disastro.
Accanto al contingente italiano, anche altri Paesi europei manterranno i propri uomini in quel pantano, anch’essi senza logica alcuna ma per semplice obbedienza a Washington.
Altro sangue e altri fiumi di denaro versati senza un perché che non sia la semplice, eterna sudditanza.
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