Rinviati a giudizio due dirigenti dell'impianto che avvelena il quartiere di Servola. Il sindaco Cosolini (Pd) aveva parlato di "giornalismo a orologeria". "Se abiterei lì? La domanda è mal posta"
Alla
Ferriera di Servola, l’impianto siderurgico di Trieste, dopo
l’inchiesta de ilfattoquotidiano.it sui sospetti sversamenti di catrame
arrivano i primi rinvii a giudizio per il direttore dello stabilimento
Giuseppe Bonacina e per il commissario straordinario della Lucchini
s.p.a., Piero Nardi, per violazioni ambientali. Al centro dell'indagine
il video da noi pubblicato ad ottobre in esclusiva, in cui è
riconoscibile una sostanza scura e densa che viene versata a terra di Franz Baraggino e Stefano Tieri
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Ferriera di Trieste, dati sulla mortalità legata alle emissioni battono Taranto
Ogni limite legale viene sistematicamente sforato. A parità di popolazione, prendendo in considerazione le morti connesse all'inquinamento degli impianti siderurgici, il numero registrato nel capoluogo giuliano (1959 decessi) è doppio rispetto a quello della città dell'Ilva
“Il bianco panorama” della Trieste di Umberto Saba si tinge di grigio. E in città capita di ammalarsi a causa dell’inquinamento, persino di morire. Le emissioni rilevate dalle centraline in prossimità della Ferriera,
lo stabilimento siderurgico da molti considerato il “cancro della
città”, non lasciano dubbi. Ogni limite legale, ormai da anni, viene
sistematicamente sforato. Un allarme che trova riscontro nei dati sulla
mortalità, dove il capoluogo giuliano supera anche Taranto.
E se la speranza è l’ultima a morire, quella nelle promesse della
politica non gode di buona salute. Mentre è in atto l’ennesimo passaggio
di proprietà, tocca alla presidente Debora Serracchiani
promettere il risanamento ambientale: “Faremo tutto il possibile”. Ma a
Servola, il rione maggiormente esposto ai fumi della Ferriera, i dubbi
sono ormai più delle certezze. Nella città giuliana non esiste giornata
realmente limpida: sia che la si guardi dal mare, passeggiando lungo il
litorale di Barcola, sia che la si ammiri dall’altipiano del Carso, ad
un passo dalla confinante Slovenia, è impossibile che l’occhio non venga
catturato da un quartiere perennemente immerso in una cappa di polveri e
fumo. Servola, il Tamburi di Trieste, dal 1896 ospita al suo interno un impianto siderurgico
conosciuto con il nome di Ferriera; dopo più di un secolo di storia, a
vederlo dal di fuori, lo si giudica poco più di un rudere.
Il
progetto S.E.N.T.I.E.R.I. è stato finanziato dal Ministero della
Salute. Ha analizzato la mortalità delle popolazioni residenti nei
pressi dei Siti di Interesse Nazionale per le bonifiche, tra gli altri,
quelli di Taranto e Trieste. Il periodo esaminato va dal 1995 al 2002,
anni in cui, spiegano i servolani, la situazione non aveva ancora
raggiunto gli attuali livelli di gravità. Confrontando i dati delle due
città arrivano le sorprese: a parità di popolazione, prendendo in
considerazione le morti connesse all’inquinamento degli impianti
siderurgici, il numero registrato a Trieste (1959 decessi) è doppio rispetto a quello di Taranto (1072).
Dati
allarmanti, legati a doppio filo a quelli sulla concentrazione di
inquinanti nell’aria. E qui una premessa va fatta: chi si aspetta che le
centraline di misurazione delle sostanze inquinanti siano pubbliche
rimarrà deluso. Quelle poste nelle vicinanze dello stabilimento sono
gestite, infatti, da Elettra Produzione S.r.l, società
privata che proprio dalla Ferriera ottiene i gas di cokeria con cui
produce energia (giovando inoltre della delibera sui CIP6 che le
permette di rivendere l’energia così prodotta ad un prezzo maggiorato):
un conflitto d’interessi a regola d’arte.
Fortunatamente
una centralina pubblica esiste. È collocata nel giardino di
un’abitazione privata, a pochi metri dall’impianto siderurgico. C’è, ma è
come se non ci fosse: la centralina non è stata, ad oggi, ancora mai
utilizzata dalle autorità competenti per prendere quei provvedimenti
risolutivi che le leggi in materia consentono. Su di essa, fino a
quest’estate, pendeva una diffida del gruppo Lucchini,
proprietario della Ferriera: nel 2009 la società intimò
all’amministrazione regionale di rimuoverla, contestandone l’ubicazione.
Non ottenendo riscontro dalla Regione la Lucchini decise di fare
ricorso al Tar, la cui sentenza è arrivata
quest’estate: il ricorso, dichiarato “inammissibile”, è stato rigettato,
poiché non si sono viste “quali illegittimità possano sussistere in una
scelta autonoma della regione o degli enti esponenziali della regione (Arpa)
di collocare una centralina in un centro abitato”, al cui interno
vivono persone con eguale diritto a respirare un’aria decorosa. Da
notare infatti che la centralina contestata è a 220 metri dalla cokeria
(fonte principale delle emissioni di benzo(a)pirene), da cui i primi
condomini distano invece appena 160 metri.
Leggendo
i valori misurati dalla centralina contestata si intuisce il perché
della diffida: rispetto a quelli riportati dalle altre sono
straordinariamente alti e superano ogni limite legale. Per le polveri sottili PM10,
associate a un aumento della mortalità respiratoria, il valore limite
giornaliero nei primi nove mesi del 2013 è già stato superato 70 volte
(a fronte dei 35 sforamenti tollerati annualmente); per quanto riguarda
il benzo(a)pirene, cancerogeno, la concentrazione
nell’aria nei primi otto mesi dell’anno – di 1,77 ng/m3 – è tale da
rendere impossibile il rispetto del limite annuale di 1 ng/m3. Nel 2012
non è andata meglio: gli sforamenti delle PM10 sono stati 99, mentre il
limite del benzo(a)pirene è stato superato di tre volte, avendo
registrato una media di 3,4 ng/m3.
Un approccio di
questo tipo, strettamente normativo, non può però descrivere fino in
fondo la drammatica situazione vissuta dai servolani, negli ultimi anni
decisamente peggiorata. La salute, che riguarda il benessere psicofisico
di una persona, non viene alterata solamente dalla presenza di una
particolare sostanza nell’aria. A questo inquinamento bisogna aggiungere
quello dei terreni e dell’acqua (la Ferriera si affaccia proprio sul
mare, a volte ricoperto da una sospetta schiuma bianca), il rumore delle
sirene anche nel pieno della notte, la puzza di zolfo, le polveri
presenti ovunque, la paura di scendere in strada. Lo stesso concetto è
stato espresso in molte lettera dell’Azienda sanitaria
agli enti locali. L’ennesima è stata inviata un anno fa all’assessore
all’ambiente del Comune di Trieste, dove si è fatto notare come abbiano
più volte evidenziato (a partire dal 2007) i “rischi per la salute
umana e l’ambiente conseguenti ad inquinanti quali benzene, polveri e
Ipa”. Osservando infine che “la presenza di un’esposizione a più
inquinanti, anche se alcuni valori sono prossimi ai limiti di legge,
rappresenta un fattore cumulativo di rischio portando ad un’aggressione
all’organismo da parte di più sostanze che possono contribuire
sinergicamente a determinare danni per la salute con effetti a lungo
termine”.
Per la Ferriera di Trieste questo è un
momento chiave: in seguito alla crisi economica della Lucchini (al
momento l’impianto è in regime di amministrazione straordinaria,
richiesto dall’azienda stessa in base alla Legge Marzano), l’ultima
possibilità per il proseguimento dell’attività siderurgica è data dal gruppo Arvedi,
che a giorni firmerà il contratto d’affitto dell’impianto per i
prossimi 8 mesi, a cui potrebbe seguire l’acquisto definitivo. Al tempo
stesso dovrà essere reso noto l’accordo di programma che chiarirà le
condizioni alle quali il “cavaliere dell’acciaio” subentrerà nella
gestione della Ferriera. Tra le altre, e voluta fortemente da Arvedi,
quella di affrontare le ingenti spese di bonifica dell’area attingendo a fondi pubblici. E mentre sindacati e operai si mobilitano per scongiurare i tagli all’organico già previsti dalla nuova gestione, si avvicina una data importante.
A febbraio scadrà infatti l’Autorizzazione integrata ambientale
concessa dalla Regione e senza la quale la Ferriera non potrà
continuare la produzione. Ma l’impressione a Trieste, nonostante le
generali condizioni e l’impatto ambientale, è che vogliano rinnovarla
senza troppi inciampi. La presidente del Friuli Venezia Giulia Debora
Serracchiani ci mette la faccia: “Stiamo facendo tutto il possibile per
il risanamento ambientale, senza se e senza ma”. Impegno ribadito dal
sindaco di Trieste, Roberto Cosolini, che sottolinea
come per il Comune “l’obiettivo è garantire la continuità industriale,
dentro un accordo di programma che preveda misure per il risanamento
ambientale del sito”. E se l’accordo con Arvedi saltasse? “La soluzione
sarebbe tutta quanta da trovare”. Insomma, nessun piano di riserva.
di Franz Baraggino e Stefano Tieri
Trieste, gli operai occupano la Ferriera contro la cassaintegrazione
Impianto in amministrazione straordinaria e trecento lavoratori a rischio dal 4 febbraio. Al centro delle polemiche sullo stabilimento, finito nell'occhio del ciclone per l'emissione di sostanze inquinanti, la trattativa tra Lucchini Spa, attuale proprietario, e Arvedi, unica speranza per continuare la produzione
Occupazione della Ferriera e sciopero per l’intera giornata. L’azione degli operai dello stabilimento siderurgico di Trieste (promossa da CGIL, CISL, UIL, si dissocia invece l’UGL), negli ultimi anni al centro di accese polemiche per il suo inquinamento al di sopra di ogni limite legale,
è dura. Dal primo mattino di ieri i lavoratori hanno bloccato la
fabbrica, occupandone la direzione e negando l’accesso ai mezzi pesanti
all’interno dell’impianto. Motivo: la richiesta di cassa integrazione
straordinaria per 300 operai a partire dal 4 febbraio di cui ieri è arrivata la notifica ufficiale.
La situazione amministrativa dello stabilimento è al momento molto delicata: in seguito alla crisi economica del gruppo Lucchini
l’impianto è entrato in regime di amministrazione straordinaria; a oggi
l’unica speranza per il proseguimento dell’attività siderurgica è data
dall’industriale Arvedi, attualmente in trattativa con
gli enti pubblici per raggiungere un accordo di programma, la cui firma è
stata più volte rimandata negli ultimi mesi e senza la quale non si
potrà arrivare all’acquisto dell’impianto.
Elemento
di grande preoccupazione per gli operai che temono il ritiro di Arvedi e
lo stop definitivo dell’attività industriale. “Se Arvedi non subentra a
Lucchini la Ferriera è destinata a chiudere”, è il commento di Luigi
Isaia, R.S.U. dell’azienda eletto con la Fiom-CGIL: “La Ferriera perde
130mila euro al giorno, l’anno scorso ha perso 42 milioni
di euro. I soldi ora sono finiti, senza un investitore non si va da
nessuna parte”. Il sindacalista conclude però mettendo in luce un
elemento di speranza per gli operai: “Il gruppo Arvedi ha acquistato una
nave di minerale per permettere il proseguimento dell’attività della
cokeria che quindi potrà rimanere accesa presumibilmente fino al 31
marzo. Se Arvedi non fosse ancora intenzionato all’acquisto della
Ferriera perché l’avrebbe comprata?”.
La
cassa integrazione – questa la motivazione ufficiale – è stata
richiesta in seguito alla decisione di chiudere temporaneamente
l’altoforno per poter dare avvio a dei lavori di ristrutturazione
necessari al suo corretto funzionamento. Ma i lavoratori temono che una
volta chiusa la struttura potrebbe non essere più riattivata e per
questo motivo hanno manifestato nei giorni scorsi parecchi malumori,
culminati nell’azione di oggi.
Nel
frattempo, mentre la fabbrica era occupata, nella sede della Regione si
è svolto un incontro a porte chiuse tra presidente della Regione,
sindaco di Trieste, presidente della Provincia di Trieste, l’ingegner
Rosato (in rappresentanza del gruppo Arvedi) e sindacati. Al centro
della discussione c’è stato il già citato accordo di programma, che
dovrà stabilire gli impegni economici da parte di Arvedi e degli enti
pubblici per quanto riguarda la bonifica delle aree inquinate e la
ristrutturazione degli impianti.
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