India: la prigione dei
movimenti popolari
La questione scottante della continua
incarcerazione di migliaia di prigionieri politici in India, l’amara
realtà che sta dietro la facciata della cosiddetta più grande
democrazia del mondo, di uno Stato penale dotato del peggior tipo di
leggi draconiane, viene messa in forte rilievo da un comunicato
stampa firmato Abhay, portavoce del PCI (Maoista) datato 11 maggio
20l2. La dichiarazione replicava alle accuse rivolte ai maoisti dal
governo indiano di atti di ‘terrorismo’ quali ‘sequestro’ per
‘riscatto’ e all’espressa necessità di un Centro nazionale
antiterrorismo (NCTC) allo scopo di affrontare tali atti. La
dichiarazione, smascherando l’ipocrisia di Chidambaram (allora
ministro dell'Interno) lo metteva sul banco degli imputati,
sottolineando che non aveva alcuna legittimità morale per accusare i
maoisti di ‘rapimento’ mentre il suo governo metteva dietro le
sbarre migliaia di adivasi. Respingendo l’accusa di ‘sequestro’
del ministro degli interni indiano, i maoisti dimostravano che non
erano stati presi degli ostaggi nella prospettiva di guadagnare
denaro, né per vendetta personale o rappresaglia, ma che quelle
persone erano state ‘arrestate’ dal popolo per la liberazione
delle migliaia di adivasi incarcerati nelle prigioni di Chhattisgarh,
Jharkhand, Odisha e altri stati dell’India. Non era ‘sequestro’,
ma ‘arresto’.
Così riassume l’attuale situazione
di crescente impunità dello Stato indiano nel subcontinente.
L’illegalità dello Stato indiano e delle sue istituzioni, dei
poteri giudiziario, esecutivo e legislativo, di fronte alle masse
lavoratrici messa in forte rilievo nella dichiarazione del portavoce
maoista,
Per dare il senso della crescente
impunità dello Stato indiano e le sue diverse istituzioni, è
importante guardare alla natura fondamentale di questo stato, al suo
volto bestiale di brutale repressione, che costringe la gente comune
a far ricorso a diversi metodi di auto-difesa che il potere
artificiosamente marchia come ‘atti di terrorismo’, col servile
avvallo dei media, il cosiddetto quarto potere. Così, le persone che
lottano per la giustizia per lo Stato diventano immediatamente
‘terroristi’. Lo Stato filo-imperialista, per lo sviluppo,
instauratosi nel subcontinente indiano dopo il l947 ha
sistematicamente spinto ai margini il popolo tanto da porre in
pericolo la sua stessa sopravvivenza. Ogni sforzo per farla finita
con questo modello di sviluppo che riproduce sfruttamento, strutture
oppressive di massimizzazione del profitto delle classi parassitarie
locali in alleanza con gli interessi imperialisti, hanno ricevuto
come risposta da parte Stato indiano la criminalizzazione. Dunque,
quello che il primo ministro esprimeva, celata dalla retorica dello
“sviluppo”, era lo sforzo dello Stato indiano di dotarsi di leggi
sempre più draconiane e strutture coordinate centralizzate con un
enorme potere per fronteggiare il crescente malcontento delle masse
popolari.
Lo “sviluppo” come sicurezza
nazionale.
Manmohan Singh, primo ministro
dell'India, ha già messo in chiaro che, con gli evidenti segni di
un’economia del subcontinente pericolosamente lenta, aggravata
dalla morsa stringente di un imperialismo afflitto dalla peggiore
crisi mondiale, lo sviluppo, in tutti i suoi aspetti, deve a maggior
ragione essere considerato un problema di sicurezza nazionale. Così,
ogni dissenso contro la piena attuazione delle politiche
filo-imperialiste di liberalizzazione-privatizzazione-globalizzazione
è considerato anti- sviluppo e quindi ‘anti- nazionale’, e può
anche essere bollato come ‘sovversivo’. È Significativo che
anche prima di questa dichiarazione Manmohan Singh aveva indicato il
movimento maoista come la più grande minaccia alla ‘sicurezza
interna’ dello Stato indiano.
Non un solo movimento popolare oggi in
India sfugge alla definizione di criminale da parte del governo,
centrale o statale, molti degli attivisti e dirigenti vengono
implicati in numerose imputazione o corrono il rischio di essere
uccisi per mano di militari/polizia/bande paramilitari/vigilantes.
La rivendicazione storica del
diritto a essere riconosciuti come prigionieri politici
Chi sono dunque i prigionieri politici?
Ripercorrendo la storia, dal periodo coloniale o oggi, sono coloro
che hanno resistito contro l'ingiustizia, l'oppressione, lo
sfruttamento e la discriminazione, che hanno osato sognare un mondo
privo di ogni forma di sfruttamento e di oppressione, un mondo basato
sulla condivisione e l’indipendenza, questi sono diventati
bersaglio dell’ira dello Stato – di quello coloniale o come di
quelli indiano nato dopo il ’47, asservito agli interessi
imperialisti. Fin dai giorni dei martiri Bhagat Singh, Rajguru e
Sukhdev e dei loro compagni, come Jatin Das, al tempo della lotta
anti-coloniale contro gli inglesi, c’è stata la rivendicazione del
riconoscimento dei prigionieri politici. Non solo rivoluzionari come
Bhagat Singh e i suoi compagni, anche i gandhiani hanno parlato della
necessità di riconoscere dei diritti del prigioniero politico nel
periodo intercorso tra le due guerre mondiali, quando la lotta
anti-coloniale stava acquistando slancio. Tutti gli anti-colonialisti
combattevano per un futuro libero dal giogo del colonialismo e molti,
come Bhagat Singh, avevano visione di un subcontinente indiano
autosufficiente, libero da ogni forma di sfruttamento e oppressione.
La tormenta delle varie lotte di liberazione nazionale che infuriava
nel subcontinente negli anni ’40 ha visto lo Stato coloniale
adottare diverse leggi di carcerazione preventiva e altre norme
repressive per criminalizzare le aspirazioni di quei popoli. Con la
partizione per comunità del subcontinente e la formazione dello
Stato indiano brahminico, a immagine dell'imperialismo, la necessità
di criminalizzare ulteriormente tali aspirazioni era ancora più
evidente. Dalla lotta armata in Telangana degli anni ’40 a quella
di Naxalbari nel 1970 e alle lotte di liberazione nazionale negli
anni ’80 e ’90, all’onda alta dei diversi movimenti popolari
contro i crescenti attacchi delle classi dominanti per imporre
politiche di liberalizzazione, privatizzazione e globalizzazione
(LPG), dal 1991 fino ad oggi, oltre allo spettro crescente del
movimento maoista, la definizione di prigioniero politico ha
continuato ad espandersi, indice dell’espressione multiforme del
malcontento manifestata dai popoli del subcontinente. Nel 1970,
quando Indira Gandhi, allora primo ministro dell'India, proclamò lo
stato di emergenza sospendendo tutti i diritti fondamentali, oltre ai
prigionieri naxaliti sopravvissuti alle centinaia di migliaia di
esecuzioni in custodia e stragiudiziali che lottavano per i loro
diritti in quanto prigionieri politici, anche settori garantisti dei
socialisti Lohisti, dei gandhiani e dei socialdemocratici del PCI
posero la questione della necessità di riconoscere i diritti del
prigioniero politico.
Lo Stato penale indiano – la
legalizzazione della crescente impunità
In quanto complemento della
ripartizione del mondo tra le potenze imperialiste dopo la Seconda
Guerra Mondiale, la natura intrinseca dello Stato braminico, sotto la
guida dell’imperialismo USA era comunitario indù. Il processo di
costruzione dello Stato in India dopo il 1947 ha avuto questo
sentimento emergente come fattore determinante, tanto che all’inizio
del 21° secolo, quando si è scatenata sui popoli del mondo una
rinnovata offensiva imperialista con l’ideologia della cosiddetta
‘guerra al terrorismo’, lo stato indiano è diventato valido
alleato dell’imperialismo USA in Sud Asia. Il musulmano come
l'altro, il Kashmir musulmano come traditore, le altre nazionalità
in lotta come minaccia per il grande ideale dell’India che risorge,
gli adivasi, i dalit e le altre caste oppresse come portatori di
incompetenza, inefficienza e ostacoli alla marcia in avanti per
“recuperare” rispetto all'Occidente, sono gli stereotipi
orientalisti ereditati dall’edificio ideologico dello Stato
indiano. La natura anti-islamica, anti-dalit, anti-minoranze dello
Stato indiano emerge in forma acuta nella fase attuale, col crescere
delle atrocità contro il popolo.
I giovani musulmani: bersaglio di
una politica di odio camuffata dell’ideologia della ‘guerra al
terrorismo’
Migliaia di giovani musulmani sono
stati bersaglio della cosiddetta “guerra al terrorismo”, molti di
loro sono stati imputato per moltissimi attacchi dinamitardi, come
l’esplosione sul treno Samjhauta, le bombe a Bangalore, Coimbatore,
Jaipur, Hyderabad, Delhi, Bombay, Surat nel Gujarat, Nashik, Nanded e
Malegaon in Maharashtra, in Uttar Pradesh e tentati attacchi in
diverse parti del Kerala, la lista è infinita. L’aspetto più
sorprendente di tutti questi attentati è che nessuno di questi
avrebbe potuto portare alla reclusione di un giovane musulmano. E
invece moltissimi di loro sono stati detenuti in custodia,
brutalmente torturati moralmente e fisicamente. Alcuni dei metodi
usati dagli investigatori indiano fanno impallidire perfino la
famigerate torture di Abu Grahib e Guantanamo.
Il caso dell’attentato di Malegaon è
un perfetto esempio illustrativo del fatto evidente che i musulmani
sono diventati carne da cannone per spacciare l’ideologia della
cosiddetta ‘guerra al terrorismo’, canale per agevolare il
crescente intervento delle forze dell’ imperialismo USA in Asia
meridionale, per non parlare della convergenza sempre più profonda
di interessi tra il capitale moribondo e le forze fasciste
comunitariste indù. In breve, il caso Malegaon in breve è il
seguente. L'8 settembre 2006 una bomba esplode nei locali della
moschea Hamidia nella città di Malegaon. Poche ore la dopo polizia
del Maharashtra dichiara che dietro queste esplosioni c’è il già
bandito Movimento Studentesco Islamico dell'India (SIMI), ed effettua
una raffica di arresti di giovani musulmani. Anche se in molti non si
bevono la storia che dei giovani musulmani abbiano messo una bomba in
una moschea, i media e la polizia creano un clima di terrore e
complotto tale che per le voci più oneste è impossibile osare farsi
avanti e smascherare l’assurdo. Gradualmente, la gente di Malegaon
prende coraggio e si fa avanti unita condannando con forza il modo in
cui l’incidente è stato utilizzato per mettere dietro le sbarre
giovani musulmani innocenti. Dopo 5 anni di carcere, grazie alla
crescente pressione dell’opinione pubblica, lo Stato è stato
costretto a rilasciare su cauzione nove degli imputati, contro cui
non c'era alcuna prova, mentre appariva sempre più chiaro dalle
dichiarazioni di esponenti comunitaristi indù che dietro
quell’azione efferata c’erano le loro organizzazioni. Inoltre,
diversi fatti gettavano dubbi sulla versione della polizia. Il primo
imputato nell'esplosione, Shabbir Massihullah, già due mesi prima
dell’incidente era stato arrestato e incarcerato per un’altra
accusa. Un altro imputato, Shahid Ansari, è l’imam di una moschea
di Yvatmal, che dista 520 chilometri dal luogo dell'incidente. La
gente della moschea di Yvatmal avevano testimoniato che Shahid era
alla moschea a presiedere le preghiere il giorno delle esplosioni a
Malegaon. Infine Abrar Ahmad, testimone d’accusa, ha poi ammesso di
fronte alla corte che la polizia gli aveva offerto del denaro per
confermare le accuse. Oltre a tutti questi fatti, c’erano i
riscontri incriminanti trovati da Hemant Karkare, allora capo
dell’ATS del Maharashtra, sulla vasta rete di organizzazioni
comunitariste indù coinvolte in diverse esplosioni. Non sorprende il
fatto che Hemant Karkare sia stato misteriosamente ucciso nel corso
dei ben noti incidenti avvenuti a Mumbai al terminal Chhatrapati
Shivaji (ex capolinea Victoria) e altrove. La montatura è
definitivamente franata con la confessione resa al magistrato da
Swamy Aseemananda del coinvolgimento negli attentati dinamitardi
della sua e di altre reti di nazionalisti indù. Nonostante tutti
questi riscontri e prove, tra gli investigatori il livello di
collusione con i comunitaristi è radicato al punto che questi
insistono ancora sui vecchi teoremi ormai smentiti, e stanno cercando
il modo per scagionare i comunitaristi indù arrestati. Così, pur
essendo stati rilasciati su cauzione, la sorte di tutti i 9 giovani
musulmani implicati nel caso è ancora incerta.
Sono molti gli episodi di esplosioni
che ci raccontano una storia simile. Nonostante i fatti e
l’infondatezza delle accuse degli investigatori, i giovani
musulmani restano dei facili bersagli per la politica della
cosiddetta ‘guerra al terrorismo’ e la macchina dello Stato è
riuscita a diffondere ampiamente stereotipi sulla comunità dei
musulmani,, che sono i più poveri economicamente, socialmente e
culturalmente. Giovani musulmani degli stati di Maharashtra, Gujarat,
Uttar Pradesh, Bihar, Delhi, Rajasthan, Andhra Pradesh, Karnataka,
Kerala e Tamilnadu sono stato incriminati per diverse esplosioni. Lo
Stato del Gujarat, governato dal fascista comunitarista Narendra
Modi, beniamino del capitale imperialista e compradore nazionale, ha
portato la politica dell’odio nazionalista a nuovi livelli,
criminalizzando e incarcerando giovani musulmani in numeri senza
precedenti. Gli oscuri legami tra la famigerata Andhra Pradesh
Special Branch e la polizia del Gujarat nell’ordire trame e
assassinii a sangue freddo camuffati da “scontri” sono stati
spudoratamente insabbiarti, Narendra Modi e compari hanno avuto buon
gioco nella comunitarizzazione e criminalizzazione di polizia e
intelligence. La memoria del genocidio di musulmani in Gujarat, per
non parlare delle montature contro giovani musulmani per diversi
episodi, come il clamoroso incidente ferroviario Godhead, resta in
ogni mente pensante come esempio dell’ascesa delle forze
comunitariste indù come asse principale della politica di conquista
del voto e cioè di conquista e conservazione del potere politico in
India, a livello di governi centrale e statali.
In molti di questi casi, i processi
vanno a passo di lumaca, più di una volta i giudici dei rispettivi
tribunali sono stati trasferiti a metà del processo. La ‘minaccia’
incombente del musulmano ‘altro’ è stata subito recepita dalla
politica con la messa al bando del Movimento degli Studenti Islamico
dell’India (SIMI). Diversi arresti di presunti attivisti del SIMI
in diversi stati sono stati molto pubblicizzati dai media e associati
ad atti di ‘terrorismo’ attribuiti al SIMI. I giovani musulmani
arrestati sono incriminati in numerosi processi, ma resta il fatto
che quasi tutte le accuse, contro giovani musulmani in generale e
contro il SIMI in particolare, sono crollate come birilli, senza uno
straccio di prova. Nonostante questi fatti eclatanti, lo Stato
braminico indiano ha confermato la messa al bando contro il SIMI.
Un’altra leggenda dell’incombente ‘minaccia’ è la sguaiata
campagna dei media su una presunta organizzazione chiamata Mujahideen
indiani. Nessuno sa se una tale organizzazione esista davvero. Ma a
molti giovani musulmani si è cucito addosso l’abito di membri di
questa organizzazione. Spesso sono i giovani musulmani istruiti il
bersaglio dello Stato indiano. La campagna denigratoria contro
comunità musulmana in occasione di attentati, la minaccia di
‘terrorismo’ attribuita alla comunità attraverso le sue
organizzazioni come SIMI e Mujahideen indiani, per dire degli
stereotipi diffusi sui musulmani, hanno fatto di ogni musulmano un
potenziale sospetto nella mente di un non- musulmano.
I Musulmani del Kashmir – bersagli
di occupazione che diventa impunità
Il caso del dottor Qasim Muhammad
Faktoo, che ancora non vede la luce del sole dopo più di 20 anni di
carcere, testimonia il volto brutale della politica di vendetta dello
Stato indiano sul popolo di Jammu e Kashmir. Inizialmente arrestato e
perseguito in forza del Terrorists and Disruptive Activities Act
(TADA), i tribunali lo hanno assolto dalle accuse e anche la polizia
ha scritto alle autorità circa la necessità di considerare nel
merito il caso contro il dottor Qasim Muhammad Faktoo e la sua
prolungata incarcerazione senza alcuna accusa. Ma, come per ogni
prigioniero politico, la decisione di tenerlo dietro le sbarre o
rilasciarlo è politica, nel caso di Qasim Faktoo si è preteso un
pedaggio di 20 anni (quasi due ergastoli) dati che il potere guarda
ancora al suo caso come a una vendetta politico, un caso simbolo di
un musulmano Kashmiri perseguitato per le sue convinzioni politiche.
Se 20 anni non sono bastati alle autorità per prendere in
considerazione il rilascio del dottor Qasim Muhammad Faktoo, per
altri musulmani del Kashmir non è diverso.
Per un musulmano del Kashmir passare in
attesa di giudizio un periodo della vita nelle prigioni indiane non è
molto raro. Come per la sua controparte indiana, per un musulmano del
Kashmir essere implicato in numerosi processi per esplosioni, che
proliferano come funghi in lungo e in largo nel subcontinente, è una
cosa normale. Arrestare un musulmano del Kashmir per tali episodi è
perfino senso comune. Il caso dell’attentato al Lajpat Nagar mostra
la crescente impunità della polizia e degli altri investigatori per
le montature contro musulmani kashmiri. L'esplosione ebbe luogo il 21
maggio 1996 nei pressi del mercato Lajpat Nagar a New Delhi e dei sei
musulmani kashmiri arrestati e processati, Mirza Nissar Hussain, Mohd
Ali Bhat e Mohd Naushad sono stati condannati a morte dal tribunale,
mentre Javed Ahmad Khan è stato condannato all’ergastolo e gli
altri due, Farooq Ahmad Khan e Farida Dar, a sette anni e a quattro
anni due mesi, secondo l’Explosive Substances Act e dell’Arms
Act, che sono le accuse standard con cui si perseguono i prigionieri
politici appartenenti alle lotte di liberazione
nazionale/adivasi/maoisti. Al tribunale sono occorsi quattordici anni
per concludere il processo ed emettere la sentenza. Dunque gli
imputati avevano quasi completato il periodo di pena in attesa della
fine del processo. Alla fine, l'Alta Corte di Delhi ha stigmatizzato
polizia e organi inquirenti per non aver rispettato neppure le
procedure più elementari nella conduzione dell’inchiesta e
nell’arresto dei sospetti. Non era la prima volta che un’Alta
Corte in India esprimeva il proprio disappunto per il disprezzo di
norme fondamentali e delle procedure da parte degli investigatori né
era la prima volta che un’Alta Corte ha lasciato a che accadesse,
senza intraprendere qualsiasi azione contro dolo delle autorità. È
interessante notare che il giudice, dopo aver cantato e danzato
contro i crescenti casi di impunità della polizia e delle agenzie
investigative, è poi rimasto in uno studiato silenzio. Fino a oggi
non c’è quasi nessun caso degno di nota in cui la grave violazione
dei doveri della polizia e degli altro organi di
indagine/intelligence siano stati ritenuti perseguibili da un
giudice.
Così, quando infine, il 22 novembre
2012, l'Alta Corte di Delhi ha assolto Mirza Nissar Hussain e Mohd
Ali Bhatt, entrambi avevano trascorso 16 anni in prigione - 14 come
in attesa di giudizio e 2 anni da detenuti - in attesa che il giudice
finalmente facesse luce e li dichiarasse innocenti. Nonostante prove
fragili, l’alta corte ha confermato la condanna all'ergastolo di
Javed Ahmad Khan, mentre ha commutato in ergastolo la condanna a
morte di Mohd Naushad. Ci sono migliaia di casi noti di episodi di
impunità delle forze di polizia, paramilitari e investigatori, che
fanno a gara tra loro per mostrare che sono capaci di produrre
risultati che diano sostanza alla propaganda ideologica della “guerra
al terrorismo”.
Come accennato prima, l'edificio dello
Stato indiano è stato costruito sulla violenta repressione della
rivendicazione del diritto all’autodeterminazione dei popoli di
Jammu e Kashmir, Naga, Manipur, Mizo, Assam, Bodo, Dimasa. Anche le
richieste di autonomia e sovranità separata (federalismo interno)
all'interno dell'unione indiana dei popoli di Telangana, Vidarbha
ecc. hanno incontrato la violenta repressione da parte dello Stato,
con la morte di migliaia di persone. Soprattutto il Kashmir è
diventato il punto di innesco nella geo-politica del Sud Asia. Le
classi dominanti di India e Pakistan vorrebbero mantenere irrisolta
la questione del Kashmir per continuare a giocare la partita politica
truccata per il ruolo di alleato più affidabile dell’imperialismo
USA. L’India usa Kashmir per radicare ulteriormente lo sciovinismo
braminico Hindutva, dipingendo il Kashmir musulmano come una grave
minaccia per la sovranità e l’integrità dell’India. Questo ha
permesso allo Stato indiano di perpetrare impunemente in Kashmir
quasi 100.000 assassinii per mano dall’esercito indiano e dei
paramilitare, più di 60.000 detenzioni nei centri di tortura e
reclusione e circa 10.000 scomparsi, molti dei quali rinvenuti tempo
dopo in fosse comuni. Oltre che nelle carceri in Jammu e Kashmir,
musulmani kashmiri sono detenuti in Ranchi, West Bengal, Gujarat,
Karnataka, Andhra Pradesh, Maharashtra, ecc. In molti casi, il
processo dura più di 10 anni (in alcuni casi 14 anni) e il giudice
alla fine dichiara l’imputato innocente! Come ha detto uno dei
musulmani kashmir prigionieri, dopo essere stato condannato a morte
per una bomba a Delhi: “Essere un Kashmir è di per sé un crimine
in India”!
Il Public Security Act of Jammu &
Kashmir è una legge draconiana del tipo ampiamente utilizzato dallo
Stato per tenere per anni dietro le sbarre le voci del dissenso. Per
questa legge, è a totale discrezione dell'esercito, che domina
sull’amministrazione civile, per quante volte una persona può
essere messa dietro le sbarre. È facile, invocata questa legge,
impedire ad una persona di vedere la luce del giorno per i prossimi
due anni, prima di essere portato davanti al giudice. E anche quando
il tribunale civile di Jammu & Kashmir ordina il rilascio di un
prigioniero, il giudice militare ha spesso il potere di revocare la
decisione.
L’espansionismo indiano e il Nord
Est
Se lo Stato indiano ha trasformato il
Kashmir, uno dei luoghi più belli del mondo, in un cimitero, la
situazione in tutta la regione del Nord Est non è diversa.
L’approccio strategico dello Stato indiano nella regione è stato
quello di trincerarsi e imporsi come arbitro di tutte le dispute
irrisolte tra popoli della regione per contrapporre una nazionalità
contro l’altra. Dal 1947 la politica di ‘bastone e carota’
dello Stato indiano gli ha permesso di tenere in pugno il destino dei
popoli della regione. Una delle strategie principali per questo scopo
è stata tenere impegnati in colloqui prolungati (negoziati di
pace/cessate il fuoco) i vari movimenti di liberazione nazionale
impegnati nella resistenza armata, in modo da logorarli politicamente
e creare dissensi all’interno delle comunità e dei loro movimenti
di liberazione. Lo Stato indiano è riuscito a farlo con Assamese,
Mizo e Bodo, e contemporaneamente ha tenuto impegnati nei negoziati
più lunghi di sempre (15 anni) i Naga, a cui spesso ci si riferisce
come alla “madre di tutte le rivolte”. Uno dei principali
dirigenti impegnati direttamente nei negoziati, Anthony Shimray del
Consiglio nazionale socialista di Nagalim (IM) è stato rapito dai
servizi segreti indiani in un paese straniero (il Nepal) per poi
presentarlo arrestato in Bihar dal RAW. Contro lo stesso Anthony
Shimray, che è uno dei principali leader impegnati nelle trattative,
il governo indiano ha mosso accuse secondo le leggi antiterrorismo e
il codice di guerra. Nessun altro caso può illustrare meglio di
questo quanto possano essere autoritari e fascisti lo Stato indiano e
i suoi vari apparati armati. I Manipuri hanno subito arresti e
assassinii in falsi scontri di loro dirigenti e attivisti. Grazie
all’AFSPA, di cui si è già detto, l’esercito gode di poteri
illimitati,. Solo negli ultimi 5 anni, sono stati segnalati più di
1500 casi di falsi scontri nella valle di Manipur, di questi, la
Corte Suprema ha appena preso atto di appena una mezza dozzina di
casi. Così, in Manipur come in molte parti del subcontinente, sono
più gli attivisti uccisi che quelli arrestati e tenuti dietro le
sbarre. Oltre che in Manipur e Assam, i falsi scontri o quelli che lo
Stato descrive “fuoco per legittima difesa” sono abbastanza
comuni in tutte le aree in cui persistono lotte di liberazione
nazionale, come in Jammu & Kashmir, Naga, Bodoland, Kamtapur in
Nord Bengala ecc. La stessa tendenza è dilagante negli stati di
Andhra Pradesh, Bihar, Jharkhand, Orissa, Maharashtra, Chhattisgarh,
con l’Andhra Pradesh a fare da capofila e modello di impunità. Le
linee guida vincolanti fissate dalla Commissione nazionale per i
diritti umani (NHRC) e le altre disposizioni di legge non sono mai
state osservate in nessuno di questi cosiddetti scontri.
In Assam e Manipur si è anche
assistito all’uso di stupri e omicidi come strumento di repressione
da parte dell'esercito e paramilitari. L’uccisione di Manorama
Devi, un’attivista della lotta di liberazione nazionale del Manipur
è un caso che ha attirato l'attenzione dei media mondiali.
L’originale protesta di donne che si sono spogliate di fronte ai
campi dell'esercito indiano con cartelli in cui chiedevano di essere
stuprate, mostra il grado di brutalità e di impunità con cui lo
Stato indiano tratta i movimenti delle legittime aspirazioni
politiche dei popoli della regione. Questo nonostante le grandi
manifestazioni dei movimenti popolari e delle organizzazioni per i
diritti civili e democratici. Anche in Assam si è assistito a
numerosi uccisioni in falsi scontri di attivisti per i diritti
democratici del MASS e dell’ ULFA (United Liberation Front of Asom)
oltre che di militanti maoisti. Sono anche stati incarcerati molti
giovani in lotta per i loro bisogni fondamentali nelle regione
estremamente arretrata dell’Alto Assam.
Inoltre, l’intero Nordest è in
rivolta contro il nuovo progetto coloniale di sviluppo imposto dallo
Stato indiano, ipocritamente chiamato Look East Policy (guardare a
Est, ndr, LEP). Con la LEP lo Stato indiano sta progettando di
costruire 168 grandi dighe in tutto il Nordest per produrre 100.000
MW di energia che saranno venduti per lo più sul mercato
internazionale attraverso le zone di libero scambio previste lungo il
confine birmano. Tutti i movimenti anti-dighe e anti-evacuazione in
corso nella regione sono repressi dallo Stato che ricorre all’UAPA.
Le regioni di Assam e Arunachal Pradesh hanno visto la dura
repressione dei movimenti popolari contro le evacuazioni. Le
condizioni nelle carceri in Arunachal Pradesh sono le peggiori al
mondo, per i prigionieri non ci sono né un alloggiamento adeguato,
né cibo sufficiente. Inutile dire che molti dei prigionieri in
questa regione sono combattenti per la liberazione nazionale o
adivasi indifesi di fronte agli attacchi di polizia ed esercito alla
loro vita quotidiana nelle foreste delle colline.
Le prigioni in India -
sovraffollamento, mancanza di igiene e condizioni di vita infernali
Mentre le statistiche del malcontento
tra le masse popolari minacciano di battere ogni record, le carceri
nel subcontinente indiano sono sempre più sovraffollate con
condizioni di vita infernali. Nel dicembre 2012 i detenuti reclusi
nelle prigioni sovraffollate di Gadchhiroli in Maharashtra, hanno
lanciato uno sciopero della fame per chiedere alle autorità di
essere trasferiti al più decente carcere appena costruito.
Nonostante il nuovo carcere fosse pronto, le autorità ritardavano
deliberatamente lo spostamento dei prigionieri dalla prigione
attuale, con meno servizi e sovraffollata, caratteristica comune
delle carceri in India. Sovraffollate di detenuti e in condizioni
igieniche inimmaginabili, le prigioni in India sono note per le
diverse malattie provocate da contaminazione di cibo e acqua e dal
cattivo stato dei servizi igienico-sanitari, con latrine e bagni
sempre intasati. Per i prigionieri non c'è quasi nessuna struttura
ricreativa. Per ottenere un’assistenza medica tempestiva e adeguata
un prigioniero deve aspettare per giorni. Cattiva alimentazione,
condizioni di vita disumane e assolutamente anti-igieniche, torture e
umiliazioni in varie forme, sono la realtà che i prigionieri
affrontano giorno dopo giorno. Lunghi anni di prigionia hanno reso
molti di loro vittime di traumi psicologici, deperimento fisico,
crollo mentale e alienazione. Alcuni prigionieri sono morti in
carcere per cause non naturali, altri sono morti dopo il rilascio su
cauzione. Inoltre, i processi sono molto lunghi, frustranti e
costosissimi e spesso insopportabili.
Il caso di Swapan Dasgupta, direttore
di People’s March ed editore di Radical Publications, deve
preoccupare seriamente tutti quelli che lottano per i diritti dei
prigionieri. A Dasgupta viene diagnosticato in prigione un cancro.
Essendo prigioniero politico maoista, le autorità fanno in modo da
ritardare fino all’ultimo le cure. Anche dopo essere stato
trasferito in ospedale, in condizioni già critiche e solo dopo molte
proteste da parte delle associazioni per i diritti civili e
democratici del West Bengala, le prescrizioni del medico curante sono
ignorate e i farmaci nascosti sotto il letto dagli agenti di polizia
che lo piantonano in ospedale. Solo quando ormai era in fin di vita i
suoi compagni hanno potuto vederlo e capire che cosa gli avevano
fatto. Non è stato altro che un assassinio a sangue freddo sotto
custodia. Un altro caso da citare è la lotta tra la vita e la morte
di Shushil Roy, anziano dirigente maoista (76 anni) detenuto nella
prigione Giridih in Jharkhand e per 8 mesi curato con soli
antidolorifici dopo aver segnalato al medico del carcere del sangue
nelle urine e dolori lancinanti al basso addome. Quando alla fine è
stato straferito al Rajendra Prasad Institute of Medical Sciences di
Bokaro, anche lui, come Swapan Dasgupta, è stato lasciato per giorni
senza cure in stato semi-cosciente nel reparto prigionieri, mentre la
polizia guardava il suo letto riempirsi di feci e urine. Il catetere
applicato per favorire il flusso dell’urina si è intasato, dato
che nessuno lo puliva regolarmente, e così l’assenza di diuresi ha
totalmente distrutto un rene e parzialmente danneggiato l’altro.
Solo gli sforzi tenaci del CRPP e del fratello sono riusciti
salvargli la vita e a ottenere la libertà condizionata, dopo un
prolungato trattamento presso All India Institute of Medical Sciences
(AIIMS) dove il tumore della vescica è stato rimosso garantendogli
solo una sopravvivenza precaria, con un solo rene parzialmente
danneggiato. Se questi alti dirigenti del movimento maoista sono
trattati deliberatamente in modo da ottenere la vendetta della loro
morte in carcere, si può immaginare quale sia la condizione dei
poveri adivasi e dalit arrestati nelle aree di più dura lotta
popolare a difesa della loro vita e i mezzi di sussistenza
Il prigioniero naxalita/maoista o la
più grande minaccia alla sicurezza interna
Negli anni ’70 abbondano le storie di
tortura, sparizioni e morte in carcere di migliaia di prigionieri
naxaliti, soprattutto nello Stato del West Bengala, mentre si ha
notizia di casi simili anche UP, Bihar, Tamilnadu, Andhra Pradesh e
Kerala, ma in minor numero. I metodi segnalati negli anni ’70 e nei
primi anni '80 di annientamento deliberato del prigioniero naxalita,
con l’isolamento, la tortura – psicologica e fisica – e
tattiche per ottenerne la resa e in molti casi la morte a causa della
carcerazione prolungata, sono gli stessi applicato oggi sui 25000
adivasi che affollano le prigioni negli stati di Jharkhand,
Chhattisgarh, Odisha, Jangal Mahal, West Bengala. Oltre agli adivasi,
il profilo del prigioniero maoista comprende le altre caste oppresse,
settori di classe media istruita, ecc. Come accennato mostrano i caso
di Sushil Roy e Swapan Dasgupta, i dirigenti sono presi
particolarmente di mira con numerosi processi in diversi stati. I
processi contro anziani dirigenti come Prarnod Mishra, Amitabh
Bagchi, Narayan Sanyal, Tushar Bhattacharyya, Kobad Ghandy, Jhandu
Mukherjee, PP Singh – la maggior parte dei quali ultrasessantenni
con Narayan Sanyal che è il più anziano coi suoi 77 anni –
nonostante le direttive della Corte Suprema dell’India per
accelerare i processi a carico di cittadini anziani, non hanno fatto
alcun progresso. Narayan Sanyal stava per ottenere la libertà su
cauzione per i procedimenti in Jharkhand e il trasferimento in Andhra
Pradesh ma la polizia del Jharkhand glielo ha impedito imputandolo
per NSA, precludendogli qualsiasi possibilità di ottenere la libertà
su cauzione negli altri casi in AP per almeno per un altro anno. La
maggior parte delle accuse mosse contro i dirigenti si basano
esclusivamente su confessioni di terzi. Dato che la presunta
confessione fatta da un dato prigioniero indica i nomi di tutti i
componenti del Comitato Centrale, quando un membro del Comitato
Centrale viene arrestato, automaticamente è imputato in numerosi
procedimenti sparsi in diversi stati e ciò rende il suo rilascio
quasi impossibile.
Come già visto nel caso dei
prigionieri politici appartenenti alla comunità musulmana e alle
lotte di liberazione nazionale, la produzione di elementi di prova da
parte degli investigatori viola tutte le norme e le procedure e ciò
vale anche per i prigionieri di naxaliti/maoisti. Le case degli
arrestati vengono perquisite senza la presenza di testimoni
indipendenti, nessun verbale di sequestro è consegnata ai
famigliari, e, in alcuni casi, nei verbali sono inclusi determinati
testi senza effettuare alcuna ricerca. Poi si presentano falsi
verbali di sequestro che comprovino la responsabilità del
perquisito. Così , le opere di Marx ed Engels, Lenin, Stalin e Mao,
la biografia di Shaheed Bhagat Singh sono presenti in quasi tutte le
liste di sequestro, ma neanche quelle di Romaine Rolland o di
qualsiasi autore liberal indiano, come Manik Bandyopadhyay sono
risparmiati.
Una volta ottenuta la libertà su
cauzione o il proscioglimento per un procedimento, gli imputati sono
praticamente rapiti dalla polizia al momento del rilascio con i nuovi
mandati provenienti da altri distretti o stati. Il caso di Arun
Ferreira di Mumbai, prosciolto in tutti i l0 casi in cui era imputato
e che doveva essere rilasciato a Nagpur ne è il miglior esempio: è
stato rapito dalla polizia – il suo avvocato malmenato – e poi
tradotto in Gadchhiroli. Un altro esempio eclatante è quello di
Padma una prigioniera maoista che dopo aver ottenuto la cauzione non
è mai stata condotta al giudice e solo dopo che il suo avvocato ha
presentato l’habeas corpus, è stata portata in un altro carcere
per un nuovo procedimento aperto contro di lei sotto la giurisdizione
di un nuovo tribunale nello Stato di Chhattisgarh. A Padma più volte
sono state negate le cure per la grave forma di malaria di cui era
affetta e molte volte la prigioniera ha dovuto ricorrere allo
sciopero della fame per ottenere assistenza medica. Lo Stato del
Chhattisgarh è diventato famoso per non presentare per varie udienze
in tribunale molte delle donne prigioniere naxalite/maoiste. Le
ragione addotte sono spesso vaghe esigenza di sicurezza. Le donne
sono spesso oggetto di abusi sessuali e molestie durante i raid delle
guardie. Come nel caso delle donne delle regioni delle lotte di
liberazione nazionale, anche in Jangalmahal, West Bengala, Orissa,
Jharkhand, Chhattisgarh, Maharashtra, ecc. sono segnalati casi di
donne costrette a spogliarsi in strada durante i raid di polizia e
paramilitari col pretesto di accertarne il sesso. Sono molti i casi
di abusi e stupri su larga scala accertati da diverse inchieste
governative e non-governative condotte da commissioni ed equipe
mediche.
La prigione Bhagalpur in Bihar e quella
di Nagpur in Maharashtra sono dotate di celle speciali a forma di
uovo (celle anda) dove il prigioniero politico, in particolare il
prigioniero naxalita è tenuto in isolamento per giorni.
Prima che i prigionieri naxaliti
raggiungano il carcere in cui sarà detenuto, è prassi comune non
presentarli dinanzi al giudice entro le 24 ore previste dalla legge.
Sono tenuti illegalmente nelle stazioni di polizia e nei centri di
detenzione (leggi centri di tortura), a volte per giorni interi. La
maggior parte di loro in questi centri vengono brutalizzati e
torturati. La maggior parte dei prigionieri maoisti di livello di
distretto, regionale, zonale o di comitato centrale sono spesso
detenuti in reclusione illegale per parecchi giorni. Se è
dall’Andhra Pradesh che dirigono l’operazione, allora ci sono
buone probabilità che siano uccisi in falsi scontri. Le recenti
uccisioni di Kishenji, Azad, Sudhakhar Reddy, Appa Rao confermano
tutti questa tattica dello Stato indiano. Diverse notizie di stampa e
le testimonianze dei rilasciati su cauzione confermano chiaramente
che sono stati sottoposti a torture fisiche e mentali per ore e
giorni interi. Interrogatori continui anche per 18 ore al giorno, per
molti giorni, tenendo i prigionieri bendati, anche quando va in
bagno, scosse elettriche sulle parti intime del corpo, pestaggi con
bastoni, calci con stivali pesanti, pugni, schiacciamento salendo in
piedi su tutte le parti del corpo dei catturati, sputi in faccia,
rottura delle dita piegandole nel verso innaturale o con perni e
chiodi sotto le dita dei piedi.
Ci sono casi di interi villaggi in
Chandrapur e Gadchhiroli denunciati e incriminati invocando l’UAPA.
Grazie allo sforzo concertato degli avvocati l’intero villaggio è
sempre stato assolto. Ma questo non ha impedito alle autorità di
perseguitare ulteriore gli abitanti del villaggio implicandoli in
altri casi, uno spirito di vendetta motivato dal solo fatto che tutti
gli abitanti del villaggio che non si piegano sono ritenuti
irriducibili sostenitori dei maoisti.
In molti casi, se nei villaggi se il
figlio/figlia/fratello/sorella/padre sono nella lista dei ricercati
della polizia o paramilitari, qualcuno della famiglia è portato via
al posto della persona dichiarata latitante. Sono numerosi casi di
questo tipo quasi in tutte le aree del subcontinente, soprattutto
nelle regioni adivasi.
Come parte della criminalizzazione
della vita degli adivasi, lo Stato di Chhattisgarh ha dichiarato
illegale per gli adivasi portare le loro armi tradizionali. Già
criminalizzati da diverse leggi, la conseguenza diretta di ciò è
che un gran numero di questi adivasi sono stati imputati con accuse
gravi. Migliaia di abitanti dei villaggi sono abitualmente
rastrellati durante le operazioni di ricerca, impunemente incarcerati
dal personale di sicurezza senza riguardo per la procedura legale. La
maggior parte di loro, accusati di ‘attacchi naxaliti’ per lungo
tempo non sono presentati nei tribunali, con il pretesto
dell’indisponibilità di ‘guardie di polizia sufficienti’. Così
il processo resta fermo per interi anni. Per difficoltà economiche e
timore di ritorsioni, i familiari degli imputati spesso non possono a
visitarli in carcere, rendendoli così ancora più vulnerabili. Gli
adivasi ‘imputati naxaliti’ sono detenuti solo nelle prigioni
centrali. In Jharkhand, Chhattisgarh e Jungal Mahal in molti casi
sono tenuti in carceri di massima sicurezza tanto lontani che la loro
regolare traduzione in tribunale diventa impossibile. In queste
regioni i prigionieri hanno fatto ricorsi alle Alte corti,
inutilmente. La maggior parte degli adivasi sotto processo sono
affidati dal governo ad avvocati d’ufficio che il più delle volte
non passano neanche a incontrare il cliente né cercano di informarsi
sul caso. Spesso subiscono le pressioni e persecuzioni della polizia.
Raramente i tribunali hanno interpreti/traduttori ufficiali che
permettano agli adivasi comunicare nella loro lingua.
Anche nei casi in cui riescono ad
ottenere la libertà su cauzione, centinaia di migliaia di dalit e
adivasi non sono in grado di pagare la cauzione – di solito tra da
500 a 2000 rupie – e sono quindi condannati a rimanere in carcere
per altri sei mesi o un anno. Nel frattempo ci sono tutte le
possibilità che vengano implicati in un altro procedimento da
poliziotti ansiosi riempire il più possibile i registri di arresti
ex UAPA o reati simili per fare carriera!
Pena di morte come strumento di
punizione
Mentre scriviamo lo Stato indiano si
sta affrettando ad eseguire una serie di sentenze capitali pendenti
dinanzi al Presidente dell'India, per cui questi ha respinto le
richieste di clemenza. Il caso che ha sconvolto ogni democratico nel
subcontinente indiano è stata l'esecuzione segreta di Mohd Afzal
Guru. La Corte Suprema dell’India aveva prosciolto Afzal da tutte
le accuse di essere parte di un’organizzazione terroristica nel
processo per l’attacco al Parlamento del dicembre 2001. Il giudice
aveva ammesso il fatto che c’erano solo prove circostanziali contro
di lui. Ma poi la Corte Suprema ha confermato la condanna a morte di
Afzal Guru con l’aberrante motivazione di ‘soddisfare la
coscienza collettiva’. Lo Stato ha ulteriormente violato ogni
procedura, eseguendo in segreto l’ordine si esecuzione di Afzal
appena la richiesta di clemenza è stata respinta dal Presidente
dell'India, senza neppure informare la famiglia della decisione
finale. Questo sarebbe obbligatorio in ogni paese in cui si parli di
stato di diritto e necessità di rispettare le procedure. Al
contrario, si è potuto ascoltare il Ministro degli Interni riferire
gongolante ai media la decisione di effettuare in segreto
l'esecuzione, dato che nella sua saggezza il governo non voleva che
la famiglia di Afzal ricorresse ad altri rimedi previsti dalla legge,
compreso il regolamento carcerario! Successivamente, la Corte Suprema
dell'India, confermando nel mese di aprile altre sette condanne a
morte, aveva riconosciuto la necessità di seguire tutte le procedure
relative ai diritti dei familiari della persona nel braccio della
morte, in modo che tutti i possibili strumenti giuridici legali e
regolamentari possano essere esperiti. Subito dopo l’esecuzione in
‘segreto’ di Mohd Afzal Guru, la Corte Suprema ha respinto la
richiesta di Davinder Pal Singh Bhullar di commutare la condanna a
morte in ergastolo per l’eccessivo ritardo nell’esecuzione, che
in ogni caso deve essere considerato come la crudeltà aggiuntiva
contro chi è nel braccio della morte. Dopo tutti questi casi il
vacuo pretesto di confermare con la pena capitale in quanto
esercitata solo in casi “più rari tra i rari” è evaporato di
fronte alle statistiche che dimostrano che nei tribunali indiani sono
stati comminate condanne a morte al ritmo di 133 all’anno negli
ultimi dieci anni. Dunque, il caso più raro tra i rari ricorre nei
tribunali indiani una volta ogni tre giorni! La maggior parte delle
persone condannate a morte sono musulmani del Kashmir o musulmani in
genere, ma anche dalit e altri settori di oppressi che sono
fondamentalmente lavoratori agricoli senza terra.
Il ruolo dei media
Il ruolo ambiguo, sempre di mediazione,
svolto dai mezzi di comunicazione, assume importanza in questo
contesto. Nel subcontinente indiano del dopo 1947, come evidente nel
processo costruzione dello Stato alla fine della seconda guerra
mondiale, il mantenimento delle leggi repressive di eredità
coloniale e la loro continua applicazione in tutte le aree in cui non
c’era consenso alla formazione dello Stato indiano riflette il
costante senso di insicurezza delle classi dominanti indiane. Lo
stato di emergenza, o anche solo la percezione dell’emergenza, con
conseguente ricorso a leggi straordinarie (repressive) per gestire la
costruzione dello Stato come continuazione della logica imperialista
in altri termini, affronta anche il contesto quotidiano come
straordinario. Questo senso di emergenza per la ‘minaccia’
incombente che viene dal vicino stato pakistano, nonché dalle
aspirazioni alla liberazione nazionale del Nord Est e del Kashmir si
è ulteriormente ampliato con l’aggravarsi della crisi nel
subcontinente, fino a comprendere i milioni lavoratori adivasi e
dalit in fermento, nella forma del movimento maoista. In questo
senso, l’ideologia della ‘emergenza’ è stata formulata in
molti slogan populisti che oggi sono riciclati come ideologia della
politica dello ‘sviluppo’. Dunque, il mantenimento della
credibilità della logica della percezione/nozione dell’emergenza,
evidente nella lettera e nello spirito delle leggi straordinarie (di
sicurezza interna) e la legittimità della criminalizzazione di ogni
forma di dissenso sono elaborati attraverso l’offensiva ideologica
scatenata tramite i media.
È anche importante notare come,
attraverso tutti questi arresti, lo Stato media il consenso verso la
‘minaccia’ percepita alla sicurezza nazionale. È sui mezzi di
comunicazione che lo Stato articola i modi in cui sono percepiti gli
arresti degli oppositori politici. Qui la descrizione sui media di
questa ‘minaccia’/‘minaccia percepita’ alla sicurezza
nazionale fabbrica decisivamente la percezione della ‘minaccia’
nel pubblico. La definizione di ‘sicurezza nazionale’ racchiude
anche la composizione degli individui arrestati, avallandone così
sottilmente la premessa e demarcando allo stesso tempo nel pubblico i
confini della stessa definizione del concetto di sicurezza nazionale.
Spesso il senso comune equipara la gravità di un
problema/preoccupazione/intervento da parte dello Stato all’ammontare
di denaro speso per esso. Come è evidente, le spese per
sorveglianza, difesa e armamento da parte dello Stato sono saliti a
livelli astronomici nel bilancio dello Stato indiano. Senza dubbio è
cambiato anche l’impatto di queste normative di sicurezza interna
sulla percezione della giustizia nelle opinioni della classe media.
L’esposizione dei processi mediatici
contro gli arrestati prima ancora che inizi il processo in tribunale
e la relativa indifferenza dei mezzi di comunicazione verso i reali
processi in tribunale, spesso stereotipa un certo profilo
dell’arrestato che rafforza la narrazione delle ‘minacce
percepite’/’minacce’ spesso prevalente nei reportage dei media.
È questo rafforzamento della percezione, che si sedimenta come
memoria residua nella mente del pubblico, che spesso offusca
l’opinione che si forma nel decidere ciò che costituisce una
minaccia reale per il popolo il suo benessere. Il ruolo dei media
come parte del processo di costruzione del consenso è quello di
mistificare ulteriormente la realtà davanti al popolo. Qui si ha la
convergenza tra la legge repressiva, come l’UAPA, e il ruolo
mistificante svolto dai mezzi di comunicazione. La sacralità e
autenticità di entrambe consistono proprio nel fatto che la
percezione è realtà e non viceversa. Quanto più la realtà è
mistificata tanto più diventa percezione e, quindi, realtà stessa.
Con gli ingenti investimenti del capitale imperialista e compradore
nei media, la normalizzazione del processo di crescente impunità
degli apparati dello Stato e la cultura della paura dello sconosciuto
dato dalla mistificazione della percezione, ha come risultato la
crescita di cinismo, religiosità e servilismo, dilaganti tra vaste
fasce della popolazione, che spianano la strada a uno Stato
fuorilegge.
La marcia del subcontinente indiano
verso uno stato di sicurezza nazionale dotato delle peggiori leggi
repressive e di altri strumenti che calpestano il diritto alla
libertà di associazione, di espressione, di protesta/dissenso, viene
mediato attraverso il quarto potere con un’offensiva ideologica,
sofisticata nella forma ma regressiva nel contenuto, con modi di
mistificazione del presente che hanno radice nella visione attraverso
il prisma di un passato mistificato per far posto a un futuro
mistificato dove ogni valore e importanza è
misurato/capito/apprezzato secondo la presenza o meno in esso di una
certa quantità di capitale.
NCTC - NIA - UAPA - AFSPA - verso
uno stato di sicurezza nazionale nel subcontinente
Le pressioni disperate dei ‘falchi’
rappresentanti dello Stato indiano – incapaci di contenere l’ondata
di rabbia delle masse popolari, così come la crescente divisione
nelle proprie file, che chiamano eufemisticamente ‘paralisi
politica’ – che pongono come urgente un’agenzia centrale
repressiva che affronti le attività ‘terroriste’
anti-governative che hanno nelle diverse parti del subcontinente
indiano, hanno ottenuto che la commissione governativa centrale che
si occupa delle questioni relative alla sicurezza accennasse alla
formazione di una centrale nazionale anti-terrorismo (NCTC) già l’11
gennaio 2012. Il NCTC avrà tre dipartimenti distinti – il primo
per la raccolta di dati rilevanti, il secondo di analisi e il terzo
per l'adozione di misure repressive contro il popolo, quelli che
saranno marchiati come ‘terroristi’. Il NCTC proposto sarà sotto
il controllo della Central Intelligence Agency, anche se ci sono
ancora molte perplessità contro questa proposta. Con sede principale
presso l’IB (Intelligence Bureau ) a Nuova Delhi, il NCTC sarà
guidato da un direttore aggiunto dell’IB. Ciò significa che il
dipartimento centrale dell’intelligence ne avrà il controllo.
Poiché tra i partiti della classe dominante non c’è consenso
sulla concentrazione di potere nella NCTC, che si ripercuoterebbe
pesantemente sul nominale federalismo dell'unione indiana,
l’istituzione del NCTC si è arrestata, anche se, dopo le recenti
esplosioni Hyderabad, ci sono tentativi di farla rientrare dalla
finestra o, come si dice, in una forma ‘diluita’.
Già prima che si parlasse di NCTC,
popolo del subcontinente ne ha conosciuto il precursore in un altro
organismo repressivo, con il National Investigation Agency (NIA) Act
del novembre 2008. Il NIA è stato creato per affrontare ‘attacchi
terroristici... nelle aree interessate da attività armate e
insurrezionali e in aree interessate da estremismo di sinistra’,
‘attacchi terroristici e attentati dinamitardi’, per gran parte
dei quali si è ‘dimostrato che abbiano complessi collegamenti tra
gli Stati e internazionali’, come sostiene il suo stesso sito web.
Impunità legalizzata – legge
criminalizzata
Il NIA ha come suo bersagli i
‘terroristi’ (un termine sovraccaricato, che per le classi
dominanti è tanto elastico da comprendere nella sua definizione
qualsiasi forma di dissenso, più liberamente utilizzato contro la
comunità musulmana), milizie e insorti (soprattutto i popoli che
lottano per il diritto all’autodeterminazione, come i kashmiri,
manipuri, naga, assamese e altri) e gli ‘estremisti di sinistra’
(cioè i maoisti). Queste sono le forze che il governo centrale
tratta come minacce dell’ordine esistente. UAPA, NIA, NCTC sono
tutte parti integranti della stessa lunga catena che calpesta
apertamente i diritti del popolo e la sua lotta per la giustizia.
Ciò che il NIA fa, in sostanza, è
legalizzare tutti gli atti di impunità finora perpetrati da polizia
e paramilitari sotto l’egida della lotta al terrorismo. Per
esempio, il recente sequestro effettuato dalla Sezione Speciale dell’
AP a Chandigarh in Punjab di leader studenteschi che dopo 6 giorni di
detenzione illegale sono stati presentati nello stato meridionale di
Andhra Pradesh. Si è saputo che ancor prima che il NIA fosse
ufficialmente operativo aveva già la sua sede funzionante con uffici
separati presso il Noida, alla periferia di Delhi. E mentre il
dibattito sul NCTC non ha ancora deciso come la sua formazione
influirà effettivamente sul funzionamento del NIA, tutte le ex
sezioni di intelligence nelle diverse arre ‘disturbate’sono state
fatte rientrare sotto l’ombrello di questa, con la polizia dell’AP
(famigerata per gli atti di terrore contro movimenti popolari e la
loro direzione) a dirigere le azioni illegali. È sempre più
evidente che NCTC e NIA si apprestano legalizzare tutte le operazioni
di tipo mafioso delle polizie e paramilitari dei singoli stati, come
è stato per le bande di vigilantes. Inoltre, quando era Ministro
degli Interni, P. Chidambaram ha preso l’iniziativa di introdurre
Border Security Forces (BSF) Bill (emendato) per estendere la libertà
di operazione in tutte le aree di confine in tutte le parti del
subcontinente indiano.
Leggi draconiane
Alla fine della seconda guerra mondiale
e con il trasferimento di potere sul subcontinente indiano alle
classi dominanti parassitarie nazionali, la legittimità/realtà del
dominio sul popolo è stata mantenuta, anche se con slogan populisti,
ricorrendo all’adozione di una legge draconiana dopo l'altra per
negare molti dei diritti fondamentali del popolo che la Costituzione
indiana proclama di tutelare. Non è un caso che dei 395 articoli
della Costituzione indiana adottata nel 1949, quasi 250 articoli sono
stati presi più o meno pari pari dal coloniale Government of India
Act del 1935. È importante dare un rapido sguardo a queste leggi per
comprendere la natura della ‘democrazia’ indiana. Tutte le norme
su stampa e sicurezza dell’epoca coloniale rimangono invariate
all’interno della nuova Costituzione. Il vecchio apparato
repressivo dello stato coloniale, il Codice Penale Indiano, il codice
di procedura penale, la Legge di Polizia del 1861, le Norme di Difesa
dell’India, le norme sulla detenzione preventiva, sono stati
mantenuti. Il famigerato Land Acquisition Act del 1894, che autorizza
i governi centrali e statali dell'India, apparentemente indipendente,
ad acquisire terreni invocando ‘l’esproprio con finalità
pubblica’ ecc., e molti altre leggi del genere sono state
perfezionate dalle classi dominanti nel corso degli anni per
continuare gli attacchi alla libertà del popolo, necessari per
mantenere la loro legittimazione e autorità
L’ordinanza sui poteri speciali per
le Forze Armate imposta dal governo coloniale britannico il 15 agosto
1942, è stata recepita e resa ancora più aggressiva nel 1958,
quando il governo indiano ha emanato l’ Armed Forces (Special
Powers) Act (AFSPA). Esso si applicava “ a tutti gli Stati di
Assam, Manipur, Meghalaya, Nagaland e Tripura e ai Territori
dell'Unione di Arunachal Pradesh e Mizoram” quello che oggi è
chiamato il Nord-Est. Successivamente fu esteso al Kashmir. L'AFSPA
attribuisce alle forze armate il potere di uccidere impunemente
chiunque per il solo sospetto che la persona stia per commettere
qualche reato. La Sezione 4 clausola c dell'atto, come emendato nel
1972, recita: “arresto senza mandato, contro ogni persona che abbia
commesso un riconoscibile reato o contro cui esiste un ragionevole
sospetto che abbia commesso o stia per commettere un riconoscibile
reato, si può utilizzare la forza come può essere necessario
effettuare l'arresto”. Ciò significa che chiunque può essere
arrestato non per aver commesso un qualche ‘reato’, ma per un
‘reato’ che, a parere dell'autorità che fa rispettare legge, la
persona potrebbe commettere in futuro se non gli è impedito di
farlo. Dunque, per questa ‘legge fuorilegge’ una persona può
essere arrestata e messa dietro le sbarre a tempo indeterminato senza
aver commesso alcun ‘reato’. Queste leggi fuorilegge, non occorre
precisarlo, sono state approvate per frenare la crescente resistenza
del popolo. La legge sulla detenzione preventiva del 1950 è stata
copiata pari pari dal Maintenance of Internal Security Act (MISA) del
1971, per il quale decine di migliaia di persone furono imprigionate
tra il 1970 e il 1973 nel solo Bengala occidentale, per la stragrande
maggioranza naxaliti. Prima e durante lo stato di emergenza
(1975-1977) migliaia di persone – soprattutto naxaliti – furono
uccise o fatte scomparire. Alla fine dello stato di Emergenza, MISA
era diventata la parola più odiata. E il MISA è stato ipso facto
copiato nella legge sulla sicurezza nazionale (NSA) del 1980.
In realtà, non c'è soluzione di
continuità tra queste leggi repressive, che hanno avuto applicazione
sia a livello regionale che sub-continentali. Sono stati
successivamente approvati il West Bengal Prevention of Violent
Activities Act, il Punjab Disturbed Areas Ordinance, il National
Security Act (1980), il TADA (1985), il POTA, il Public Security Act
in Kashmir e molte altre leggi e ordinanze.
UAPA – lo straordinario diventa
ordinario; la percezione diventa realtà
Ogni ‘legge fuorilegge’ che si
succede è un ulteriore attacco, rispetto alla precedente, alle
libertà del popolo. Molte leggi riflettono l’agitazione crescente
di nazionalità oppresse, adivasi, dalit, minoranze, contadini,
operai, studenti ecc. L’ultima arrivata di questa lunga lista di
leggi repressive è l’Unlawful Activities Prevention (Amended) Act
del 2008, che si applica alle accuse di sedizione e non lascia quasi
nessuna speranza di un equo processo in tribunale. Le posizioni
contraddittorie prese dallo Stato sulla sua risposta al crescente
malcontento popolare contro le leggi repressive in particolare, sono
diventate evidenti quando, nel settembre 2004, il Presidente
dell'India ha indirizzato al Parlamento indiano due ordinanze; una
che abrogava il Prevention of `Terrorism Act (POTA) e l’altra che
portava le stesse disposizioni della vecchia legge abrogata sotto un
nuovo titolo, l’Unlawful Activities Prevention Act (UAPA). Il
paradosso era che la nuova legge era più draconiana della
precedente! Come già detto a proposito dell’Armed Forces Special
Powers Act (AFSPA) anche per l’UAPA solo sospetto che assume una
persona capace di commettere quello che viene definito come un atto
di ‘terrorismo’ è sufficiente a metterla dietro le sbarre. Per
qualsiasi legge che si presume debba combattere il terrorismo, il
principio discriminante dovrebbe essere che le misure antiterroriste
non dovrebbero facilitare, neanche in forma potenziale, implicita o
deliberata, il terrorismo di Stato. È definita ‘attività
terroristica’ (sezione 15) “qualsiasi azione con l’intento o
minaccia o probabilità di minacciare” la “unità, integrità,
sicurezza o sovranità dell’India o che possa incutere terrore nel
popolo dell’India, di qualsiasi sua parte o in qualsiasi paese
straniero...”. si lascia così all’immaginazione autorità di
definire questo intento, e questa centralità all’elemento
dell’intenzione rende l’UAPA (modificato) (2008 ), una delle
peggiori leggi draconiane.
Secondo l’UAPA, chiunque può essere
detenuto in custodia dalla polizia o in prigione per 180 giorni senza
processo, in deroga al termine delle leggi ordinarie che è di 90
giorni, trascorsi i quali al prigioniero sarà concesso la libertà
su cauzione. Durante questo periodo, il detenuto può essere portato
alla stazione di polizia per essere interrogato tutte le volte che i
funzionari di polizia lo ritengono necessari. È molto difficile
ottenere il rilascio su cauzione ai sensi di questa legge.
Ci sono nell’UAPA molte clausole
ancora più rigorose, che la rendono la peggior legge draconiana di
sempre. Le affronteremo più avanti.
L’UAPA, come tutte le leggi emanate
per contrastare il dissenso politico, è stato adottata nel 1967 per
frenare la lotta di liberazione nazionale dei Naga. Applicata
uniformemente in tutti gli altri stati, fu estesa dal governo
centrale a Jammu e Kashmir il 1 ° settembre 1969 attraverso il
provvedimento di emendamento costituzionale (applicazione di Jammu e
Kashmir ) del 1969. La legge del 1967definiva le attività e le
organizzazioni illegali, in particolare la procedura di messa al
bando, in quanto illegittime, di quest’ultime.
La legge ordinaria di India è più
rigida delle leggi anti-terrorismo di Regno Unito e Stati Uniti.
Perfino nei draconiani TADA e POTA c’erano almeno disposizioni di
riesame che garantivano che lo ‘straordinario’ in quelle leggi
non si tramutasse in ordinario nella loro attuazione. Il principio
fondante è che tutti sono sospettosi o sospetti, senza alcuna
sottile distinzione tra i due. Ciò che si crea è uno stato
sospettoso che dà potere a funzionari e cittadini sospettosi di
agire sospettosamente contro ogni presunto sospetto.
Significativamente, più che mai in
passato, la ‘minaccia’ percepita assume rilievo principale per
definire la punibilità di un atto di un
individuo/gruppo/organizzazione più che la fattispecie della stessa
legge. Ai sensi della presente legge, la realtà percepita diventata
sacrosanta rispetto alla stessa realtà.
Dunque, se da un lato c’è grande
opposizione alla AFSPA che viene dai settori più sensibili, resta il
fatto che con l’introduzione di NCTC, NIA e il pieno dispiegamento
sulle masse popolari dell’UAPA, il subcontinente Indiano è
sottoposto a uno stato di emergenza non dichiarato per giorni, mesi,
anni. Il governo sostiene che queste leggi eccezionali sono prodotto
e risposta a situazioni ‘straordinarie’. Ma con l’UAPA 2008 lo
‘straordinario’ è stato reso ‘ordinario’. Il temporaneo è
diventato permanente, senza alcuna procedura di riesame.
Il NCTC, in realtà, è prodotto della
collaborazione indo-americana. Nel popolo c’è sempre più
consapevolezza del fatto che le questioni relative alla ‘sicurezza
interna’ dell’India sono definite sotto i dettami degli
imperialisti americani. Il NTPC è fascista, antipopolare e
draconiano per natura, è inteso a reprimere le giuste lotte del
popolo, a stroncarle sul nascere, ad affogare nel sangue i movimenti
popolari per applicare le politiche centrali di saccheggio delle
risorse e ricchezze naturali del popolo, causando, inutile dirlo,
devastazione. Per lungo tempo dopo il 1947, è stato permesso a nuove
Compagnie delle Indie Orientali di avere le loro basi nel
subcontinente da parte dei governi, centrale e di stato, quale che
fosse il loro colore, e queste stanno facendo scempio della terra,
dell’ambiente, degli adivasi, dalit, lavoratori, poveri, piccolo
borghesi e ampi settori della popolazione. La rivendicazione del
rispetto dei diritti civili e democratici o dei diritti umani non è
più questione di mero garantismo giuridicio, è diventata questione
di vita o di morte per il popolo.
Nel 2005 è stato firmato un nuovo
accordo quadro per le relazioni USA-India per la difesa, seguito
dalla firma dell’accordo nucleare 123. Di fatto, il NCTC è stato
istituito sotto i dettami e la guida degli imperialisti americani per
dare agli USA la legittimità di condurre le sue azioni terroristiche
nel subcontinente indiano. L’obiettivo della “politica anti-
terrorismo” degli USA è creare una struttura in grado di
raccogliere informazioni, svolgere operazioni sotto copertura, usare
attori non statali, utilizzare droni, per affrontare le forze
anti-americane, come abituati impunemente a fare nella loro lotta ai
popoli di tutto il mondo, e in tutte queste operazioni, le agenzie di
intelligence e le forze di sicurezza indiane agiranno a braccetto con
le agenzie di sicurezza USA.
La situazione attuale ci riporta la
realtà che la guerra non dichiarata condotta dal governo centrale
indiano contro il popolo del subcontinente in molte parti dell’India
sotto il nome di ‘Operazione Green Hunt’ è pienamente sostenuta
e guidata dietro le quinte dalle agenzie americane. L’estensione e
profondità di questo coinvolgimento sono evidenti se si studiamo i
documenti della difesa e dei servizi segreti UDSA sugli
interventi/operazioni antisovversivi fuori dei propri confini. In
questi documenti si possono leggere i piani operativi della
Operazione Green Hunt. Esercitazioni militari congiunte con le truppe
americane nelle giungle di Mizoram, forniture di armi sofisticate e
di UAV da Israele e loro uso nelle aree di lotte popolari, tutto ciò
punta nella stessa direzione.
Per concludere, la stima approssimativa
degli adivasi incarcerati per aver osato resistere contro le
politiche cane-mangia-cane dello Stato indiano ha raggiunto una cifra
non inferiore a 25000. Un numero enorme di dalit (alcune stime lo
approssimano a 200.000) sono perseguiti dalla legge a vario titolo,
dai piccoli furti alle imputazioni per motivi politici, in quanto
gran parte dei dalit sono braccianti agricoli senza terra o
sottoproletari. La forza lavoro dei dalit fornisce una fonte a buon
mercato di massimizzazione dei profitti per i settori dei proprietari
terrieri feudali e questa relazione di sfruttamento viene imposta
attraverso l’ulteriore criminalizzazione della comunità dalit.
Ampi settori della comunità musulmana, a migliaia, sono incarcerati
nel corso della cosiddetta guerra al terrorismo per attentati
dinamitardi e altri episodi o per essere parte di ‘reti
terroristiche’ ‘organizzazioni terroristiche’. La maggior parte
della classe artigianale, di cui una sezione importante viene dalla
comunità musulmana, è alla fame per mancanza di opportunità e
anche il loro crescente malcontento viene criminalizzato dallo Stato
brahminico indiano sotto l’ideologia della guerra al terrorismo.
Anche i settori più giovani ed istruiti all'interno della comunità
musulmana sono facili bersagli della politica di ‘guerra al
terrorismo’. Migliaia di musulmani kashmiri sono messi dietro le
sbarre in risposta alla persistente rivendicazione del popolo di
Jammu e Kashmir del diritto all’auto-determinazione. Per chiunque è
‘normale’ sospettare di un musulmano kashmir come minaccia alla
‘integrità’ dell’India. Lo spettro della crisi economica
mondiale sta provocando linee di faglia in Asia meridionale con
l’aumento della disuguaglianza tra campagne e città, agricoltura
tradizionale e industria, grande industria ad alta intensità di
capitale e piccole e medie industrie, tra aree di grande
concentrazione di capitale e aree in cui è quasi o totalmente
assente, tra ricchi e poveri, casta superiore e caste oppresse, tra
le nazionalità oppresse e la grande borghesia compradora indiana,
tra il popolo e il feudalesimo e l’imperialismo. Il profilo del
prigioniero politico come bersaglio dello Stato dello sfruttamento
per le sue azioni e convinzioni, non per interesse personale ma,
direttamente o indirettamente, per il bene comune, è diventato più
sfumato e complesso strettamente intrecciato con la lotta per i
diritti civili e democratici, e anche con la lotta per farla finita
con la base di tutte queste disuguaglianze e sfruttamento. La
necessità del momento è realizzare a livello mondiale il
consolidamento di tutte le lotte dei popoli, perché lottino uniti
per la liberazione incondizionata di tutti i prigionieri politici,
quali che siano le loro convinzioni politiche e ideologiche.
testo di provenienza PCI m tradotto dal comitato internazionale di sostegno in Italia
csgpindia@gmail.com
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