PD, il governo Letta, Napolitano tagliano sul lavoro e le spese sociali fondamentali, ma aumentano le spese militari. Ieri Napolitano ha fatto il piazzista degli F35 che costano un centinaio di milioni di euro l'uno, mentre il Ministro della Difesa si fa direttamente sponsor della Lockheed Martin, l'azienda produttrice degli F35 , mentre rilancia la definitiva liberazione dei due marò fascisti assassini.
QUESTO GOVERNO, QUESTO STATO "TOGLIE IL PANE DALLA BOCCA" AI LAVORATORI, AI GIOVANI, PER FARE LE GUERRE CONTRO I POPOLI.
QUESTO STATO, QUESTI GOVERNI DEVONO ESSERE SPAZZATI VIA!
(Un utile articolo di Manlio Dinucci) - "Non c'è crisi per le missioni"
Mentre le vie di Roma sono percorse da
cortei che chiedono investimenti pubblici per il lavoro, la casa, i
servizi sociali, nelle stanze di palazzo Montecitorio si sta varando il
decreto-legge che stanzia altro denaro pubblico per le missioni militari
internazionali. Denaro che va ad aggiungersi a quello per le forze
armate e gli armamenti, ponendo l’Italia (documenta il Sipri) al decimo
posto mondiale con una spesa militare reale di 26 miliardi di euro nel
2012, equivalente a 70 milioni al giorno. Su cosa si stia decidendo a
palazzo Montecitorio c’è assoluto silenzio mediatico. Peccato.
Altrimenti i cittadini italiani in
crescenti difficoltà economiche avrebbero perlomeno la soddisfazione di
sapere che, solo per il trimestre ottobre-dicembre 2013, vengono
stanziati 125 milioni di euro per la missione militare in Afghanistan,
oltre 40 per quella in Libano, 24 per quelle nei Balcani, 15 per il
«contrasto alla pirateria» nell’Oceano Indiano (più la spesa, ancora
segreta, per la nuova base militare italiana a Gibuti). Si spendono in
soli tre mesi 5 milioni per partecipare alla missione Nato nel
Mediterraneo (cui si aggiunge la spesa, ancora da quantificare, per
quella Mare Nostrum), altri 5 per mantenere personale militare italiano a
Tampa in Florida (sede del Comando centrale Usa), in Bahrain, Qatar ed
Emirati arabi uniti. Oltre 5 milioni in tre mesi vengono stanziati per i
militari e gli agenti di polizia che in Libia aiutano a «fronteggiare
l’immigrazione clandestina» e a mantenere e usare «le unità navali
cedute dal governo italiano a quello libico».
Altro denaro pubblico viene sborsato per
inviare militari in Sudan, Sud Sudan, Mali, Niger, Congo e altri paesi,
pagando alte indennità di missione incrementate del 30% se il personale
non usufruisce di cibo e alloggio gratuiti. Alle spese per le missioni
militari si aggiungono quelle per il «sostegno ai processi di
ricostruzione» e il «consolidamento dei processi di pace e
stabilizzazione»: 23,6 milioni di euro in tre mesi, ai quali il ministro
degli esteri può aggiungere con proprio decreto altre risorse. Già la
Bonino ha annunciato che a dicembre saranno disponibili altri 10 milioni
per gli «aiuti umanitari». Come lo «sminamento umanitario» in paesi che
prima la Nato (Italia compresa) ha attaccato anche con bombe a grappolo
che lasciano sul terreno ordigni inesplosi, o in paesi al cui interno
la Nato ha fomentato la guerra. Come gli interventi di «stabilizzazione
dei paesi in situazione di conflitto o post-conflitto», tipo la Libia
che, demolita dalla Nato con la guerra, si trova in una caotica
situazione di post-conflitto. Tra gli «aiuti umanitari» figurano anche
gli interventi «a tutela degli interessi italiani nei paesi di conflitto
e post-conflitto», tipo quelli dell’Eni in Libia. Per coprire tali
spese si attinge anche ai «fondi di riserva e speciali» del ministero
dell’Economia e delle finanze, che così mancheranno quando si dovranno
affrontare situazioni di emergenza sociale in Italia. Il ministro
dell’economia è inoltre «autorizzato ad apportare le occorrenti
variazioni di bilancio», cioè ad accrescere i fondi per le missioni
militari.
I primi a sostenere il decreto-legge
sono i deputati Pd, seguiti da quelli Pdl. L’opposizione (Sel e M5S) si
limita in genere a emendamenti che non intaccano la sostanza e a
criticare «il fatto che il contributo italiano alla sicurezza
internazionale sia di natura esclusivamente militare». Ignorando che,
con il suo «contributo militare», l’Italia non rafforza ma mina la
sicurezza internazionale, e che quello «civile» è spesso il grimaldello
dell’intervento militare.
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