Finmeccanica vende 8
elicotteri da attacco alle Filippine in guerra. Ma la legge lo vieta
Agusta Westland ha annunciato la fornitura per un
valore stimato in 58 milioni di euro. Ma nel Paese è in corso un conflitto
civile che impedirebbe la vendita in base alla legge 185 del 1990
In spregio
alla legge 185 del 1990 che vieta la vendita di armi italiane a paesi in
conflitto, Agusta Westland, azienda aeronautica del gruppo Finmeccanica,
ha annunciato la fornitura di otto elicotteri da attacco Aw109 Power
completi di sistemi d’arma (lanciarazzi e mitragliatrici pesanti) alle
forze aeree delle Filippine. Le stesse che ancora poche settimine fa
hanno usato proprio gli elicotteri per bombardare la città di Zamboanga nel
corso dell’ennesima battaglia con i ribelli indipendentisti musulmani
del Fronte moro di liberazione nazionale (Mnlf), terminata con un
bilancio di 61 morti, 150 feriti e 60 mila profughi. Ultimo atto di una
sanguinosa guerra civile che prosegue a fasi alterne dal 1971 e che ha
provocato almeno 150 morti, ma che soprattutto ha garantito – insieme all’altro
pluridecennale conflitto interno con i guerriglieri comunisti del Nuovo
esercito popolare (Npa) – un potere ed economico enorme alle forze armate
armate di Manila che di fatto controllano la politica del Paese opponendosi a
ogni pacificazione duratura. Oltre a essere regolarmente accusate di crimini
di guerra e torture da parte delle organizzazioni internazionali per i
diritti umani.
Insomma:
proprio l’identikit del Paese al quale, secondo la legge italiana, non andrebbe
venduto nemmeno una pallottola prodotta nel nostro Paese. Ciononostante le
Filippine sembrano destinate a diventare uno dei principali clienti
dell’export militare italiano, soprattutto dopo che nel giugno 2012 l’allora
ministro della Difesa Giampaolo Di Paola si era recato in visita
ufficiale a Manila per incontrare il presidente Benigno Aquino III e le
massima autorità militari locali. In ballo c’erano, e ci sono ancora, non solo
questa fornitura degli elicotteri Aw109 Power (i primi tre sono stati
venduti, disarmati, alla Marina filippina lo scorso gennaio) ma anche quella di
un paio di navi da guerra (vecchie fregate Maestrale della nostra Marina
rimodernate da Fincantieri) e la svendita di una decina di nuovi caccia
Eurofighter (di cui la nostra Aeronautica militare vuole sbarazzarsi per
far posto agli F-35); più altre forniture aeronautiche di Alenia
Aermacchi e Piaggio Aero.
Il nuovo
contratto annunciato da Agusta Westland, di cui non è stato reso noto
l’ammontare ma che secondo fonti di Manila si aggira sui 58 milioni di euro,
prevede anche l’addestramento dei piloti militari filippini
all’accademia aziendale di Sesto Calende, in provincia di Varese. Giustamente,
se vendiamo strumenti di guerra dobbiamo anche insegnare ai nostri clienti come
usarli efficacemente nella prossima battaglia. Commentando questo nuovo affare,
l’amministratore delegato di Agusta Westland, Daniele Romiti, ha
espresso “gran piacere per la firma di questo contratto con le forze
aeree filippine”, cui ha garantito l’impegno dell’azienda “a fornire le
migliori capacità di missione e i servizi di alta qualità che questo cliente
merita”.
Tolti 300
mila euro all’associazione dei partigiani
I soldi
destinati all’Anpi serviranno a finanziare le missioni militari dell’Italia
all’estero. E chissà se i partigiani saranno d’accordo. A deciderlo è stata
ieri la commissione Bilancio della Camera durante l’esame del decreto sulle
missioni in cui sono impegnati i soldati italiani fuori dai confini. A conti
fatti i membri della commissione si sono accorti che mancavano circa 300 mila
euro per garantire la copertura del decreto ma soprattutto l’operatività dei
militari fino al 31 dicembre, data di scadenza del provvedimento. Nessun
problema. Nello testo, infatti, sono inseriti anche i finanziamenti destinati a
17 associazioni combattentistiche, tra le quali l’Anpi per la quale era stato
previsto 1 milione di euro. Anziché tagliare i costi riducendo l’impegno
militare, la maggioranza delle larghe intese ha pensato bene di attingere a
piene mani proprio lì, tra i fondi destinati all’associazione dei partigiani
per trovare i soldi necessari a coprire il buco. Detto fatto. Giusto il tempo
di di rifare i conti e il contributo destinato all’Anpi è stato ridotto a 634
mila euro, mentre 366 mila euro sono passati dalle casse (virtuali)
dell’associazione partigiani a quelle delle missioni, con il consenso di tutti
i partiti – Pd in testa – e con l’unico voto contrario del M5S.
Il provvedimento prevede un finanziamento complessivo di 730 milioni fino alla fine dell’anno, dei quali 260 solo per la missione in Afghanistan. Nonostante le promesse fatte dal ministro degli Esteri Emma Bonino, che aveva garantito un maggior impegno finanziario italiano per i profughi della Siria, alla cooperazione internazionale restano solo le briciole: appena il 2% del totale, pari a soli 23 milioni di euro.
Una volta messi in ordine i conti, il decreto è dunque arrivato in aula, dove però adesso rischia di rimanere impantanato a lungo. Sel e M5S hanno infatti annunciato di volersi opporre al testo con l’ostruzionismo, cominciato già ieri sera durante la discussione. Il movimento di Grillo ha presentato 12 emendamenti che chiede al governo di fare propri. Tra le richieste più importanti c’è il ritiro di almeno il 10% del personale militare attualmente impegnato in Afghanistan (250 soldati su un totale di 2.900). «Non si tratta di una richiesta assurda», spiega il deputato 5 Stelle Manlio Di Stefano. «Nell’emendamento si chiede di concordare con la Nato una riduzione degli incarichi operativi degli italiani in Afghanistan in modo da permettere il parziale ritiro. Messa in questi termini la proposta è stata giudicata fattibile anche dal relatore, il generale Rossi. Senza contare che , oltre a dare un forte segnale politico, si risparmierebbero anche molti soldi in un momento di crisi». Il M5S chiede anche l’approvazione di un ordine del giorno che metta fine all’impiego di soldati italiani in missioni antipirateria a bordo delle navi mercantili.
Più radicale la scelta di Sel, che al governo chiede invece di spacchettare il decreto in modo da poter votare contro la sola missione in Afghanistan, decretandone così la fine nel caso il voto passasse, e a parte tutto il resto.«Non accettiamo mediazioni come quella proposta dal M5S di ritirare solo il 10% dei soldati – spiega Giulio Marcon -. Quella missione è sbagliata e va ritirata completamente».
Il provvedimento prevede un finanziamento complessivo di 730 milioni fino alla fine dell’anno, dei quali 260 solo per la missione in Afghanistan. Nonostante le promesse fatte dal ministro degli Esteri Emma Bonino, che aveva garantito un maggior impegno finanziario italiano per i profughi della Siria, alla cooperazione internazionale restano solo le briciole: appena il 2% del totale, pari a soli 23 milioni di euro.
Una volta messi in ordine i conti, il decreto è dunque arrivato in aula, dove però adesso rischia di rimanere impantanato a lungo. Sel e M5S hanno infatti annunciato di volersi opporre al testo con l’ostruzionismo, cominciato già ieri sera durante la discussione. Il movimento di Grillo ha presentato 12 emendamenti che chiede al governo di fare propri. Tra le richieste più importanti c’è il ritiro di almeno il 10% del personale militare attualmente impegnato in Afghanistan (250 soldati su un totale di 2.900). «Non si tratta di una richiesta assurda», spiega il deputato 5 Stelle Manlio Di Stefano. «Nell’emendamento si chiede di concordare con la Nato una riduzione degli incarichi operativi degli italiani in Afghanistan in modo da permettere il parziale ritiro. Messa in questi termini la proposta è stata giudicata fattibile anche dal relatore, il generale Rossi. Senza contare che , oltre a dare un forte segnale politico, si risparmierebbero anche molti soldi in un momento di crisi». Il M5S chiede anche l’approvazione di un ordine del giorno che metta fine all’impiego di soldati italiani in missioni antipirateria a bordo delle navi mercantili.
Più radicale la scelta di Sel, che al governo chiede invece di spacchettare il decreto in modo da poter votare contro la sola missione in Afghanistan, decretandone così la fine nel caso il voto passasse, e a parte tutto il resto.«Non accettiamo mediazioni come quella proposta dal M5S di ritirare solo il 10% dei soldati – spiega Giulio Marcon -. Quella missione è sbagliata e va ritirata completamente».
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