giovedì 7 novembre 2013

pc 7 novembre - "Ma quale trattativa tra Stato e mafia? ... è sempre stato risaputo che c'era una convivenza tra politici e Cosa nostra...".

Mafia, il pentito: "Così freddai Salvo Lima. Nel mirino anche Andreotti e figlio"
ultimo aggiornamento: 07 novembre, ore 13:18
Palermo - (Adnkronos) - In Aula al processo sulla trattativa il pentito Francesco Onorato: "Prima i politici ci hanno fatto ammazzare Dalla Chiesa, poi sono spariti". Poi rivela: "Ho avuto direttamente a che fare con Dell'Utri, non per sentito dire". Non ancora arrivata a Palermo la lettera di Napolitanosulla sua testimonianza


Palermo, 7 nov.- (Adnkronos) - "Ma quale trattativa tra Stato e mafia? Sono stato vent'anni in Cosa nostra ed è sempre stato risaputo che c'era una convivenza tra politici e Cosa nostra...". Così il pentito di mafia Francesco Onorato che ha deposto oggi in videoconferenza al processo per la trattativa tra Stato e mafia a Palermo. Il collaboratore poi ha ribadito: "A volte potrei dire tante cose sui poltici, ma non le dico perché temo le conseguenze".
Onorato racconta come si svolse l'agguato la mattina del 12 marzo 1992 in cui fu ucciso l'eurodeputato Dc Salvo Lima. "Ho organizzato tutta la fase esecutiva, aspettavamo il segnale del telefono per avvicinarci al momento dell'uscita di casa di Salvo Lima. La motocicletta era rubata. Noi eravamo armati. Indossavamo giubbotti antiproiettili. Appena lo abbiamo visto ci siamo avvicinati alla sua auto, Lima era con altri due. D'Angelo che era con me era emozionato, li ha sorpassati troppo. Così mi sono girato e gli ho sparato dei colpi di pistola per bloccarli. Sono sceso dalla moto, ho inseguito Lima e gli ho sparato". Francesco Onorato, che all'epoca aveva 29 anni, raconta i retroscena: "Riina ci disse di ammazzarli a tutti, anche se non era solo, allora ho cambiato pistola, mi era rimasto solo un colpo in canna. Così ho preso un'altra pistola per uccidere anche gli altri due politici (Nando Liggio er Alfredo Li Vecchi, rimasti illesi ndr), ma non me la sono sentita. Mi sono sentito di 'graziarli'. Li ho evitati. Poi Riina e Biondino mi hanno rimproverato per questo. Tutto è finito lì. Tanto non erano i bersagli, importante era uccidere Lima".
Alla domanda del pm Antonino Di Matteo se "ci sono altri delitti sollecitati a Riina da esponenti politici o istituzioni", Onorato ha risposto: "Per quello che so Mattarella è stato pressato da altri politici".
Cosa nostra voleva uccidere anche Giulio Andreotti e uno dei figli. "Salvatore Biondino - racconta in Onorato- mi disse che per quanto riguardava il progetto di uccidere Giulio Andreotti e il figlio, se ne stavano interessando i fratelli Graviano a Roma. C'era peraltro qualche problema, perché gli venne rinforzata la scorta proprio in quel periodo. Ma l'omicidio si sarebbe dovuto fare in ogni caso".
Onorato ha poi ribadito che Cosa nostra avrebbe voluto uccidere diversi politici: "Ho eseguito anche dei pedinamenti a Valdesi per seguire Vizzini, anche Mannino doveva essere ucciso. C'era una specie di lista: si dovevano uccidere oltre ad Andreotti, i cugini Salvo, Martelli, Craxi, e Salvo Lima era il primo della lista. Nella lista c'erano pure Serafino Ferruzzi e Raul Gardini". Ha anche parlato di Marcello Dell'Utri, imputato del processo per la trattativa: "Ho avuto direttamente a che fare con Dell'Utri, non per sentito dire".
"Prima i politici hanno fatto fare le cose a Riina e poi lo hanno mollato. Ecco perché è arrabbiato con lo Stato. Prima ci hanno fatto ammazzare Dalla Chiesa e hanno fatto sentire il fiato sul collo a Craxi e Andreotti, poi quando l'opinione publica è scesa in piazza, i politici si sono andati a nascondere". "Perché Riina dice sempre 'Lo Stato, lo Stato' - dice ancora Onorato in videoconferenza - Perché è l'unico che sta pagando il conto, mentre lo Stato non sta pagando nente, per questo motivo Riina accusa sempre lo Stato, non perché se lo inventa. Ha ragione ad accusare lo Stato, da Violante ad altri. E' lo Stato che manovra, ha ragione Riina".
"Furono sempre i politici a farci mettere in giro la voce che la bomba all'Addaura se la mise da solo il giudice Falcone. Lo volevano fare passare per un bugiardo, per indebolirlo. Era una pressione fatta dai politici a Cosa nostra", ha aggiunto Onorato, parlando del fallito attentato all'Addaura nella villa al mare del giudice Giovanni Falcone, 21 giugno 1989. "La misi io quella bomba - dice ancora Onorato - e quando abbiamo fatto l'attentato all'Addaura, abbiamo messo in giro la voce che la bomba se l'era messa Giovanni Falcone da solo, per farlo diventare un biguardo, una persona di poco conto. E Salvatore Biondino mi disse che questa era una pressione fatta dai politici. Si doveva vergognare Falcone che si metteva le bombe, in modo da farlo diventare debole".
Infine: "Martelli lo abbiamo fatto diventare ministro noi, abbiamo anche investito 200 milioni di vecchie lire. Cosa nostra voleva farlo diventare nell'88 ministro di Grazia e Giustizia, perché si diceva che piano piano favrebbe fatto uscire i mafiosi dal carcere e che nessuno doveva stare molto in carcere".

Non è intanto ancora pervenuta alla Corte d'Assise di Palermo la lettera del Quirinale in cui si informa che il Capo dello Stato Giorgio Napolitano è pronto a testimoniare a Palermo nell'ambito del processo per la trattativa tra Stato e mafia. A renderlo noto, all'apertura dell'udienza, è il Presidente della Corte d'assise Alfredo Montalto. "In relazione ad alcune richieste avanzate nei giorni scorsi dai legali sulla lettera del Quirinale - spiega Montalto - si informa che non è ad oggi pervenuta alcuna lettera". Montalto si riserva "allorché la lettera perverrà, di esaminarla e ove il contenuto sia rilevante per il processo" è disponibile a mettere il materiale "successivamente a disposizione delle parti per le eventuali rispettive valutazioni e determinazioni". Nel comunicato dei giorni scorsi il Quirinale ribadiva che nella testimonianza del Capo dello Stato ci saranno dei 'paletti', posti dalla stessa Corte d'Assise di Palermo al momento della decisione lo scorso 17 ottobre. La testimonianza sara' limitata entro il quadro definito dalla Corte costituzionale nella sentenza con cui aveva accolto il ricorso del presidente della Repubblica per la distruzione immediata delle intercettazioni delle sue conversazioni telefoniche con Nicola Mancino. Di quelle registrazioni, che sono state poi effettivamente distrutte, non si parlera' dunque nel processo. I giudici a suo tempo hanno ammesso la deposizione "nei soli limiti delle conoscenze del teste che potrebbero esulare dalle funzioni presidenziali e dalla riservatezza". Napolitano potrà rispondere anche sulle sue conoscenze anteriori alla sua elezione alla presidenza della Repubblica. Ma, rendendo nota la sua disponibilità, il capo dello Stato ha fatto sapere che le sue conoscenze sono limitate. A breve giro di posta il Colle ha reso noto che la lettera è partita dal Colle giovedì scorso, intorno alle 18,30, riferiscono fonti del Quirinale. La lettera, riferiscono le stesse fonti, e' stata inviata a mezzo posta affinche' arrivasse con la dovuta riservatezza direttamente nelle mani del destinatario, il presidente della Corte d'Assise Alfredo Montalto.

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