Se quotidianamente i dati sui contagiati e morti per covid19 viene riportato, anche in maniera caotica, dai mass media, la stessa cosa non succede per i contagi e i morti sui posti di lavoro!
Già questo non avviene per la strage annuale dei morti
sul lavoro (“Dall’inizio dell’anno al 25 aprile 207 morti su luoghi di lavoro
(55 a marzo), 410 con i morti sulle strade e in itinere” (http://cadutisullavoro.blogspot.com/))
considerati normali per questo sistema capitalista/imperialista, e ancor di più
non avviene per i morti per covid19.
È di fatto dall’inizio della pandemia che le
fabbriche in particolare non si sono mai fermate, tenendo operaie e operai
ammassati nei luoghi di lavoro, sui mezzi di trasporto, e i dati riportati
dall’Inail ne sono un esempio. Tutti i settori sono di fatto coinvolti con la
sanità al primo posto, così come al primo posto tra le Regioni c’è sempre la Lombardia
con il 31,8%.
La battaglia nei posti di lavoro per continuare a lavorare in
sicurezza è d’obbligo per tutte le lavoratrici e i lavoratori se non si vuole
continuare ad essere “carne da macello” per il profitto dei padroni, come ha
detto un operaio della Dalmine di Bergamo “solo la lotta permette la difesa
della salute, solo la lotta ci dà le basi per avanzare e per continuare più
forti, estendendo la presenza nei luoghi di lavoro, rafforzando
l’organizzazione, facendo avanzare la coscienza della dimensione generale dello
scontro. Perché quello dei padroni è un sistema di produzione, difeso dallo
Stato, con il ruolo sul campo delle Prefetture, con gli organi di controllo
insufficienti, comunque inefficaci se lasciati a se stessi, e con i sindacati
confederali che danno una forte mano per garantire la pace sociale nei luoghi
di lavoro e i ritmi della produzione ad ogni costo.”
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Covid-19, i contagi sul lavoro sono 165mila. Più di sei su 10 denunciati
nell’ultimo semestre
Nel 15esimo report
nazionale elaborato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Inail, pubblicato
oggi insieme alle schede di approfondimento regionali, il quadro delle
infezioni di origine professionale aggiornato alla data del 31 marzo. L’incremento rispetto
al mese precedente è di 8.762 casi (+5,6%). I decessi sono 551 (+52 rispetto a
febbraio), concentrati soprattutto nel trimestre marzo-maggio 2020
ROMA - I contagi sul lavoro da Covid-19 denunciati all’Inail dall’inizio della pandemia alla data dello scorso 31 marzo sono 165.528, pari a circa un quarto del complesso delle denunce di infortunio sul lavoro pervenute dal gennaio 2020 e al 4,6% del totale dei contagiati nazionali comunicati dall’Istituto superiore di sanità (Iss) alla stessa data. Rispetto alle 156.766 infezioni di origine professionale rilevate alla fine di febbraio, l’incremento è di 8.762 casi (+5,6%), di cui 3.522 riferiti a marzo, 1.605 a febbraio e 1.136 a gennaio di quest’anno, 1.089 a
dicembre, 860 a novembre e 413 a ottobre 2020, e i restanti 137 agli altri mesi dell’anno scorso. Il consolidamento dei dati permette, infatti, di acquisire informazioni non disponibili nelle rilevazioni precedenti.L’incidenza della “seconda ondata” è più del doppio della prima. Come emerge dal 15esimo report nazionale elaborato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Inail, pubblicato oggi insieme alla versione aggiornata delle schede di approfondimento regionali, la “seconda ondata” di contagi, i cui effetti sono proseguiti anche nel 2021, soprattutto a gennaio e in misura più contenuta a febbraio e marzo, ha avuto un impatto più intenso della prima anche in ambito lavorativo. Con 109.487 contagi denunciati, il periodo ottobre 2020-marzo 2021 incide, infatti, per il 66,1% sul totale delle denunce di infortunio da Covid-19, più del doppio rispetto alle 50.699 del trimestre marzo-maggio 2020 (30,6%). Anche prendendo in considerazione solo i primi tre mesi della “seconda ondata”, quelli più critici di ottobre-dicembre 2020, la percentuale dei contagi (53,5%) è comunque superiore.
Nell’aprile 2020 gli stessi morti degli ultimi sei mesi. I casi mortali da Covid-19 denunciati all’Istituto alla data del 31 marzo sono 551, circa un terzo del totale dei decessi sul lavoro segnalati all’Istituto dal gennaio 2020, con un’incidenza dello 0,5% rispetto al totale dei deceduti nazionali da nuovo Coronavirus registrati dall’Iss alla stessa data. Rispetto ai 499 casi rilevati dal monitoraggio mensile precedente, i morti sono 52 in più, di cui 11 a marzo, sei a febbraio e 10 a gennaio 2021, cinque a dicembre e 12 a novembre dello scorso anno, mentre i restanti otto sono riconducibili ai mesi precedenti. A differenza del complesso dei contagi, per i decessi è la “prima ondata” della pandemia ad avere avuto un impatto più significativo della seconda: il 62,8% dei casi mortali, infatti, è stato denunciato all’Inail nel trimestre marzo-maggio 2020 (il 34,7% nel solo mese di aprile) contro il 34,8% del semestre ottobre 2020-marzo 2021. L’identikit dei lavoratori contagiati per genere, età e nazionalità. L’82,8% dei morti sono uomini, ma la maggioranza dei contagi (69,3%) riguarda le donne. La quota delle lavoratrici supera quella dei lavoratori in tutte le regioni a eccezione della Sicilia e della Campania, con incidenze pari rispettivamente al 46,5% e al 45,0%, e della Calabria, dove si riscontra una parità tra i generi (50%). L’età media dei contagiati dall’inizio dell’epidemia è di 46 anni per entrambi i sessi e sale a 59 anni per i decessi (59 per gli uomini e 57 per le donne).
Il settore del trasporto e magazzinaggio al secondo posto per numero di decessi. Tra le attività produttive, il settore della sanità e assistenza sociale – che comprende ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili – è al primo posto con il 67,5% dei contagi denunciati e il 27,4% dei casi mortali codificati, seguito dall’amministrazione pubblica (attività degli organismi preposti alla sanità – Asl – e amministratori regionali, provinciali e comunali), con il 9,2% dei contagi e il 9,6% dei casi mortali. Gli altri settori più colpiti sono il noleggio e servizi di supporto alle imprese (vigilanza, pulizia e call center), il manifatturiero (addetti alla lavorazione di prodotti chimici e farmaceutici, stampa, industria alimentare), le attività dei servizi di alloggio e ristorazione, il trasporto e magazzinaggio, al secondo posto per numero di decessi con il 13,2% del totale, le altre attività di servizi (pompe funebri, lavanderia, riparazione di computer e di beni alla persona, parrucchieri, centri benessere…), il commercio all’ingrosso e al dettaglio e le attività professionali, scientifiche e tecniche (consulenti del lavoro, della logistica aziendale, di direzione aziendale).
Effetto vaccini: nell’ultimo bimestre la sanità e assistenza sociale sotto la soglia del 50%. Rispetto al trend osservato nella “seconda ondata” dei contagi, nei mesi di febbraio e marzo emerge un’inversione di tendenza. Limitando l’analisi alle denunce presentate nell’ultimo bimestre, infatti, la sanità e assistenza sociale scende sotto la soglia del 50% dei casi codificati, riposizionandosi sugli stessi livelli del periodo estivo, grazie probabilmente all’efficacia delle vaccinazioni, che hanno coinvolto in via prioritaria il personale sanitario. Altri settori produttivi – come i trasporti, i servizi di alloggio e ristorazione, il commercio e i servizi di informazione e comunicazione, che nel bimestre febbraio-marzo 2021 raccolgono complessivamente circa il 20% delle denunce – registrano invece un incremento delle infezioni lavoro-correlate.
La categoria più colpita dall’inizio della pandemia è quella dei tecnici della salute. Prendendo in considerazione la professione dei lavoratori contagiati, circa un terzo delle morti riguarda il personale sanitario e socio-assistenziale. La categoria dei tecnici della salute, in particolare, è quella più colpita, con il 38,5% dei casi denunciati, l’82,7% dei quali relativi a infermieri, e l’11,4% dei decessi codificati (il 67,7% infermieri). Seguono gli operatori socio-sanitari con il 19,0% delle denunce (e il 5,2% dei decessi), i medici con l’8,8% (6,8% dei decessi), gli operatori socio-assistenziali con il 7,2% (2,8% dei decessi) e il personale non qualificato nei servizi sanitari (ausiliario, portantino, barelliere) con il 4,8% (4,1% dei decessi). Tra le altre professioni spiccano gli impiegati amministrativi, con il 4,2% delle denunce e l’11,1% dei casi mortali, gli addetti ai servizi di pulizia, i conduttori di veicoli e i direttori e dirigenti amministrativi e sanitari.
L’andamento per professione e mese di accadimento. Dividendo il periodo di osservazione in tre intervalli – fase di “lockdown” (fino a maggio 2020 compreso), fase “post lockdown” (da giugno a settembre 2020) e fase di “seconda ondata” dei contagi (ottobre 2020-marzo 2021) – per le professioni sanitarie si osserva una progressiva riduzione dell’incidenza dei casi tra le prime due fasi e una risalita nella terza. In particolare la categoria dei tecnici della salute, composta prevalentemente da infermieri, è passata dal 39,2% del primo periodo al 23,4% del quadrimestre giugno-settembre, per poi ritornare al 38,7% nell’ultimo semestre, in calo comunque da febbraio 2021. Analogo andamento per i medici, scesi dal 10,1% della fase di “lockdown” al 5,5% di quella “post lockdown” per poi registrare l’8,3% nella “seconda ondata”, con un decremento nell’ultimo bimestre. Con la ripresa delle attività dopo il lockdown, altre professioni hanno visto invece aumentare l’incidenza dei contagi tra le prime due fasi e registrato una riduzione nella terza. È il caso, per esempio, degli esercenti e addetti nelle attività di ristorazione (passati dallo 0,6% del primo periodo al 3,7% di giugno-settembre, fino allo 0,7% tra ottobre e marzo), degli addetti ai servizi di sicurezza, vigilanza e custodia (dallo 0,6% all’1,6% e poi allo 0,9%) o degli artigiani e operai specializzati delle lavorazioni alimentari (dallo 0,2% al 4,3% fino allo 0,1%). Per queste professioni si registra tuttavia un incremento nel primo trimestre del 2021.
Gli aumenti percentuali maggiori nelle province di Siena, Udine, Lecce e Salerno. L’analisi territoriale evidenzia una distribuzione delle denunce del 44,0% nel Nord-Ovest (prima la Lombardia con il 26,0%), del 24,5% nel Nord-Est (Veneto 10,7%), del 14,7% al Centro (Lazio 6,3%), del 12,3% al Sud (Campania 5,5%) e del 4,5% nelle Isole (Sicilia 3,0%). Le province con il maggior numero di contagi denunciati da inizio pandemia sono Milano (9,9%), Torino (7,2%), Roma (4,9%), Napoli (3,8%), Brescia e Varese (2,6%), Verona (2,5%) e Genova (2,4%). Torino è la provincia che registra il maggior numero di contagi professionali accaduti nell’ultimo mese di rilevazione, seguita da Roma, Milano, Napoli, Cuneo, Genova e Varese. Le province che in marzo hanno registrato gli incrementi percentuali maggiori rispetto a febbraio sono, però, quelle di Siena (+19,4%), Udine (+17,3%), Lecce (+16,0%), Salerno (+15,6%), Crotone (+14,9%), Frosinone (+13,3%) e Bologna (+12,0%).
In Lombardia quasi un terzo dei casi mortali. Con il 44,5% dei decessi denunciati, al Nord-Ovest spetta anche il primato negativo dei casi mortali (prima la Lombardia con il 31,8%). Seguono il Sud con il 23,2% (Campania 11,1%), il Centro con il 15,8% (Lazio 8,9%), il Nord-Est con il 12,0% (Emilia Romagna 7,3%) e le Isole con il 4,5% (Sicilia 4,2%). Tra le province la più colpita è quella di Bergamo (8,7%), che precede Milano (8,3%), Napoli e Roma (7,1% per entrambe), Brescia (4,9%), Torino (3,8%), Cremona (3,4%), Genova e Parma (2,9% ciascuna).
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