L’impatto dell’emergenza
ancora in pieno corso è epocale, con una recessione generale che
colpisce la vita di milioni di lavoratori, lavoratrici, precari/e e
disoccupati/e nel mondo.
Questa recessione non è però
un semplice riflesso del covid19, ma mette a nudo una crisi
strutturale di lunga durata. In Italia decine di migliaia di morti
(in particolare a Bergamo e in Lombardia) hanno reso evidente lo
sfascio del sistema sanitario e lo sfruttamento del suo personale.
Su spinta di Confindustria,
migliaia di aziende, fabbriche e magazzini sono stati lasciati aperti
anche se non essenziali, con milioni di lavoratori e lavoratrici il
più delle volte privi di una reale protezione.
Le misure adottate in questi
mesi dal governo-Conte hanno salvaguardato ancora una volta i
profitti. Cassa integrazione e ammortizzatori hanno prodotto un
drammatico abbattimento dei livelli di vita di lavoratori e
lavoratrici.
La moratoria sui licenziamenti
è momentanea e, soprattutto, parziale: centinaia di migliaia di
precari/e sono finiti per strada; si sono moltiplicati interventi
mirati contro lavoratori e lavoratrici combattivi; col
“decreto-Agosto” sarà anche possibile licenziare nei cambi
d’appalto, terminato il
periodo di esonero contributivo o esaurite le ulteriori 18 settimane di CIG. I prossimi interventi europei (dal recovery plan al MES) avranno lo stesso segno di classe.
periodo di esonero contributivo o esaurite le ulteriori 18 settimane di CIG. I prossimi interventi europei (dal recovery plan al MES) avranno lo stesso segno di classe.
Anzi, tutto lascia presagire
che il peggio debba arrivare.
Per i padroni l’emergenza è
infatti occasione per socializzare le perdite, accelerando le
ristrutturazioni e aumentando lo sfruttamento. Non a caso dispiegano
oggi un’offensiva sui contratti nazionali, evitando di rinnovarli e
pretendendo il rispetto di quel patto del lavoro sottoscritto dalle
burocrazie confederali che blocca ogni aumento salariale, salvo
(forse) qualche briciola di welfare aziendale.
Per lavoratori e lavoratrici
si profilano licenziamenti, taglio dei salari, inasprimento di ritmi
e carichi, ulteriore riduzione delle tutele: tali misure avranno
effetti ancora più feroci nel meridione d’Italia.
Come sempre sono le donne le
più colpite: nel lavoro (con salari più bassi), nella perdita del
lavoro (le prime a vederselo ridotto o ad esser licenziate) e nella
riproduzione sociale (scaricando soprattutto su di loro la chiusura
di scuole e asili-nido).
Facendo leva sui
decreti-sicurezza che hanno equiparato le lotte sindacali e sociali a
problemi di ordine pubblico, i padroni e i loro governi usano
l’emergenza anche per imporre nuove strette repressive, con la
militarizzazione nelle piazze e ai cancelli (persino con la security
privata, come alla TNT), mentre la destra (e non solo) continua a
diffondere il veleno del razzismo e dell’odio etnico, alimentando
divisioni e guerre fratricide tra gli sfruttati per celare le vere
cause e i veri responsabili della crisi.
Serve allora una risposta
unitaria per generalizzare il conflitto.
Si pone quindi, oggi come non mai, la necessità di un’iniziativa all’altezza della fase e del nemico di classe.
Si pone quindi, oggi come non mai, la necessità di un’iniziativa all’altezza della fase e del nemico di classe.
Un’iniziativa capace di
rivolgersi ai delegati/e, alle lavoratrici e ai lavoratori, che hanno
scioperato a marzo nelle fabbriche, nella logistica e nella grande
distribuzione; a quelli oggi colpiti da crisi industriali e da una
crescente pressione padronale; alle tante soggettività che si stanno
ponendo sul terreno della lotta o dell’autorganizzazione:
lavoratori e lavoratrici dello spettacolo, della sanità e delle
scuole; dottorandi e precari delle università; precari delle
cooperative e delle Onlus, del turismo, delle comunicazioni ecc.
È cioè necessario un
radicale cambio di passo nel sindacalismo conflittuale e di classe.
Non serve la nascita “per decreto” di nuove sigle, né la
riproposizione di meri intergruppi, bensì la costruzione di percorsi
di lotta che vadano oltre alle appartenenze di sigla e di categoria.
Dall’incontro del 12 luglio
a Bologna è emersa la volontà di lanciare un processo nuovo e
realmente includente, capace di legare le lotte sindacali, quelle dei
disoccupati, i movimenti per la casa e gli scioperi degli affitti, i
movimenti per la parità di diritti agli immigrati (oggi principale
bersaglio dell’offensiva reazionaria dei Salvini e delle Meloni) e
tutte le reti di solidarietà attive sui territori in un fronte unico
di tutti gli sfruttati.
Nei prossimi mesi i nodi del
contendere saranno essenzialmente due: la difesa (e il rilancio) del
salario diretto, differito (pensioni e TFR) e indiretto (scuola e
sanità pubbliche in primo luogo); la difesa di salute e sicurezza
nei luoghi di lavoro, di studio e nella vita sociale.
Oggi più che mai, per
combattere le politiche di sfruttamento, licenziamenti e macelleria
sociale, occorre riprendere le storiche parole d’ordine del
movimento operaio: patrimoniale sulle grandi ricchezze, no al cappio
del debito di stato; riduzione drastica (e redistribuzione)
dell’orario di lavoro a parità di salario; difesa e miglioramento
dei livelli salariali; salario garantito a disoccupati e
stabilizzazione dei precari; tutela della salute e della sicurezza;
stop alla miriade di contratti precari e da fame; difesa, rilancio e
applicazione effettiva dei CCNL; difesa e rilancio di una scuola e
una sanità pubbliche, universali e gratuite; piena agibilità
sindacale sui luoghi di lavoro; no ai decreti-sicurezza e alla
repressione degli scioperi e delle lotte, abolizione immediata di
ogni forma di discriminazione e pieni diritti di cittadinanza per i
lavoratori immigrati; sostegno all’edilizia popolare e stop agli
sgomberi delle occupazioni a scopo abitativo.
Rivendicazioni praticabili
solo se il movimento di classe saprà riconquistarsi la propria
autonomia in un’ottica internazionale e internazionalista,
sottraendosi al veleno del sovranismo. Proletari e capitalisti
infatti non sono e non saranno mai sulla stessa barca: o i proletari
saranno capaci con la lotta di far pagare la crisi ai padroni,
colpendo i profitti e le rendite, oppure saranno i padroni a farci
pagare con gli interessi i costi della loro crisi.
Vogliamo aprire un confronto
per collegare e rilanciare le lotte in corso, per supportare quelle
future ed unirle in un movimento generale.
Per questo convochiamo
un’assemblea nazionale dei lavoratori e delle lavoratrici
combattivi/e, a Bologna, nella giornata di domenica 27 settembre:
inizio ore 9,30, sala Dumbo, in via Casarini 72.
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