mercoledì 9 settembre 2020

pc 9 settembre - I padroni portano avanti la loro piattaforma nei contratti - i sindacati confederali a diverso titolo colludono - tocca agli operai sviluppare lotta di classe e sindacato di classe

info dal Sole 24 ore - Lavoro, record di contratti scaduti: 14 milioni in attesa di rinnovo

Confindustria: rinnovo nella cornice di regole del patto della fabbrica. Nelle piattaforme sindacali, il focus delle richieste è in prevalenza sui minimi
di Cristina Casadei

Di questo passo il 2020 ce lo ricorderemo come l’anno del record dei lavoratori con il contratto collettivo nazionale di lavoro scaduto. Sono tanti i comparti ancora impegnati nei negoziati, a partire da metalmeccanici, alimentaristi, sanità privata, per citarne solo alcuni: oltre 14 milioni le persone coinvolte.

Cgil, Cisl e Uil
Le tre confederazioni, Cgil, Cisl e Uil hanno una posizione molto netta e compatta sul rinnovo dei contratti. Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini afferma che «è un diritto di tutti i lavoratori, di tutti i settori, del nostro Paese». Il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, spiega che «il contratto nazionale è un istituto fondamentale per la redistribuzione della ricchezza e per la garanzia dei diritti dei cittadini. Se non si rinnovano i contratti, lo scontro sarà inevitabile. Non ci saranno sconti per nessuno». Per Sbarra «bisogna arrivare alla buona chiusura di tutti i tavoli, garantire rinnovi che facciano progredire tutele e competitività, partecipazione e buona flessibilità incrementando il protagonismo sociale nelle dinamiche di crescita e coesione».
La rosa dei contratti
Nel manifatturiero i sindacati hanno presentato numerose piattaforme, ma in nessun settore – fatta eccezione per l’intesa separata dell’alimentare e per quella del vetro – si è arrivati a una conclusione. Nell’orbita di Confindustria, per esempio, ci sono 57 contratti, che vanno dai più piccoli e relativi a professioni molto specializzate come quelle del mondo dello spettacolo, fino al maggiore, quello della meccanica che riguarda quasi un milione e 500mila addetti. Nel novero dei 57 ci sono alcuni contratti che hanno da sempre una storia travagliata, dovuta anche al fatto che si intreccia con quella degli stessi comparti pubblici: è il caso dei servizi ambientali o della sanità privata, dove la mancanza di garanzie sulla parte di risorse pubbliche a copertura del rinnovo ha fatto saltare la ratifica della preintesa siglata da Aiop (Confindustria) e Aris (associazione religiosa istituti socio-sanitari) e dai sindacati.
Piattaforme: focus sui minimi
Del novero dei contratti di Confindustria una parte consistente è scaduta nel 2019, dalla meccanica, all’alimentare, alla cartotecnica, al legno arredo, alla ceramica. Quest’anno sono arrivati a scadenza tessili, calzature, terme, minerario, orafi solo per citarne alcuni. Le piattaforme sindacali ci sono già e alcune sono in fase di discussione. Prendendole in rassegna il filo rosso è che le richieste di aumento sono fatte con focus prevalente sui minimi e sono di molto superiori rispetto all’Ipca. Nella meccanica Fiom, Fim e Uilm hanno chiesto un aumento del salario dell’8% sui minimi contrattuali per il periodo 2020-2022 che va molto al di là dell’indicizzazione secondo l’Ipca e che resta il cuore della richiesta salariale, per via della scarsa diffusione della contrattazione di secondo livello nel settore. Ci sono poi numerosi altri capitoli che vanno dalla salute e sicurezza al welfare, ma tra questi il diritto alla formazione continua, già formalmente introdotto nel precedente rinnovo, è uno di quelli di cui i sindacati in questa tornata rivendicano l’attuazione. Il segretario generale della Fim Cisl Roberto Benaglia dice che «il rinnovo dei contratti nazionali deve essere l’occasione per qualificare il lavoro e rilanciare le attività produttive. Serve interpretarli senza blocchi o tatticismi. Non si esce dalla crisi con una contrattazione più debole o ridotta».
Il Patto della fabbrica
Per i rinnovi uno slittamento di qualche mese, data la fase molto complessa, deve essere messo in conto, ma è chiaro che per le imprese i contratti collettivi nazionali rimangono uno strumento importante. «Nel rispetto degli accordi fatti con i sindacati confederali, devono però essere rinnovati nella cornice di regole definite con il Patto della fabbrica. Il contratto, è bene ricordarlo, non è un fine ma uno strumento – spiega il direttore dell’area lavoro di Confindustria, Pierangelo Albini -. Oggi che cambia il mondo anche i contratti devono cambiare e non si può immaginare una contrattazione come quella del passato. Il Patto della fabbrica ha definito un trattamento economico minimo che va indicizzato secondo l’Ipca e un trattamento economico complessivo in cui rientrano tutti i diversi istituti che fanno parte del contratto, compreso il welfare. La somma fa il totale, ma data l’incertezza delle future possibili scelte del legislatore e le ipotesi che spesso ritornano a circolare sul salario minimo legale, per le imprese diventa importante non caricare eccessivamente i minimi che, tra l’altro, hanno un effetto moltiplicatore su molti istituti, e demandare il recupero della produttività là dove viene prodotta ossia al secondo livello, nelle aziende». Il sindacato, però, da tempo, ha avanzato la proposta di detassare gli aumenti dei contratti collettivi e ragiona molto di più sulla contrattazione nazionale che sul secondo livello.
Oggi dopo molto tempo sindacati e Confindustria si rivedranno attorno a un tavolo. È il primo incontro nella stagione della pandemia... Si andrebbe dai rinnovi contrattuali ai criteri della rappresentanza, dalla gestione delle crisi aziendali alla riforma degli ammortizzatori sociali per finire poi alla definizione delle priorità di investimento del Recovery fund. Su tutte queste materie manca non solo una posizione comune delle parti sociali ma persino un lavoro preliminare tra gli sherpa...
Un contributo particolare poi sarebbe auspicabile che venisse dalla Cgil. Dall’esterno l’impressione è che nella maggiore confederazione al culto del dialogo tra le parti sociali si sia affiancata o addirittura sostituita l’idea di poter ottenere di più lasciando la mesta compagnia e privilegiando l’azione di governo. È da tempo, ad esempio, che i sindacati non redigono documenti comuni. L’ipotesi di sostituire lo spazio autonomo dei corpi intermedi con una qualche forma di collateralismo al governo amico ha fatto molte volte capolino nella storia del sindacalismo italiano ma non ha portato mai grande fortuna...

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