Il fascismo è un crimine, non un’opinione. Non è una “reazione” all’aggressione altrui, è una mentalità inumana da estirpare, pena una lista di stragi senza fine.
Quanto avventuto da Hanau, in Germania, ieri sera, è solo una delle manifestazioni più pezzenti di questa ideologia merdosa. Un uomo tedesco di 43 anni, di simpatie neonaziste, tale Tobias Rathjen, è entrato in due diversi locali della città frequentati sopratutto da cittadini originari di altri paesi non europei, aprendo il fuoco a casaccio contro chiunque si trovasse davanti.
Poi è tornato a casa sua, ha ammazzato anche la madre e si è suicidato. Bilancio provvisorio: 11 morti e diversi feriti.
Non è il “gesto di una pazzo”. E’ la sintesi di un’ideologia senza futuro.
Questo tizio ha infatti lasciato anche il suo messaggio finale, in cui spiega che bisogna annientare «certi popoli la cui espulsione dalla Germania non è più possibile».
Al contrario di quanto raccontato dai leader della destra fascista europea, senza troppe distinzioni, secondo cui sarebbe in fondo “facile” ripristinare una “purezza etnica” della popolazione residente nei paesi europei, c’è quasi una resa all’inevitabilità del cambiamento.
Ma invece di assumere razionalmente il mutamento, e quindi prospettare modalità di vita e relazione adeguate alla “novità”, l’ideologia reazionaria e razzista resta inchiodata al sogno impossibile del “ritorno alle origini”. E diventa coscientemente teoria dello sterminio di decine di milioni di persone che ormai abitano stabilmente i paesi europei.
Su questo gli Stati e le varie polizie sono stati fin qui silenti o complici dei nazifascisti. In buona parte perché il personale condivide quell’ideologia funerea.
Non stiamo parlando solo dell’Italia, in cui l’identità di vedute tra fascisti militanti e “forze dell’ordine” è da sempre manifesto e addirittura esibito (non si contano più le testimonianze che riferiscono di foto o busti del “dice” nei commissariati e nelle caserme).
Anche in Germania il legame tra polizia, servizi segreti e neonazisti è storico, strettissimo, inestricabile. La “sottovalutazione” della loro pericolosità è di fatto la normalità con cui le “forze dell’ordine” guardano alle attività dei fascisti. Le poche operazioni di contrasto avvengono sempre dopo casi clamorosi, come l’omicidio del presidente del distretto di Kassel, il democristiano Walter Luebcke.
Operazioni che sembra fatte “controvoglia”, per non dare eccessivamente nell’occhio, solo per tranquillizzare…
Facciamo anche l’esempio italiano. Anzi, limitiamoci soltanto ad una regione, e solo nell’ultimo mese.
A Mondovì, in Piemonte, a gennaio qualcuno verga la scritta infame “Juden Hier” sulla porta di casa di Aldo Rolfi, figlio della partigiana Lidia Beccaria, morta ormai da molti anni. Scandalo mediatico, subito virato al solo antisemitismo (come se nei lager nazisti non fossero morti anche milioni di antifascisti e zingari), grande cagnara per un paio di giorni,promessa di indagini “severe” da parte di polizia e magistratura.
Pochi giorni dopo, a Torino, una mano simile scrive ‘Crepa sporca ebrea’ davanti alla porta di Maria Bigliani, di origine ebraica, figlia di una staffetta partigiana. Scandalo mediatico, subito virato al solo antisemitismo, grande cagnara per un paio di giorni, promessa di indagini “severe” da parte di polizia e magistratura.
A stretto giro, sempre a Torino, Maria Grazia Sestero, figlia di un partigiano del quartiere Vanchiglia, si è trovata sul campanello un biglietto recante slogan nazisti. Scandalo mediatico, subito virato al solo antisemitismo (anche se in questo caso si tratta di soli partigiani), grande cagnara per un paio di giorni, promessa di indagini “severe” da parte di polizia e magistratura.
Torino, pochi giorni dopo, una stella di David è comparsa sulla porta della casa di Marcello Segre, attivolo nel volontariato, insieme alla scritta “Jude”, “ebreo“. Scandalo mediatico, “pericolo antisemitismo”, grande cagnara per un paio di giorni, promessa di indagini “severe” da parte di polizia e magistratura.
Il risultato? Nulla di nulla. Nessun indagato, nessun volto o corpo intravisto da nessuna telecamera… Eppure abbiamo ormai imparato che soprattutto nelle grandi città non ci sono più angoli che sfuggano all’occhio di migliaia di telecamere, piazzate da Comune, dalle polizie (ne abbiamo molte, qui da noi…), da semplici negozianti, ecc.
Torino non è esattamente una masseria di campagna…
Invece qualcosa si è potuto verificare. Ma di segno opposto.
Proprio a Torino, il 13 febbraio, presso il Campus Einaudi dell’Università, si sta tenendo un convegno su “Fascismo, colonialismo, foibe”. Tra i relatori anche Moni Ovadia, intellettuale di noteovle livello, uomo di spettacolo, antifascista. E orgogliosamente, ma non disciplinatamente, ebreo.
Un gruppetto di fascisti del Fuan si affaccia nel piazzale antistante l’aula dove si tiene il convegno e inizia a volantinare. Gli antifascisti presenti ovviamente reagiscono alla provocazione, ma la polizia li carica per difendere il “loro diritto” a disturbare un’iniziativa antifascista.
Non vogliamo dire che certamente in quel manipolo di fascisti ci fosse magari anche qualcuno di quelli che nei giorni precedenti aveva fatto le scritte antipartigiane e antisemite, anche se ci sembra molto probabile.
Quello che è certo, invece, è che la polizia protegge i fascisti anche quando questi stanno minacciando antifascisti – anche ebrei – in un pubblico convegno. E anzi sottopone a fermo giudiziario, identificazione, denuncia, ecc, chi difende il proprio diritto a discutere liberamente.
Vi serve qualcosa di più chiaro per capire perché i fascisti, ovunque in Europa, si sentono liberi di agire fino a teorizzare lo sterminio dei “non ariani” e cercare – anche nel piccolo cabotaggio individuale – di realizzarlo? E che, quindi, l’Unione Europea non è affatto un “argine” contro il risorgere del fascismo ma la sua incubatrice?
da contropiano
Quanto avventuto da Hanau, in Germania, ieri sera, è solo una delle manifestazioni più pezzenti di questa ideologia merdosa. Un uomo tedesco di 43 anni, di simpatie neonaziste, tale Tobias Rathjen, è entrato in due diversi locali della città frequentati sopratutto da cittadini originari di altri paesi non europei, aprendo il fuoco a casaccio contro chiunque si trovasse davanti.
Poi è tornato a casa sua, ha ammazzato anche la madre e si è suicidato. Bilancio provvisorio: 11 morti e diversi feriti.
Non è il “gesto di una pazzo”. E’ la sintesi di un’ideologia senza futuro.
Questo tizio ha infatti lasciato anche il suo messaggio finale, in cui spiega che bisogna annientare «certi popoli la cui espulsione dalla Germania non è più possibile».
Al contrario di quanto raccontato dai leader della destra fascista europea, senza troppe distinzioni, secondo cui sarebbe in fondo “facile” ripristinare una “purezza etnica” della popolazione residente nei paesi europei, c’è quasi una resa all’inevitabilità del cambiamento.
Ma invece di assumere razionalmente il mutamento, e quindi prospettare modalità di vita e relazione adeguate alla “novità”, l’ideologia reazionaria e razzista resta inchiodata al sogno impossibile del “ritorno alle origini”. E diventa coscientemente teoria dello sterminio di decine di milioni di persone che ormai abitano stabilmente i paesi europei.
Su questo gli Stati e le varie polizie sono stati fin qui silenti o complici dei nazifascisti. In buona parte perché il personale condivide quell’ideologia funerea.
Non stiamo parlando solo dell’Italia, in cui l’identità di vedute tra fascisti militanti e “forze dell’ordine” è da sempre manifesto e addirittura esibito (non si contano più le testimonianze che riferiscono di foto o busti del “dice” nei commissariati e nelle caserme).
Anche in Germania il legame tra polizia, servizi segreti e neonazisti è storico, strettissimo, inestricabile. La “sottovalutazione” della loro pericolosità è di fatto la normalità con cui le “forze dell’ordine” guardano alle attività dei fascisti. Le poche operazioni di contrasto avvengono sempre dopo casi clamorosi, come l’omicidio del presidente del distretto di Kassel, il democristiano Walter Luebcke.
Operazioni che sembra fatte “controvoglia”, per non dare eccessivamente nell’occhio, solo per tranquillizzare…
Facciamo anche l’esempio italiano. Anzi, limitiamoci soltanto ad una regione, e solo nell’ultimo mese.
A Mondovì, in Piemonte, a gennaio qualcuno verga la scritta infame “Juden Hier” sulla porta di casa di Aldo Rolfi, figlio della partigiana Lidia Beccaria, morta ormai da molti anni. Scandalo mediatico, subito virato al solo antisemitismo (come se nei lager nazisti non fossero morti anche milioni di antifascisti e zingari), grande cagnara per un paio di giorni,promessa di indagini “severe” da parte di polizia e magistratura.
Pochi giorni dopo, a Torino, una mano simile scrive ‘Crepa sporca ebrea’ davanti alla porta di Maria Bigliani, di origine ebraica, figlia di una staffetta partigiana. Scandalo mediatico, subito virato al solo antisemitismo, grande cagnara per un paio di giorni, promessa di indagini “severe” da parte di polizia e magistratura.
A stretto giro, sempre a Torino, Maria Grazia Sestero, figlia di un partigiano del quartiere Vanchiglia, si è trovata sul campanello un biglietto recante slogan nazisti. Scandalo mediatico, subito virato al solo antisemitismo (anche se in questo caso si tratta di soli partigiani), grande cagnara per un paio di giorni, promessa di indagini “severe” da parte di polizia e magistratura.
Torino, pochi giorni dopo, una stella di David è comparsa sulla porta della casa di Marcello Segre, attivolo nel volontariato, insieme alla scritta “Jude”, “ebreo“. Scandalo mediatico, “pericolo antisemitismo”, grande cagnara per un paio di giorni, promessa di indagini “severe” da parte di polizia e magistratura.
Il risultato? Nulla di nulla. Nessun indagato, nessun volto o corpo intravisto da nessuna telecamera… Eppure abbiamo ormai imparato che soprattutto nelle grandi città non ci sono più angoli che sfuggano all’occhio di migliaia di telecamere, piazzate da Comune, dalle polizie (ne abbiamo molte, qui da noi…), da semplici negozianti, ecc.
Torino non è esattamente una masseria di campagna…
Invece qualcosa si è potuto verificare. Ma di segno opposto.
Proprio a Torino, il 13 febbraio, presso il Campus Einaudi dell’Università, si sta tenendo un convegno su “Fascismo, colonialismo, foibe”. Tra i relatori anche Moni Ovadia, intellettuale di noteovle livello, uomo di spettacolo, antifascista. E orgogliosamente, ma non disciplinatamente, ebreo.
Un gruppetto di fascisti del Fuan si affaccia nel piazzale antistante l’aula dove si tiene il convegno e inizia a volantinare. Gli antifascisti presenti ovviamente reagiscono alla provocazione, ma la polizia li carica per difendere il “loro diritto” a disturbare un’iniziativa antifascista.
Non vogliamo dire che certamente in quel manipolo di fascisti ci fosse magari anche qualcuno di quelli che nei giorni precedenti aveva fatto le scritte antipartigiane e antisemite, anche se ci sembra molto probabile.
Quello che è certo, invece, è che la polizia protegge i fascisti anche quando questi stanno minacciando antifascisti – anche ebrei – in un pubblico convegno. E anzi sottopone a fermo giudiziario, identificazione, denuncia, ecc, chi difende il proprio diritto a discutere liberamente.
Vi serve qualcosa di più chiaro per capire perché i fascisti, ovunque in Europa, si sentono liberi di agire fino a teorizzare lo sterminio dei “non ariani” e cercare – anche nel piccolo cabotaggio individuale – di realizzarlo? E che, quindi, l’Unione Europea non è affatto un “argine” contro il risorgere del fascismo ma la sua incubatrice?
da contropiano
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