mercoledì 7 agosto 2019

pc 7 agosto - Crisi economica mondiale, ogni giorno un segnale in più: il prezzo del petrolio scende… scende…

Ogni giorno i quotidiani di ogni ordine e tipo devono registrare i problemi che affliggono l’economia mondiale. Il 2008 viene sempre considerato il punto di partenza di questa crisi e, nonostante le giravolte verbali piene di ottimismo che di tanto in tanto affiorano per una “ripresa” (ma questa viene attribuita agli Stati Uniti), nella realtà non fanno che ri-elencare i problemi che hanno dato origine alla crisi, e chiedersi come mai dopo oltre dieci anni si sta per ricadere nella “recessione”!

Il dato del prezzo in discesa del petrolio, una delle materie prime più importanti per la produzione capitalistica mondiale attualmente, è uno di questi segnali forti della crisi.

“IL PETROLIO TENTA IL RIMBALZO, MA FALLISCE” dice il giornalista Morya Longo in un articoletto pubblicato oggi sul Sole24Ore nella rubrica quotidiana “mercati”. E a cosa si deve questo fallimento? Alle “… tensioni tra stati Uniti e Cina: da un lato il presidente Trump venerdì ha
annunciato una nuova ondata di dazi al 10% sulle importazioni statunitensi di beni cinesi, dall’altro lunedì la Cina ha risposto consentendo la svalutazione dello yuan al minimo dal 2008.” I mercati, come li chiamano i giornalisti e tutti gli “ideologi della borghesia”, esprimono “…il timore … che la disputa commerciale (che poi non è solo commerciale) tra i due maggiori consumatori di petrolio possa frenare le loro economie e dunque il consumo di oro nero.”
Nonostante qualche oscillazione “… l’incertezza resta tutta sul terreno. Lo conferma la marcia indietro serale delle quotazioni: alle 20,30 italiane il brent quotava a 59,23 dollari al barile.”
Questa “incertezza” è la nuova normalità (new normal la chiamano gli analisti borghesi) e si estende a tutti i rapporti politico-economici tra i paesi del mondo.

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Dopo aver perso oltre il 9% dal 31 luglio, arrivando a toccare il minimo da sette mesi sotto i 60 dollari al barile, il petrolio Brent ieri ha tentato il rimbalzo. Ma ha fallito: dopo aver toccato in apertura quota 58,81 dollari (minimo da gennaio), è infatti risalito a 60,56 dollari. Ma in serata ha fatto nuovamente marcia indietro, tornando sotto quota 60. Iter simile per il Wti. A pesare sul petrolio sono le tensioni tra stati Uniti e Cina: da un alto il presidente Trump venerdì ha annunciato una nuova ondata di dazi al 10% sulle importazioni statunitensi di beni cinesi, dall’altro lunedì la Cina ha risposto consentendo la svalutazione dello yuan al minimo dal 2008. Questo nei giorni scorsi ha pesato su tutti i mercati, incluso sul petrolio: il timore è che la disputa commerciale (che poi non è solo commerciale) tra i due maggiori consumatori di petrolio possa frenare le loro economie e dunque il consumo di oro nero. Ieri le tensioni si sono un po’ calmate, con la stabilizzazione dello yuan, e il Brent ha potuto recuperare qualcosa. Ma l’incertezza resta tutta sul terreno. Lo conferma la marcia indietro serale delle quotazioni: alle 20,30 italiane il brent quotava a 59,23 dollari al barile.
Sole 24 Ore 7.8.19

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