Questa mattina studenti e No Tav sono stati più volte caricati e respinti dalla polizia nel tentativo di accedere all’Aula Magna della Cavallerizza, dove era ospitato il convegno “Il dibattito pubblico per le opere condivise”. Un grande appuntamento per imprese e “professionisti del settore”, facile passerella per politici speranzosi di essere rieletti ed ennesimo tentativo dell’Università di accreditarsi in quei giri che “contano”.
Alla fine il ministro in scadenza Del Rio ha dato buca, per evitare brutta pubblicità a ridosso delle elezioni, soprattutto quando la natura stessa dell’incontro esclude, per
principio, tutti quei soggetti che i territori davvero li vivono e contestano le decisioni prese a Roma, nei salotti del potere.
principio, tutti quei soggetti che i territori davvero li vivono e contestano le decisioni prese a Roma, nei salotti del potere.
Senza Del Rio l’incontro è stato sicuramente meno di richiamo, ma per motivi di sicurezza, vista l’annunciata contestazione dei collettivi universitari, la Questura ha pensato bene di spostare l’evento nell’aula magna della Cavallerizza, luogo non attraversato da studenti e di più facile difesa.
Ecco che così i No Tav e gli studenti, giunti prestissimo per accedere all’aula, si sono trovati un’accoglienza numerosa, fatta da centinaia di poliziotti, digos scatenati e tutto il corollario delle grandi occasioni.
“Ma come” qualcuno ha chiesto ironicamente “non si parla di come strutturare un dialogo con le popolazioni coinvolte dalle grandi opere? Eccoci qui! Condividiamo!”
Ovviamente una falsa domanda, oltre vent’anni di esperienza diretta ci hanno insegnato di come il tanto paventato dialogo sia stato solo lettera morta, uno spot elettorale per sciacquarsi la faccia e la coscienza sui giornali.
L’inizio dei lavori in Val di Susa è stato imposto con la forza e la violenza e, a differenza loro, non siamo ipocriti: non c’è mai stato spazio per un dialogo che non partisse dall’opzione zero, il nostro No irriducibile, garanzia di mille e più battaglie, è ciò che hanno sempre e solo sentito dalle nostre bocche.
Continuiamo a pensare che l’unica cosa sensata che possono fare, oggi come ieri, sia quella di andarsene, una volta per tutte e chiedendo scusa.
Lo dovrebbero fare alle migliaia di persone indagate, per le centinaia di denunce e processi, per gli anni di galera elargiti come fossero noccioline, i milioni di euro buttati in quel pozzo senza fondo che è il cantiere di Chiomonte.
Un pozzo appunto, creato ad arte per drenare soldi pubblici che andrebbero investiti in altro, ad esempio intervenire tempestivamente laddove ci siano pezzi di legno al posto dei binari ferroviari come a Pioltello. Andandosene, infatti, dovrebbero chiedere scusa anche a quei 3 morti e 46 feriti, a tutte le loro famiglie e ai loro amici.
Poi ci sono le popolazioni terremotate, costrette a lasciare le loro case dopo il sisma, ma che sono impossibilitate a vivere dignitosamente nella propria terra, perché lo Stato non ha dato priorità alla loro vita e accetta che passino inverni dentro putridi container quando va bene.
Chiederebbero il conto anche le popolazioni alluvionate, le famiglie che mandano i figli nelle scuole fatiscenti o chi per curarsi di una malattia deve aspettare mesi, troppo tempo, oppure spendere tutti i propri risparmi.
Sarebbe un conto molto salato da pagare e troppe scuse da fare, lo sappiamo, quindi non ci facciamo affidamento.
Inoltre, se proprio vogliamo essere sinceri, non le accetteremmo le loro scuse: si è superato il segno e la mancanza di rispetto per la vita, la dignità e la salute di intere popolazioni non è e non sarà mai perdonabile.
Ci accontenteremo quindi, al momento giusto, di tirare a tutti loro un bel calcio sul sedere nella convinzione che sarà il riscatto collettivo a far pagare loro il prezzo per tutti i crimini commessi.
Vergogna!
ps.
Mattia, lo studente fermato e portato in Questura prima ancora che iniziasse il convegno solo perché voleva entrare nell’aula magna è stato rilasciato al termine della manifestazione.
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