mercoledì 14 febbraio 2018

pc 14 febbraio - CIO' CHE FA "PAURA" NON E' L'AUTOMAZIONE, MA IL CAPITALE E IL SUO SISTEMA - MA LA PAURA SI DEVE TRASFORMARE IN GUERRA DI CLASSE ORGANIZZATA

Il 12 febbraio Repubblica ha pubblicato un lungo editoriale dell'economista Enrico Moretti, professore di economia nell'università della California, intitolato: "Il robot in fabbrica non deve far paura. Più lavoro se cresce la produttività".

Moretti scrive: "Il rapido progresso tecnologico, dalla automazione delle fabbriche alla diffusione dei robot intelligenti, alla crescita della digitalizzazione, fino all'intelligenza artificiale, è percepito dall'opinione pubblica della maggior parte dei paesi occidentali come una minaccia profonda al futuro del lavoro... si racconta (che) le aziende si libereranno di un numero sempre maggiore di figure professionali. Il futuro che viene prospettato vede diminuire le possibilità di impiego per la maggiorparte dei lavoratori "normali"...
...Il numero complessivo dei posti di lavoro non sta diminuendo nelle economie occidentali... La percentuale dei disoccupati subisce fluttuazioni cicliche...Come è possibile?... Anche quando distruggono posti di lavoro, le nuove tecnologie aumentano la produttività del lavoro e quindi i salari, facendo crescere di conseguenza la domanda di servizi...
E fa un esempio: un operaio della General Motors negli anni 50 produceva 7 auto all'anno, oggi 29, e conclude: sì, ci sono meno operai in fabbrica ma quelli rimasti sono più produttivi e ricevono salari più elevati "questo comporta un aumento della domanda di servizi e quindi nuovi posti di lavoro...".

La tesi di questo economista è, quindi, che se l'automazione riduce l'occupazione nelle fabbriche, il lavoro aumenta in altri settori, in ogni caso aumenta la produttività che sarebbe a vantaggio di tutti; inoltre crescono i salari degli operai rimasti che vanno così ad incrementare la domanda di altri servizi (e qui, quasi a beffa e provocazione, cita l'industria della salute...), dove, di conseguenza cresce quell'occupazione ridotta nella manifattura.
Bisogna, solo - conclude l'economista - incrementare la formazione per avere "capitale umano" adeguato.
Quindi va tutto bene...?
Ma lo stesso economista ad un certo punto del suo articolo deve ammettere, meravigliato, che nonostante va tutto bene, le teorie di Marx tornano a diffondersi...: "Paradossalmente - scrive, infatti - a due secoli alla pubblicazione del Capitale di Marx e a vent'anni dal crollo dei regimi comunisti, la teoria marxiana secondo cui l'automazione è destinata a impoverire i lavoratori è destinata ad impoverire i lavoratori eliminando la domanda di manodopera non ha mai goduto di tanta popolarità e diffusione...".

E allora vediamo anche noi cosa dice Marx, che spiega come in realtà l'automazione aumenta lo sfruttamento degli operai, riduce il tempo di lavoro necessario (all'operaio per reintegrare i suoi mezzi di sussistenza) e aumenta il tempo di pluslavoro gratis per il capitale, aumenta la disoccupazione, l'esercito industriale di riserva ("fluttuante", come dice Moretti); riduce (non aumenta) relativamente il salario - anche se nominalmente può restare uguale o anche aumentare - aumenta i profitti capitalistici; e, nella concorrenza mondiale dei capitalisti, la sovrapproduzione, frutto dell'aumento della produttività, porta a crisi sempre più devastanti.


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Facciamoci aiutare su questo dal Prof. Giuseppe Di Marco. Riportiamo stralci di parti iniziali del lungo articolo (di cui abbiamo già pubblicato parti di due paragrafi finali, sui migranti e sulla disoccupazione): "L’ANALISI DELLA LEGGE CAPITALISTICA DELLA POPOLAZIONE IN KARL MARX E IL “GOVERNO” DEI FLUSSI MIGRATORI":

"La riproduzione del capitale ha... come forma allargata l’investimento in capitale addizionale di una parte di... plusvalore estorto dal capitalista all’operaio... mediante lo sfruttamento e l’appropriazione del suo pluslavoro e quindi dell’intero suo tempo di
lavoro, poiché condizione del lavoro necessario a che l’operaio reintegri i suoi mezzi di sussistenza o fondo di lavoro, è che egli lavori per un tempo maggiore, che il capitale, appunto nella prospettiva di una sua riproduzione allargata, tende ad aumentare fino all’impossibile. Questo processo di riproduzione allargata si chiama anche accumulazione e ha evidentemente come condizione l’aumento della produttività del lavoro grazie all’adozione dei metodi di produzione del plusvalore relativo. Tali metodi consistono nell’accorciamento della parte di giornata lavorativa necessaria a riprodurre il salario ovvero il fondo di lavoro dell’operaio, mediante l’aumento dell’intensità del lavoro e la progressiva concentrazione e successivamente centralizzazione dei mezzi di produzione, con conseguente economia ed efficienza di questi ultimi... 
...la grande industria... applica la scienza alla produzione avendo come base non più il meccanismo soggettivo dell’operaio complessivo o sociale, bensì il macchinario. Quest’ultimo lo si può intendere sia nel senso in cui esso funziona nell’industria meccanica, sia come l’applicazione di un processo chimico all’agricoltura, sia, infine, come un sistema di robot o come una grande piattaforma digitalizzata odierna... 
...considerando il capitale sociale complessivo, l’aumento dei mezzi di produzione e del loro valore genera un aumento di domanda di forza-lavoro per mettere in movimento tali strumenti. Pertanto «accumulazione del capitale è […] aumento del proletariato»...
(Ma)...con il progredire dell’accumulazione e di ciò che la mette in movimento, vale a dire l’aumento della forza produttiva del lavoro, anche se in assoluto la domanda di lavoro cresce e il capitale variabile aumenta, nondimeno questo aumento assoluto sta in una proporzione decrescente rispetto all’aumento quantitativo e all’imponenza della trasformazione tecnica di tutto il capitale complessivo e quindi di tutti i mezzi di produzione. «Le nuove branche della produzione che crea il progresso economico formano altrettanti sbocchi addizionali per il lavoro... Ma, per quanto numerosa possa sembrare la forza operaia così sbocciata, il suo numero proporzionale – sin dall’inizio debole se comparato alla massa del capitale impiegato – diminuisce non appena queste industrie abbiano messo radice […]... La scoperta di questa legge fondamentale dell’accumulazione capitalistica Marx la faceva nel momento in cui la grande industria, l’ultima fase della sussunzione reale del lavoro al capitale, aveva rivoluzionato il processo lavorativo in senso meccanico. Perciò possiamo immaginare cosa questo processo possa significare via via prima con le grandi industrie ford-tayloristiche e poi con la produzione informatizzata di oggi, in termini di crescita assoluta dei capitale complessivi... Quindi, sintetizzando e ribadendo con Marx i termini della questione, «con l’aumentare del capitale complessivo cresce, è vero, anche la sua parte costitutiva variabile ossia la forza-lavoro in essa incorporata, ma cresce in proporzione costantemente decrescente».
Come abbiamo visto, la diminuzione del capitale variabile rapportata all’aumento del capitale complessivo non esclude un aumento assoluto del capitale variabile stesso, che anzi deve aumentare data la quantità dei mezzi di produzione da mettere in movimento. Ma se la crescita del capitale variabile avvenisse con una media di aumento continuo, allora il rapporto tra la domanda effettiva di lavoro e l’offerta di lavoro resterebbe normale. Ma poiché, come abbiamo visto altresì, con il progredire dell’accumulazione la media di crescita è inferiore a quella del capitale complessivo e quindi della parte costante del capitale stesso, allora il rapporto tra domanda di lavoro e offerta di lavoro si squilibra, vale a dire cresce il numero degli operai disponibili e chiedenti lavoro per vivere, rispetto al capitale variabile ossia rispetto ai mezzi che danno loro occupazione, quindi una parte della popolazione operaia diventa superflua esattamente in conseguenza dello sviluppo incrementale del processo capitalistico dell’accumulazione... Poiché questo gioco continua a ripetersi con la marcia ascendente dell’accumulazione, questa si trascina dietro una sovrappopolazione crescente... Così, l’aumento del capitale variabile non significa l’aumento dell’offerta di occupazione da parte del capitale, ma precisamente aumento della disoccupazione...
....È chiaro quindi come stanno le cose senza troppo girarci in tondo: nel modo di produzione capitalistico l’aumento, esponenziale e mai visto prima nella storia, della ricchezza produce un aumento esponenziale e mai visto prima della miseria e della degradazione... "...è la stessa «accumulazione capitalistica che costantemente produce, precisamente in proporzione alla propria energia e al proprio volume, una popolazione lavorativa relativa, che eccede cioè i bisogni medi di valorizzazione del capitale, e quindi superflua, vale a dire una popolazione addizionale»...
...Marx polemizza con l’economia politica che «fa dipendere il movimento del capitale dal movimento assoluto della massa della popolazione». Secondo questo tipo di economia politica, l’accumulazione del capitale provocherebbe l’aumento del salario e quest’ultimo un aumento più rapido della popolazione dei lavoratori, facendo figli ecc. ...Commenta Marx. «Un bel metodo di movimento questo per la produzione capitalistica sviluppata! Prima che potesse verificarsi un qualche aumento positivo della popolazione effettivamente atta al lavoro, aumento dovuto all’aumento del salario, il termine entro cui portare a termine la campagna industriale, combattuta e decisa la battaglia, sarebbe più che trascorso».
Dunque non si tratta della dipendenza del movimento del capitale dal movimento naturale assoluto della popolazione che si svolgerebbe fondamentalmente nel ciclo dell’aumento dell’occupazione e della diminuzione di essa, ma si tratta di una legge secondo cui il movimento della massa della popolazione e quindi anche la legge della domanda e dell’offerta sono regolati e costretti dai bisogni di valorizzazione del capitale... Ma allora, se è il bisogno stesso del capitale di riprodurre su scala allargata il suo movimento di autovalorizzazione, che produce, in proporzione alla propria energia e al proprio volume, la sovrappopolazione operaia relativa; se è l’accelerazione dell’accrescimento del capitale sociale che permette a quest’ultimo di fare a meno di una parte più o meno rilevante dei suoi manovratori; e se, infine, l’accumulazione consiste, oltre che nella reintegrazione del capitale anticipato, anche nell’aggiunta di capitale consistente nella parte del plusvalore non consumata dal capitalista come reddito; e se, infine - ed è questo il punto -, il plusvalore è prodotto dal pluslavoro ovvero dagli operai stessi sfruttati come bestie: ecco che in ultima analisi la popolazione eccedente la producono appunto gli stessi operai creando e aumentando l’accumulazione del capitale, insomma sono gli operai stessi che nel momento in cui creano, loro solo ed esclusivamente, la ricchezza, creano simultaneamente la loro miseria in quanto la ricchezza si allontana da loro e diventa proprietà di una minoranza della società. Sono gli stessi proletari che si mettono in eccesso in una loro parte e che si spalancano la via alla disoccupazione proprio in quanto capitale variabile. «Producendo l’accumulazione del capitale – e nella misura in cui ci riesce -, la classe salariata produce […] essa stessa gli strumenti della propria estromissione o della propria metamorfosi in sovrappopolazione relativa», cioè nella miseria più abietta che si accompagna alla ricchezza esponenziale che essa produce e che passa all’altro polo, quello del capitale, che è poi la ricchezza separata dalla classe operaia e che diventa proprietà privata di un altro uomo ossia di una minoranza della società. Per poter vivere, il lavoratore deve creare l’aumento crescente della probabilità della propria condanna a morte prematura, perché l’accumulazione che egli crea, produce continuamente sempre chi lo potrà immediatamente rimpiazzare e gettare nella pattumiera, questo è il capitale..."

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