La
questione qui non è certo voler fare l’apologia di una grande
università, che, in nome della tranquillità accademica, ben poco si è
esposta per cercare verità e giustizia per Giulio. L’operazione
mediatica di ieri però è insopportabile. Visto che le responsabilità
della morte di Giulio sono fin troppo evidenti ma che è fin troppo
evidente anche che a causa dell’ostruzionismo delle autorità del Cairo
sarà impossibile determinarne l’esatta dinamica, si fa finta si essere
in un vicolo cieco e di esplorare altre piste: se il colpevole non può
essere colpevole bisogna trovarne un altro. A questo giochino infame si
presta per l’ennesima volta Repubblica, il giornale che aveva offerto
una maxi-tribuna ad Al Sisi per spiegare le sue ragioni a qualche giorno
dal ritrovamento del cadavere di Giulio con un’intervista a doppia
pagina effettuata dal direttore Calabresi. Il resto segue come da
copione: pochi minuti dopo la pubblicazione dell’intervista arriva il
post su facebook dell’allora premier Matteo Renzi che conferma che lui
ha sempre saputo che c’era qualcosa di losco a Cambridge (altro che Al
Sisi!), assicurando la sua attenzione sul caso dopo che il Partito
democratico ha rimandato poche settimane fa l’ambasciatore italiano al
Cairo, certificando l’impunità per gli aguzzini di Giulio.
Come
abbiamo già più volte ribadito, le responsabilità sul caso Regeni non
sono solo di alcune persone, ma del governo egiziano e italiano.
Quest’ultimo in nome degli interessi economici che il grande capitale
italiano ha nella zona, in particolare gli enormi giacimenti petroliferi
di Zohr gestiti dall’Eni, ha ridimensionato e velocemente liquidato
l’assassinio, che avrebbe potuto rappresentare un ostacolo nella
dialettica economica tra i due paesi. Ancora una volta le industrie e le
istituzioni nostrane ci dimostrano come non solo sia giustificato, ma
anche necessario calpestare le vite e le morti delle persone in nome del
profitto.
Sì sa perfettamente la
verità su chi sono i mandanti e gli esecutori dell’uccisione di Regeni,
ma come sempre, non lo si vuole dire perché significherebbe mettere a
nudo un sistema economico che calpesta le vite di milioni di persone e
parlare delle istituzioni che ne sono garanti.
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