Cassino – Il dramma visto da dentro la fabbrica e raccontato da Delio Fantasia, operaio da trent’anni sulla catena di montaggio
Il racconto di Delio Fantasia: “Prima di iniziare a lavorare, in
genere, ci si ritrova davanti alla postazione dove vengono distribuiti i
guanti per il lavoro. Un rituale che dura sei sette minuti, durante i
quali ci si saluta, si scambia qualche battuta, ci si lamenta della
fatica del lavoro quotidiano e poi ognuno si dirige verso la propria
postazione di lavoro. Ma il 31 ottobre, a inizio turno, era come se il
tempo si fosse fermato, come se, d’improvviso, fossimo stati tutti
colpiti in faccia da un Tir in corsa.
Un clima spettrale di mestizia segna i visi contratti e allucinati di tutti i giovani lavoratori interinali
che da otto mesi lavorano alla Fiat di Cassino. Proprio martedì sera alle ore 22 scadevano i rapporti di lavoro interinali, e nessuno di loro, a inizio turno, sapeva se il contratto di lavoro interinale andava in proroga o finiva lì. Prima di ora la proroga era sempre stata comunicata due o tre giorni prima, ma martedì, a pochi minuti dalla scadenza, ancora nessuno sapeva niente.
Davanti alla postazione dove vengono distribuiti i guanti, i giovani lavoratori interinali hanno l’aspetto di chi sta partecipando a un funerale: parlano a voce bassa e guardano con circospezione tutti quelli che stanno fuori dal loro gruppo, ovvero quelli come me, quelli assunti a tempo indeterminato, quelli che, nel loro immaginario, ce l’hanno fatta. Ogni minuto che passa le indiscrezioni si fanno più crude: degli 830 lavoratori interinali, solo a 300 saranno prorogati i progetti, mentre i restanti 530 rimarranno a casa in attesa di una salita produttiva che tutti, anche i più sprovveduti, sanno che non ci sarà mai.
Ai lavoratori appena usciti dalla fabbrica, quelli del turno di mattina, non è stato detto se il 2 novembre torneranno a lavorare o rimarranno a casa. Prima delle ore 22 l’agenzia interinale non aveva comunicato nulla.
Ci si guarda in faccia e qualcuno sbotta a bassa voce: “Dai, ma come si fa a lavorare in queste condizioni?” Qualche lavoratore anziano, che già conosce la situazione, cerca di avvicinarsi a quel gruppo di lavoratori, a “violare” la loro angoscia, a dargli qualche parola di conforto, ma tutti sappiamo che ormai i giuochi sono fatti.
Lavoro alla Fiat di Cassino da trent’anni, e a memoria non ricordo un tale clima di rabbia, di frustrazione, di ansia, di impotenza. Non ricordo di aver mai visto lavoratori piangere in fabbrica, nonostante in questi trent’anni abbiamo imparato a conoscere momenti altrettanto drammatici dal punto di vista occupazionale.
A un certo punto passa un lavoratore sindacalista della Cisl che ha appena terminato il proprio turno di lavoro, che augura buona fortuna a tutti loro con l’auspicio di ritrovarli tutti domani in fabbrica. Proprio come le eliminazioni del “Grande Fratello” durante la serata delle nomination, proprio come un gioco ad eliminazione dove c’è sempre quello che augura buona fortuna a tutti, proprio come uno spettacolo televisivo, dove l’adrenalina è la vera protagonista della serata. Ma qui siamo nel mondo cosiddetto reale, dove in gioco c’è il posto di lavoro, dove sul tavolo c’è il futuro occupazionale, dove in palio c’è la sopravvivenza e, in questo caso, anche la dignità.
Intanto i messaggini dei gruppi whatsapp si infittiscono: tutti saranno riconfermati, nessuno sarà riconfermato, metà dentro e metà fuori, 300 saranno assunti e 530 rimarranno fuori, e poi, infine, la versione ufficiale, quella che non lascia spazio a interpretazioni. A trecento lavoratori sarà prorogato il rapporto di lavoro interinale fino a gennaio e cinquecentotrenta rientreranno, c’è scritto, dopo qualche mese, se le cose andranno meglio. E tutti noi sappiamo, per esperienza, visto che è già accaduto nel 2002 e nel 2006, quando ai giovani lavoratori interinali fu detto, senza alcun risultato, di aspettare che prima o poi il loro turno arriverà, che chi esce fuori dalla fabbrica non rientra più.
Mentre lavoro mi guardo attorno. Risento le parole di Renzi, pronunciate qui dentro solo un anno fa, il 24 novembre dello scorso anno, a una settimana dal voto per il referendum costituzionale che annunciava 1.800 posti di lavoro.
Oggi, a distanza di un anno, non c’è stata una sola assunzione vera. Anzi, tre settimane fa 300 lavoratori di Pomigliano D’Arco sono tornati a casa e oggi si parla di altri 500 posti di lavoro persi. Queste sono le macerie di tre anni di renzismo, questa è la nuova fabbrica smart voluta da politici smart, questo è il presente dell’organizzazione e del mercato del lavoro che ci ritroviamo: macerie. Cinquecento giovani lavoratori interinali appesi a un sms, a perversi meccanismi di eliminazione che non hanno riscontri nella storia del movimento operaio. Eppure non siamo nelle campagne di raccolta dei pomodori di Castel Volturno, dove la selezione e l’organizzazione del lavoro, o le dinamiche di assunzioni e licenziamenti, sono del tutto discrezionali: qui siamo nella fabbrica dell’industria privata più grande d’Italia, che proprio per questo dovrebbe avere un modo di operare totalmente diverso da contesti in cui il controllo sindacale sarebbe più difficile.
A metà giornata, dopo decine di insistenze, la coordinatrice dell’agenzia interinale ai quali i giovani lavoratori chiedono informazioni, risponde con un messaggio collettivo. Dice a tutti di attendere fino alle ore 22, perché prima di allora la Fiat non comunicherà nulla. Uno di questi lavoratori mi si avvicina e legge il messaggino: “Ragazzi, la Fiat non ha ancora comunicato nulla e non lo farà prima delle ore 22. Saremo noi a comunicare chi resta e chi va via”. Mente il lavoratore discute del contenuto del messaggio, la mia mente si sofferma alla prima parola: “Ragazzi”. Ma questi sono operai che si alzano alle quattro del mattino e si spaccano la schiena per otto ore al giorno, e meriterebbero maggior rispetto.Ovviamente questo pensiero è rimasto nella mia mente, perché quei lavoratori, pur di avere una risposta, si sarebbero fatti chiamare in qualsiasi modo, e perché loro stessi, pur di un riscontro, avrebbero soprasseduto alla forma. Ecco, ecco la fabbrica 4.0, ecco la fabbrica che ti chiama ragazzi, ecco la fabbrica con la liquidità dei rapporti di lavoro, della dinamicità delle relazioni sociali, della totale mancanza di rispetto.
Una volta, trent’anni fa, quando i metalmeccanici scioperavano, cadevano i governi, e oggi, invece, ti chiamano ragazzo. Una trasformazione che ormai non è più solo dei rapporti di forza, ma anche dei rapporti umani. Prima di uscire qualcuno di questi ragazzi mi si avvinca, mi abbraccia, mi bacia, trova anche il modo per sorridermi amaramente, perché sa che domani non sarà più in fabbrica. Le ultime indiscrezioni dicono che i trecento lavoratori che si salveranno apparteranno quasi tutti del reparto “montaggio”, mentre nel reparto “lastoferratura”, dove siamo noi, non si salverà quasi nessuno.
E’ la notte di Halloween, quella di “dolcetto o scherzetto”, quella dove gli scherzetti hanno il volto dei licenziamenti,
Comunque vada a finire ho un pensiero positivo per questi giovani lavoratori interinali: penso, o almeno spero, che questi mesi di lavoro siano serviti a renderli coscienti, non inteso come coscienza di classe, sarebbe chiedere troppo a una generazione che non conosce neanche gli scioperi figuriamoci la coscienza di classe, ma coscienti che questa generazione non può e non deve essere appesa a una messaggino whatsapp, non può essere mortificata da un’anonima coordinatrice che li chiama ragazzi, e che non ci si può rassegnare senza combattere”.
Un clima spettrale di mestizia segna i visi contratti e allucinati di tutti i giovani lavoratori interinali
che da otto mesi lavorano alla Fiat di Cassino. Proprio martedì sera alle ore 22 scadevano i rapporti di lavoro interinali, e nessuno di loro, a inizio turno, sapeva se il contratto di lavoro interinale andava in proroga o finiva lì. Prima di ora la proroga era sempre stata comunicata due o tre giorni prima, ma martedì, a pochi minuti dalla scadenza, ancora nessuno sapeva niente.
Davanti alla postazione dove vengono distribuiti i guanti, i giovani lavoratori interinali hanno l’aspetto di chi sta partecipando a un funerale: parlano a voce bassa e guardano con circospezione tutti quelli che stanno fuori dal loro gruppo, ovvero quelli come me, quelli assunti a tempo indeterminato, quelli che, nel loro immaginario, ce l’hanno fatta. Ogni minuto che passa le indiscrezioni si fanno più crude: degli 830 lavoratori interinali, solo a 300 saranno prorogati i progetti, mentre i restanti 530 rimarranno a casa in attesa di una salita produttiva che tutti, anche i più sprovveduti, sanno che non ci sarà mai.
Ai lavoratori appena usciti dalla fabbrica, quelli del turno di mattina, non è stato detto se il 2 novembre torneranno a lavorare o rimarranno a casa. Prima delle ore 22 l’agenzia interinale non aveva comunicato nulla.
Ci si guarda in faccia e qualcuno sbotta a bassa voce: “Dai, ma come si fa a lavorare in queste condizioni?” Qualche lavoratore anziano, che già conosce la situazione, cerca di avvicinarsi a quel gruppo di lavoratori, a “violare” la loro angoscia, a dargli qualche parola di conforto, ma tutti sappiamo che ormai i giuochi sono fatti.
Lavoro alla Fiat di Cassino da trent’anni, e a memoria non ricordo un tale clima di rabbia, di frustrazione, di ansia, di impotenza. Non ricordo di aver mai visto lavoratori piangere in fabbrica, nonostante in questi trent’anni abbiamo imparato a conoscere momenti altrettanto drammatici dal punto di vista occupazionale.
A un certo punto passa un lavoratore sindacalista della Cisl che ha appena terminato il proprio turno di lavoro, che augura buona fortuna a tutti loro con l’auspicio di ritrovarli tutti domani in fabbrica. Proprio come le eliminazioni del “Grande Fratello” durante la serata delle nomination, proprio come un gioco ad eliminazione dove c’è sempre quello che augura buona fortuna a tutti, proprio come uno spettacolo televisivo, dove l’adrenalina è la vera protagonista della serata. Ma qui siamo nel mondo cosiddetto reale, dove in gioco c’è il posto di lavoro, dove sul tavolo c’è il futuro occupazionale, dove in palio c’è la sopravvivenza e, in questo caso, anche la dignità.
Intanto i messaggini dei gruppi whatsapp si infittiscono: tutti saranno riconfermati, nessuno sarà riconfermato, metà dentro e metà fuori, 300 saranno assunti e 530 rimarranno fuori, e poi, infine, la versione ufficiale, quella che non lascia spazio a interpretazioni. A trecento lavoratori sarà prorogato il rapporto di lavoro interinale fino a gennaio e cinquecentotrenta rientreranno, c’è scritto, dopo qualche mese, se le cose andranno meglio. E tutti noi sappiamo, per esperienza, visto che è già accaduto nel 2002 e nel 2006, quando ai giovani lavoratori interinali fu detto, senza alcun risultato, di aspettare che prima o poi il loro turno arriverà, che chi esce fuori dalla fabbrica non rientra più.
Mentre lavoro mi guardo attorno. Risento le parole di Renzi, pronunciate qui dentro solo un anno fa, il 24 novembre dello scorso anno, a una settimana dal voto per il referendum costituzionale che annunciava 1.800 posti di lavoro.
Oggi, a distanza di un anno, non c’è stata una sola assunzione vera. Anzi, tre settimane fa 300 lavoratori di Pomigliano D’Arco sono tornati a casa e oggi si parla di altri 500 posti di lavoro persi. Queste sono le macerie di tre anni di renzismo, questa è la nuova fabbrica smart voluta da politici smart, questo è il presente dell’organizzazione e del mercato del lavoro che ci ritroviamo: macerie. Cinquecento giovani lavoratori interinali appesi a un sms, a perversi meccanismi di eliminazione che non hanno riscontri nella storia del movimento operaio. Eppure non siamo nelle campagne di raccolta dei pomodori di Castel Volturno, dove la selezione e l’organizzazione del lavoro, o le dinamiche di assunzioni e licenziamenti, sono del tutto discrezionali: qui siamo nella fabbrica dell’industria privata più grande d’Italia, che proprio per questo dovrebbe avere un modo di operare totalmente diverso da contesti in cui il controllo sindacale sarebbe più difficile.
A metà giornata, dopo decine di insistenze, la coordinatrice dell’agenzia interinale ai quali i giovani lavoratori chiedono informazioni, risponde con un messaggio collettivo. Dice a tutti di attendere fino alle ore 22, perché prima di allora la Fiat non comunicherà nulla. Uno di questi lavoratori mi si avvicina e legge il messaggino: “Ragazzi, la Fiat non ha ancora comunicato nulla e non lo farà prima delle ore 22. Saremo noi a comunicare chi resta e chi va via”. Mente il lavoratore discute del contenuto del messaggio, la mia mente si sofferma alla prima parola: “Ragazzi”. Ma questi sono operai che si alzano alle quattro del mattino e si spaccano la schiena per otto ore al giorno, e meriterebbero maggior rispetto.Ovviamente questo pensiero è rimasto nella mia mente, perché quei lavoratori, pur di avere una risposta, si sarebbero fatti chiamare in qualsiasi modo, e perché loro stessi, pur di un riscontro, avrebbero soprasseduto alla forma. Ecco, ecco la fabbrica 4.0, ecco la fabbrica che ti chiama ragazzi, ecco la fabbrica con la liquidità dei rapporti di lavoro, della dinamicità delle relazioni sociali, della totale mancanza di rispetto.
Una volta, trent’anni fa, quando i metalmeccanici scioperavano, cadevano i governi, e oggi, invece, ti chiamano ragazzo. Una trasformazione che ormai non è più solo dei rapporti di forza, ma anche dei rapporti umani. Prima di uscire qualcuno di questi ragazzi mi si avvinca, mi abbraccia, mi bacia, trova anche il modo per sorridermi amaramente, perché sa che domani non sarà più in fabbrica. Le ultime indiscrezioni dicono che i trecento lavoratori che si salveranno apparteranno quasi tutti del reparto “montaggio”, mentre nel reparto “lastoferratura”, dove siamo noi, non si salverà quasi nessuno.
E’ la notte di Halloween, quella di “dolcetto o scherzetto”, quella dove gli scherzetti hanno il volto dei licenziamenti,
Comunque vada a finire ho un pensiero positivo per questi giovani lavoratori interinali: penso, o almeno spero, che questi mesi di lavoro siano serviti a renderli coscienti, non inteso come coscienza di classe, sarebbe chiedere troppo a una generazione che non conosce neanche gli scioperi figuriamoci la coscienza di classe, ma coscienti che questa generazione non può e non deve essere appesa a una messaggino whatsapp, non può essere mortificata da un’anonima coordinatrice che li chiama ragazzi, e che non ci si può rassegnare senza combattere”.
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