Riportiamo
le notizie emerse dai testi, dipendenti Ilva, e tecnici della Procura, sull'infortunio mortale
di Claudio Marsella avvenuto al MOF il 30 ottobre 2012.
Lo
facciamo sia per far conoscere ai lavoratori, alle parti civili cosa
accade, o non accade, nelle udienze del megaprocesso Ilva, se quanto
riferito dalle testimonianze corrisponde alla realtà lavorativa in Ilva o
no; sia per "entrare dentro l'Ilva", e comprendere le condizioni in cui
gli operai normalmente sono costretti ad operare - in cui il rischio è
continuo, è sempre possibile l'infortunio, anche mortale; che, quindi,
non si tratta mai di eccezionalità, meno che mai di "errore umano" (come
anche in questo processo tentano di dire gli avvocati di Riva), e che,
anzi, è la capacità degli operai che impedisce che accadano molti più
infortuni. Ma questo infortunio mette in luce anche la criminale
complicità dei sindacati confederali, delle Rsu, degli Rls, che non solo
sanno ma tacciano, ma, peggio, fanno accordi che mettono in pericolo
gli operai.
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Dalle udienze del processo Ilva:
A premessa emerge chiaramente che dall’esito
delle indagini sui prelievi biologici è escluso la presenza di alcol, droghe, stupefacenti, eccetera nel corpo di Marsella.
Quando Marsella è stato trovato dal caposquadra stava
sotto al respingente, e si è notato come
se lui stesse scrivendo un SMS col telefono (perchè? Si era accorto di un'anomalia nelle operazioni?)
Il
Marsella doveva agganciare il locomotore ad un carro carico di un
prodotto siderurgico, locomotore che si sposta verso il posto dove si
trova il carro da agganciare, era il Marsella che doveva portare il
locomotore.
Prima di effettuare
l’aggancio bisogna fermarsi ad una certa distanza di sicurezza,
quindi bisogna innanzitutto fermarsi con il locomotore, quindi allineare il gancio tecnicamente, perché sono due
ganci a mascella che vengono meccanicamente incastrati.
Se
il gancio non è allineato, non si aggancia, allora il lavoratore si
ferma, verifica che il
gancio sia allineato, verifica che ci sia il
gancio adatto al locomotore per agganciare il carro in base alla
tipologia, e si procede all’aggancio.
L’operazione di aggancio - dice questo caposquadra, poi però smentito
da un'altra testimonianza di in ingegnere - non prevede il fatto che una
persona si
metta tra il locomotore ed il carro.
Quindi il PM ha chiesto se prima di
procedere all’aggancio, c’è anche la verifica se ci sono dei
sistemi di blocco, di fermo della locomotiva e del convoglio da
agganciare.
Il caposquadra ha detto che il locomotore ha un
freno; per quanto riguarda i carri, se i carri sono agganciati ed il
sistema frenante funziona, prendono una pressione d’aria mediante la quale nel momento in cui vengono sganciati possono
rimanere fermi.
Il
locomotore era programmato in remoto, cioè veniva controllato con
il telecomando.
Il PM chiede da quante persone sono
fatte tutte le operazioni di agganci, di movimenti. La risposta del coposquadra è stata che se
c’è un radiocomando può essere anche previsto da una sola
persona, senza radiocomando occorrono più persone.
Se c'è una
disconnessione del radiocomando, il locomotore va in
blocco, non può muovere.
E rispetto sempre al funzionamento del radiocomando ha detto che questo
radiocomando comporta che l’operatore informa costantemente, ogni minuto, della sua operatività, se
non arriva nessun segnale vuol dire che stanno operando. Quindi
l’operatore deve ogni quarantacinque secondi schiacciare questo
bottone per confermare che sta operando.
L'operaio poi ha aggiunto che ci
sono delle altre misure di sicurezza che vanno a bloccare invece
il locomotore, c'è il tasto di emergenza sul radiocomando stesso che blocca
immediatamente.
Un altra testimonianza importante è stata quella di un ex dipendente Ilva, locomotorista al Mof e all'epoca dell'infortunio Rsu, che ha detto come ad un certo punto furono modificate le procedure e quindi introdotto il macchinista unico per la conduzione dei locomotori.
Questa modifica fu il frutto di una trattativa per cambiare il regolamento che disponeva il numero di operatori sui
locomotori, all’epoca l’azienda convocò me in quanto r.s.u. del
movimento ferroviario e fu avviata quindi una trattativa per decidere
le modalità ed organizzazione del lavoro, per vedere se era
possibile o meno avviare quindi una sperimentazione sul locomotorista
unico. L’accordo
fu rigettato dagli operai del movimento ferroviario a maggio. Non
erano d’accordo sulla possibilità di poter lavorare da soli.
Dopodiché
l’accordo fu ritirato da tutte le confederazioni sindacali
dell’epoca presenti in Ilva. Dopo qualche mese, però, verso Ottobre 2010, fu
riaperta la trattativa e si giunse ad una nuova ipotesi di accordo
che fu poi confermata e si avviò alla sperimentazione della nuova
organizzazione del lavoro, questa prevedeva un solo
lavoratore che svolgesse contemporaneamente le mansioni di
macchinista e di manovratore, sino ad un massimo
di tredici carri ferroviari.
Precedentemente
all’ottobre del 2010 i locomotori erano a due unità e non si prevedeva che
le manovre che facevano gli operai potessero essere condotte ad un’unità.
L'accordo, quindi, prevedeva
che ci fossero tredici locomotori per
turno, di cui una grossa parte armati ad un’unità, con inserimento
di migliorie tecnologiche che potessero sostituire il secondo
operatore sul locomotore, che andavano dal ticino diciamo sul
radiocomando del locomotore che dovesse essere attivato
periodicamente dal locomotorista in modo da poter segnalare che
andava tutto bene, altrimenti se non davi questo consenso il
locomotore sarebbe dovuto andare in blocco se tutto funzionava, più
un sistema di antiribaltamento sempre sul radiocomando.
Questo
accordo dell'ottobre del 2010 fu imposto con una pressione ricattatoria
verso gli operai. L’ingegnere
Colucci parlava direttamente con gli operatori ferroviari dicendo
che o veniva firmato l’accordo o non c’era problema avrebbe
trovato altri lavoratori disposti a lavorare al movimento ferroviario;
l’ingegnere Colucci, responsabile della logistica aziendale,
avvicinò tutte le squadre del M.O.F. al fine di
svolgere opere di convincimento dei lavoratori a condividere
l’accordo, specificando altresì che chi non fosse
stato d’accordo sarebbe stato destinato ad altro reparto.
Prima della morte di Claudio Marsella vi erano stati altri incidenti al movimento ferroviario, in particolare nella fase di aggancio del locomotore a dei carri o tra carri e carri.
Questa
testimonianza, inoltre, ha messo in luce la difficoltà nella zona
dell'accesso dei mezzi di soccorso - fatto che contribuì alla perdita
della vita di Marsella.
Il
locomotore, per poter scendere verso il varco ovest, ha un
unico binario su cui transitano sia i locomotori in discesa verso il
pontile, sia quelli che dovrebbero risalire dal pontile; si tratta di un
binario unico non asfaltato, come un binario di corsa ferroviario,
quindi non c’è un
accesso che consenta
ad un mezzo di soccorso su gomma di potere percorrere tutta
la discesa per arrivare direttamente al pontile.
Circa
il funzionamento del radiocomando, le testimonianze hanno evidenziato
che esso aveva fondamentalmente due sistemi di sicurezza, uno
era una levetta che l’operatore
doveva periodicamente attivare. Il radiocomando tra l’altro avrebbe
dovuto dare un segnale acustico per ricordare all’operatore
di dare questo avviso periodicamente, nel momento in cui l’operatore
non dà l’avviso il segnale acustico diventa più intenso fino a
scollegare il radiocomando dalla motrice, e questo
scollegamento manda in blocco il locomotore
che dovrebbe frenarsi automaticamente e bloccarsi. In più
ha un fungo di emergenza che nel momento in cui
dovesse succedere qualcosa o un’emergenza improvvisa può essere premuto e mandare sempre in blocco il
locomotore.
Ma era stata verificata la non
efficienza di questi sistemi, in particolare quello di antiribaltamento, una volta anche inciampando non è scattato
questo sistema di sicurezza.
Questo è stato confermato anche da un macchinista del Movimento Ferroviario che ha detto che il segnale di
ricezione delle radio portatili non è sempre efficiente, spesso succede che non si riesce a ricevere comunicazioni dai
compagni e coordinatore.
Altra questione ha riquardato il problema dei dispositivi di bloccaggio delle ruote dei convogli.
Qui, al posto dei fermacarri di ferro, che alcuni operai hanno dichiarato che non si sono mai visti a bordo dei locomotori, nè erano in dotazione degli operai, si utilizzavano all'epoca, più pezzi di legno, anche trovati a terra al momento, per fermare il convoglio, metterlo in
sicurezza.
Il
carro deve essere per forza fermo e stabile sul punto in modo possa agganciarsi con la motrice. Se c’è la staffa
fermacarro sotto è ancora più in sicurezza.
La tesimonianza di un ingegnere incaricato dalla Procura della Repubblica per accertamenti
tecnici in ordine alla ricostruzione della dinamica dell’infortunio
mortale occorso sia al Marsella, ha messo in luce la dinamica dell'aggancio tra locomotore e carro
Il locomotore e il
carro hanno due ganci. Affinché si prendano
l’uno con l’altro, devono essere per forza allineati ed aperti. Se la manovra va a
buon fine, tutto okay, i due ganci si urtano in maniera allineata, si
incontrano, l’uno chiude l’altro e l’agganciamento è avvenuto. La procedura operativa, prevede che il locomotore debba essere
fermato a 3 metri dal carro, che l’operatore, benché solo, dovrebbe fermare con i fermacarro
locomotore e carro. Se non sono allineati, la procedura operativa dell’Ilva prevede che l’operatore introducendosi all’interno dei binari con le mani prenda i ganci e li allinei, dopodiché, una volta che i due ganci sono allineati, dovrebbe fuoriuscire dai binari con il joystick fare la manovra di accostamento.
La
pratica operativa prevedeva che la testata del locomotore e quella
dei carri, fossero posti ad una distanza di sicurezza di tre
metri. Questo non si è verificato. La
vettura, per potere frenare, deve essere dotata di idonee staffe
fermacarro in ferro e questi dovevano essere regolarmente allocati
sotto le ruote. Nel caso di specie non c’erano i fermacarri.
quindi nel momento in cui il Marsella stava
facendo l’operazione di allineamento, il locomotore era libero,
cioè non aveva il fermo.
L’Ilva
ha ottemperato successivamente alla disposizione dello Spesal del 04 dicembre
2012, di dotare di fermacarri, mentre la morte di Marsella risale al 30 ottobre 2012.
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