martedì 26 settembre 2017

pc 26 settembre - Storie di ordinaria sopraffazione

Federico Giusti

Subject: STORIE DI SOPRAFFAZIONE DEI PIU’ DEBOLI
Dopo la pausa estiva arrivano licenziamenti e demansionamenti, lettere di richiamo…
Manteniamo il riserbo sulla identità dei protagonisti (loro malgrado) e dei datori di lavoro per evitare ai primi ulteriori ritorsioni.
Raccontiamo le loro storie usando nomi di fantasia, tacendo sui luoghi di lavoro, ma assicurando sulla veridicità delle testimonianze.
L’obiettivo è rompere la gabbia dentro cui vengono occultati prepotenze, soprusi, ingiustizie, occorre farlo in fretta e tutti insieme prima che sia troppo tardi
GIUSEPPA
Ho 55 anni, lavoro, anzi lavoravo, da 13 anni in uno studio. Ho avuto compiti di responsabilità in più uffici, poi le circostanze della vita (un marito da anni in condizioni di salute precarie e bisognoso di continue e costose cure, debiti di famiglia scaricati sulle mie esigue spalle, ecc.) mi
hanno costretta ad accettare impieghi poco gratificanti sotto il profilo professionale. Meglio un impiego sicuro, ma vicino a casa quando hai familiari non autosufficienti.
Per anni sono stata vittima di continue pressioni, apprezzamenti negativi, mi si contestava anche il modo di vestire, nessun ringraziamento per le ore in più trascorse in ufficio, ma lettere di richiamo per ritardi di 10 minuti.

“Non sei più giovane e di piacevole aspetto per questo vieni licenziata, al tuo posto arriverà una stagista di 20 anni sottopagata e ignara dei suoi diritti”. Ovviamente la cause del licenziamento sono altre, trovi una lettera sulla scrivania che parla di riduzione del personale e di processi di ristrutturazione, di crisi aziendale. Nessuno verificherà la esistenza di questa crisi, nessuno vorrà toccare con mano i processi riorganizzativi, ai padroni si crede solo sulla parola e lo stato deve essere solo l’erogatore degli ammortizzatori sociali. Peccato che a giugno abbia prenotato una vacanza per i padroni da 10.000 euro a testa: non si spendono quelle cifre per 21 giorni quando sei messo male.
Anni vissuti ai margini dell’ufficio, relegata in una stanzetta angusta. Mobbing? E chi è disposto a mettersi contro i datori di lavoro per testimoniare? Le colleghe hanno paura, sperano che la stessa sorte non capiti a loro, è solo questioni di tempo, ma sperimenteranno sulla loro pelle il trattamento umiliante riservatomi.
La mortalità negli uffici è elevata, un ricambio continuo di personale nonostante la carenza delle offerte lavorative. Ti fanno pressione su tutto, vogliono che tu sia a immagine e somiglianza del datore di lavoro, devi dire sempre si, scambiare salario, indennità e maggiorazioni con semplici recuperi.
Il sindacato? Non esiste, arriva il consulente aziendale con qualche sindacalista di sigle autonome, e non solo, disposte ad accettare ogni intesa, anzi sono questi signori a dirti di ridurre l’orario di lavoro, a sottoscrivere un contratto ex novo con clausole sempre più flessibili “per non perdere il posto o farlo perdere alle colleghe”. Un ricatto basato sull’ignoranza, sulla non conoscenza dei nostri diritti per altro ridotti ai minimi termini.
Appena esprimi una opinione conflittuale con la azienda diventi un esubero, la forza lavoro è sempre più ricattabile con la Fornero e il Jobs Act,
Hanno organizzato l’ufficio per dividerci, i nostri salari e gli stessi orari sono diversificati, le pause pranzo variano tra le 12.30 e le 14. Con alcune hanno provato, con successo, la strada della riduzione oraria; 12/14 ore settimanali, soprattutto se abiti lontano, non vivi. Insomma spendi quasi tutta la retribuzione per il viaggio per non parlare poi delle spese per il vestiario (impongono un certo look senza prevedere una voce retributiva di parziale compensazione visto che la divisa aziendale non esiste).
Al ritorno dalle vacanze (trascorse a casa visto che i soldi non ci sono) la lettera di licenziamento, non bastavano anni di vessazioni ora arriva anche l’umiliazione del licenziamento. Io lavoro dall’età di 19 anni, non pensavo di meritare questo trattamento.
ANTONIO
52 anni, un’età critica soprattutto se lavori in un magazzino. Ho una lunga esperienza nel settore, ma vengo considerato vecchio. La mia azienda ha subito in 15 anni 3 cessioni di appalto, il padrone è cambiato e ogni volta si azzerava malattia, anzianità perché firmavamo un contratto nuovo, nessuna continuità con il passato.
15 anni fa potevo dirmi fortunato, oggi no, sono in preda a continue paure e a un’ansia opprimente.
Da autista delle bisarche sono stato demansionato ad aiuto meccanico, poi relegato a fare le pulizie.
Demansionamenti silenziosi, l’azienda dismette il camion e vieni consigliato di accettare un lavoro che non padroneggi, poi, senza formazione e con la tecnologia che avanza, scopri di non essere più adeguato alla nuova mansione. Ho fatto di tutto, seguito perfino corsi via web di aggiornamento, ma alla fine, sempre per scongiurare il licenziamento, vengo invitato ad accettare nuove mansioni, di pulizia e di sorveglianza notturna, qualche consegna diurna con un mezzo vecchio e senza revisione.
Risultato? Lavoro oltre 10 ore al giorno, orario spezzato e una tantum al posto delle maggiorazioni festive e notturne. Il mio contratto è part time al 75%, includendo la indennità onnicomprensiva arrivo a 1.100 euro, poi 150 al nero, ma non tutti i mesi.
So già che torneranno alla carica, a un collega hanno imposto il contratto di collaborazione e alla fine il salario mensile scende a 1.000 euro con il rischio di perdere patente e lavoro in caso di incidente.
YOUSEF
20 anni, rifugiato politico dall’Africa, lo traduciamo dal francese, il suo italiano è ancora approssimativo.
Lavoro al nero, nei campi a 3 euro all’ora. La mattina usciamo dal centro di accoglienza alle 5 e, a piedi o in bici arriviamo in un posto dove tutti sanno che si raccolgono migranti in attesa dei caporali.
Il caporalato esiste in Toscana? Piu’ di quanto crediate.
Vorrei andare in Germania o in Francia, ma da 13 mesi sono fermo qui. Vengo invitato a svolgere lavori gratuiti per conto di associazioni e enti locali, dieci ore con un panino e una bottiglietta d’acqua. A quel punto è preferibile la paga in nero, 15/20 euro per pagarti una ricarica telefonica e a fine mese un jeans e una felpa. Siamo complici della malavita come ci hanno detto alcuni cittadini?
Noi siamo vittime di guerre e di oppressione, abbiamo conosciuto la malavita che specula sull’immigrazione.
Ma chi alimenta il lavoro gratuito senza offrirci una alternativa dignitosa e credibile? Chi se la prende con i venditori abusivi e i lavoratori al nero è con la coscienza a posto?

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