Federico Giusti
Subject: STORIE DI SOPRAFFAZIONE DEI PIU’ DEBOLI
Subject: STORIE DI SOPRAFFAZIONE DEI PIU’ DEBOLI
Dopo la pausa estiva
arrivano licenziamenti e demansionamenti, lettere di richiamo…
Manteniamo il riserbo
sulla identità dei protagonisti (loro malgrado) e dei datori di lavoro per
evitare ai primi ulteriori ritorsioni.
Raccontiamo le loro
storie usando nomi di fantasia, tacendo sui luoghi di lavoro, ma assicurando
sulla veridicità delle testimonianze.
L’obiettivo è rompere
la gabbia dentro cui vengono occultati prepotenze, soprusi, ingiustizie, occorre
farlo in fretta e tutti insieme prima che sia troppo tardi
GIUSEPPA
Ho 55 anni, lavoro,
anzi lavoravo, da 13 anni in uno studio. Ho avuto compiti di responsabilità in
più uffici, poi le circostanze della vita (un marito da anni in condizioni di
salute precarie e bisognoso di continue e costose cure, debiti di famiglia
scaricati sulle mie esigue spalle, ecc.) mi
hanno costretta ad accettare impieghi poco gratificanti sotto il profilo professionale. Meglio un impiego sicuro, ma vicino a casa quando hai familiari non autosufficienti.
hanno costretta ad accettare impieghi poco gratificanti sotto il profilo professionale. Meglio un impiego sicuro, ma vicino a casa quando hai familiari non autosufficienti.
Per anni sono stata
vittima di continue pressioni, apprezzamenti negativi, mi si contestava anche il
modo di vestire, nessun ringraziamento per le ore in più trascorse in ufficio,
ma lettere di richiamo per ritardi di 10 minuti.
“Non sei più giovane
e di piacevole aspetto per questo vieni licenziata, al tuo posto arriverà una
stagista di 20 anni sottopagata e ignara dei suoi diritti”. Ovviamente la cause
del licenziamento sono altre, trovi una lettera sulla scrivania che parla di
riduzione del personale e di processi di ristrutturazione, di crisi aziendale.
Nessuno verificherà la esistenza di questa crisi, nessuno vorrà toccare con mano
i processi riorganizzativi, ai padroni si crede solo sulla parola e lo stato
deve essere solo l’erogatore degli ammortizzatori sociali. Peccato che a giugno
abbia prenotato una vacanza per i padroni da 10.000 euro a testa: non si
spendono quelle cifre per 21 giorni quando sei messo male.
Anni vissuti ai
margini dell’ufficio, relegata in una stanzetta angusta. Mobbing? E chi è
disposto a mettersi contro i datori di lavoro per testimoniare? Le colleghe
hanno paura, sperano che la stessa sorte non capiti a loro, è solo questioni di
tempo, ma sperimenteranno sulla loro pelle il trattamento umiliante
riservatomi.
La mortalità negli
uffici è elevata, un ricambio continuo di personale nonostante la carenza delle
offerte lavorative. Ti fanno pressione su tutto, vogliono che tu sia a immagine
e somiglianza del datore di lavoro, devi dire sempre si, scambiare salario,
indennità e maggiorazioni con semplici recuperi.
Il sindacato? Non
esiste, arriva il consulente aziendale con qualche sindacalista di sigle
autonome, e non solo, disposte ad accettare ogni intesa, anzi sono questi
signori a dirti di ridurre l’orario di lavoro, a sottoscrivere un contratto ex
novo con clausole sempre più flessibili “per non perdere il posto o farlo
perdere alle colleghe”. Un ricatto basato sull’ignoranza, sulla non conoscenza
dei nostri diritti per altro ridotti ai minimi termini.
Appena esprimi una
opinione conflittuale con la azienda diventi un esubero, la forza lavoro è
sempre più ricattabile con la Fornero e il Jobs Act,
Hanno organizzato
l’ufficio per dividerci, i nostri salari e gli stessi orari sono diversificati,
le pause pranzo variano tra le 12.30 e le 14. Con alcune hanno provato, con
successo, la strada della riduzione oraria; 12/14 ore settimanali, soprattutto
se abiti lontano, non vivi. Insomma spendi quasi tutta la retribuzione per il
viaggio per non parlare poi delle spese per il vestiario (impongono un certo
look senza prevedere una voce retributiva di parziale compensazione visto che la
divisa aziendale non esiste).
Al ritorno dalle
vacanze (trascorse a casa visto che i soldi non ci sono) la lettera di
licenziamento, non bastavano anni di vessazioni ora arriva anche l’umiliazione
del licenziamento. Io lavoro dall’età di 19 anni, non pensavo di meritare questo
trattamento.
ANTONIO
52 anni, un’età
critica soprattutto se lavori in un magazzino. Ho una lunga esperienza nel
settore, ma vengo considerato vecchio. La mia azienda ha subito in 15 anni 3
cessioni di appalto, il padrone è cambiato e ogni volta si azzerava malattia,
anzianità perché firmavamo un contratto nuovo, nessuna continuità con il
passato.
15 anni fa potevo
dirmi fortunato, oggi no, sono in preda a continue paure e a un’ansia
opprimente.
Da autista delle
bisarche sono stato demansionato ad aiuto meccanico, poi relegato a fare le
pulizie.
Demansionamenti
silenziosi, l’azienda dismette il camion e vieni consigliato di accettare un
lavoro che non padroneggi, poi, senza formazione e con la tecnologia che avanza,
scopri di non essere più adeguato alla nuova mansione. Ho fatto di tutto,
seguito perfino corsi via web di aggiornamento, ma alla fine, sempre per
scongiurare il licenziamento, vengo invitato ad accettare nuove mansioni, di
pulizia e di sorveglianza notturna, qualche consegna diurna con un mezzo vecchio
e senza revisione.
Risultato? Lavoro
oltre 10 ore al giorno, orario spezzato e una tantum al posto delle
maggiorazioni festive e notturne. Il mio contratto è part time al 75%,
includendo la indennità onnicomprensiva arrivo a 1.100 euro, poi 150 al nero, ma
non tutti i mesi.
So già che torneranno
alla carica, a un collega hanno imposto il contratto di collaborazione e alla
fine il salario mensile scende a 1.000 euro con il rischio di perdere patente e
lavoro in caso di incidente.
YOUSEF
20 anni, rifugiato
politico dall’Africa, lo traduciamo dal francese, il suo italiano è ancora
approssimativo.
Lavoro al nero, nei
campi a 3 euro all’ora. La mattina usciamo dal centro di accoglienza alle 5 e, a
piedi o in bici arriviamo in un posto dove tutti sanno che si raccolgono
migranti in attesa dei caporali.
Il caporalato esiste
in Toscana? Piu’ di quanto crediate.
Vorrei andare in
Germania o in Francia, ma da 13 mesi sono fermo qui. Vengo invitato a svolgere
lavori gratuiti per conto di associazioni e enti locali, dieci ore con un panino
e una bottiglietta d’acqua. A quel punto è preferibile la paga in nero, 15/20
euro per pagarti una ricarica telefonica e a fine mese un jeans e una felpa.
Siamo complici della malavita come ci hanno detto alcuni cittadini?
Noi siamo vittime di
guerre e di oppressione, abbiamo conosciuto la malavita che specula
sull’immigrazione.
Ma chi alimenta il
lavoro gratuito senza offrirci una alternativa dignitosa e credibile? Chi se la
prende con i venditori abusivi e i lavoratori al nero è con la coscienza a
posto?
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