L’attacco dei No Tav a Chiomonte
in Val di Susa non fu un atto di terrorismo. Con
la pubblicazione delle motivazioni, la Cassazione mette un nuovo punto
fermo sulla vicenda dell’assalto al cantiere dell’alta velocità Torino-Lione
del 14 maggio 2013. Il terrorismo presuppone la volontà di produrre
“un grave danno ad un Paese o a un’organizzazione
internazionale“, e anche “il compimento
oggettivo di condotte” “idonee allo scopo”. Per i giudici non è avvenuto nulla di tutto questo, perché l’azione non fu tale da “costringere i poteri pubblici a rinunciare alla realizzazione della linea ferroviaria” o, appunto, da “produrre un grave danno al Paese”.
oggettivo di condotte” “idonee allo scopo”. Per i giudici non è avvenuto nulla di tutto questo, perché l’azione non fu tale da “costringere i poteri pubblici a rinunciare alla realizzazione della linea ferroviaria” o, appunto, da “produrre un grave danno al Paese”.
Così la Corte di
Cassazione – che si era espressa lo scorso marzo – ha respinto il
ricorso della Procura di Torino, che insisteva nel sostenere questa accusa nei
confronti di quattro attivisti, Claudio Alberti, Niccolò Blasi, Chiara
Zenobi e Mattia Zanotti, che avevano partecipato
partecipato all’attacco contro il cantiere lanciando
delle molotov. Se per il pg di Torino per parlare di attentato non
è necessaria un’azione con dolo d’omicidio o di lesioni, ma basta
un’azione con volontà di mettere in pericolo l’incolumità o la vita
delle persone, per la Cassazione la questione è differente. Secondo il
tribunale supremo “l’obiettivo primario dell’attacco” era “la distruzione dei mezzi
d’opera destinati alla realizzazione del tunnel geognostico”. Dunque non quella
di recare danno agli addetti ai lavori “che non furono mai i diretti
destinatari dei gesti di lancio” di molotov. L’attacco, scrive la Cassazione,
provocò “costi economici che la collettività ha dovuto sopportare per
assicurare la prosecuzione e il completamento dell’opera, presidiando il
cantiere”. Ma la finalità di terrorismo si riferisce ad azioni dirette
contro lo Stato, al fine “di intimidire la popolazione o
costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o
astenersi dal compiere un qualsiasi atto o a destabilizzare o distruggere le
strutture fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese”.
Inoltre, non basta il solo “finalismo”, ma “occorre” che ci sia anche “il
requisito dell’idoneità delle condotte in concreto”. Insomma, devono esserci
azioni esplicite che abbiano come conseguenza un “grave danno al Paese o
un’organizzazione internazionale”. Caratteristiche, spiega la Cassazione, che
come ha rilevato e motivato la
sentenza d’appello, l’attacco di Chiomonte non ebbe. Nelle motivazioni della sentenza
rese note oggi, la prima sezione penale della Cassazione ha comunque confermato
le condanne inflitte dalla corte d’assise d’appello – tre anni e
sei mesi – per danneggiamento, fabbricazione e trasporto
d’armi e resistenza a pubblico ufficiale, escludendo invece la
finalità di terrorismo che l’accusa chiedeva a carico. L’assalto a
Chiomonte della notte tra il 13 e il 14 maggio del 2013 si concluse in
brevissimo tempo con il danneggiamento di un compressore, senza feriti.
I lavori per il sondaggio geodetico furono interrotti per mezz’ora.
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