DOVE VA LA CLASSE OPERAIA STATUNITENSE? INTERVISTA A BEVERLY SILVER (SECONDA PUNTATA)
Per gentile
concessione di Jacobin Magazine pubblichiamo la traduzione dell’intervista a
Beverly Silver, presidente del Dipartimento di Sociologia alla John Hopkins
University. Silver è una delle più importanti figure della sociologia del lavoro
e da sempre una militante per i lavoratori. Tra le sue opere “Le forze del
lavoro” e “Caos e governo del mondo” firmate con Giovanni Arrighi, entrambi
pubblicati da Bruno Mondadori.
DOMANDA
In passato, le ondate
di militanza e organizzazione hanno tendenzialmente portato nuove e potenti
forme organizzative. Nel diciannovesimo secolo ci furono i sindacati dei
lavoratori specializzati, nel ventesimo secolo i sindacati industriali. Queste
forme sono destinate all’oblio? Se si, cosa potrebbe rimpiazzarle?
RISPOSTA
Di sicuro non sono
destinate all’oblio. Negli USA, per esempio, alcuni dei sindacati coi migliori
risultati oggi (in termini di reclutamento di nuovi membri e di militanza) sono
quelli che hanno le radici nella vecchia American Federation of Labor, nella
tradizione dei lavoratori specializzati. Qualcuno sostiene che alcuni elementi
di questo vecchio stile organizzativo sono più adatti alla natura orizzontale
degli odierni posti di lavoro, piuttosto che i sindacati industriali tipici
delle
grandi imprese a integrazione verticale
grandi imprese a integrazione verticale
Questo non significa
che i sindacati industriali siano morti. I successi tipici dei sindacati della
Confederation of Industrial Unions (come lo sciopero di Flint e quelli
successivi) si basavano sullo strategico potere di contrattazione dei lavoratori
sul luogo della produzione. Penso ci siano ancora lezioni da trarre da quei
successi.
Chiaramente nessuna
di queste due forme ha avuto successo nei confronti dei problemi fondamentali
del capitalismo. Come ho già detto, il problema dei sindacati è che, fino a
quando sono efficaci, il capitale e lo stato non hanno interesse a collaborare
con loro. Nella misura in cui invece non riescono a portare cambiamenti seri
nelle vite dei lavoratori (ed è ciò che è successo in larga parte) perdono
credibilità e legittimità agli occhi dei lavoratori stessi.
Penso che vediamo
costantemente entrambi i lati di questa contraddizione. I sindacati sono parte
della soluzione ma non sono la soluzione completa.
DOMANDA
Una delle idee di
Marx era che i sindacati avrebbero dovuto integrare i disoccupati in un’unica
organizzazione. Questa è un’opzione negli Stati Uniti?
RISPOSTA
Penso che sarebbe
certamente l’ideale, è ciò che dicevano Marx e Engels nel Manifesto del Partito
Comunista quando discutevano del ruolo dei comunisti e del movimento
operaio.
Questo ci riporta
anche alla questione della relazione tra il processo di sfruttamento e quello di
esclusione, tra la lotta nei luoghi di lavoro e la lotta nelle strade.
Per i sindacati,
cercare di seguire l’idea di Marx significa pensare strategicamente alle
condizioni in cui i lavoratori con un impiego stabile possano essere portati e
radicalizzati nelle lotte dei disoccupati e precari, e viceversa.
DOMANDA
Quali sono le
prospettive per la rivitalizzazione del lavoro negli USA? Ti aspetti un aumento
della militanza e dell’organizzazione nel prossimo futuro?
RISPOSTA
Da un lato, su un
terreno teorico, mi aspetto un aumento della militanza dei lavoratori negli USA.
A livello empirico, dal 2008, abbiamo visto un aumento dei disordini sociali
legati alla classe in tutto il mondo, che potrebbe in retrospettiva apparire
come l’inizio di una rivitalizzazione di lungo termine.
Questo va contro il
sentimento prevalente; è interessante comparare il pessimismo di oggi con ciò
che dicevano gli esperti negli anni ‘20. Allora, gli esperti osservavano come i
lavoratori specializzati fossero minacciati dall’espansione della produzione di
massa, e sostenevano che il movimento dei lavoratori fosse indebolito
mortalmente, definitivamente morto. E hanno continuato a ripeterlo fino alla
vigilia dell’ondata di disordini operai a metà anni ‘30.
Non comprendevano
che, mentre era vero che molti dei sindacati dei lavoratori specializzati erano
ormai indeboliti, si stava formando una nuova classe operaia. Osserviamo la
stessa cosa oggi, una situazione in cui la classe operaia della produzione di
massa del ventunesimo secolo viene indebolita, ma c’è anche una nuova classe
operaia in formazione, anche nella manifattura.
E’ importante non
rimuovere la manifattura dal ragionamento su ciò che sta accadendo, anche negli
USA, tantomeno nel mondo intero. Ogni volta che avviene una nuova ondata di
disordini operai, la classe operaia appare fondamentalmente diversa, e le
strategie e le mobilitazioni sono fondamentalmente diverse.
DOMANDA
Chi pensi che guiderà
la rivolta, questa volta?
RISPOSTA
Difficile da dire.
Ciò che è chiaro sono le questioni critiche per il lavoro oggi, che in buona
parte riguardano la base di massa e la guida necessarie affinché la “prossima
rivolta” sia trasformativa. Siamo in una situazione in cui il capitale sta
distruggendo le condizioni di vita più velocemente di quanto ne crei di nuove.
Stiamo sperimentando su scala globale, e anche nei paesi centrali come gli USA,
un’espansione del surplus di popolazione, in particolare quello a cui Marx nel
Capitale si riferiva come il surplus di popolazione stagnante: coloro che non
verranno mai davvero incorporati nel lavoro salariato stabile.
I lavoratori a
chiamata, a tempo determinato, part-time, e i disoccupati di lungo termine,
tutto questo gruppo si sta espandendo, portandoci verso la strada della povertà.
Nonostante la crisi di legittimità che ciò crea al capitalismo, non c’è nessuna
tendenza in direzione diversa all’interno del capitalismo. Se cambieremo
direzione, sarà qualcosa che verrà dal movimento politico di massa, piuttosto
che dal capitale.
Ci sono due
importanti punti da considerare. Uno è che la redditività del capitale, in tutta
la sua storia, è dipesa dall’esternalizzazione parziale non solo dei costi di
riproduzione del lavoro, ma anche dei costi di riproduzione della natura. Questa
esternalizzazione è diventata sempre più insostenibile, ma non c’è nessuna
tendenza interna al capitale per correggerla.
In più, dato che la
natura come bene liberamente accessibile è stato uno dei pilastri del patto
sociale del dopoguerra che legava la produzione di massa al consumo di massa
della classe operaia, non è possibile un semplice ritorno all’età dell’oro del
keynesismo e dello sviluppismo.
Secondo punto, la
tendenza storica del capitalismo è risolvere le crisi politiche ed economiche
attraverso politiche espansionistiche e militariste, dobbiamo prendere sul serio
la guerra, in particolare in questo periodo di crisi e declino egemonico degli
USA.
Il controllo del
petrolio, l’accaparramento di risorse, gli scontro per strisce di mare nel Mare
Cinese, questi conflitti hanno il potenziale per conseguenze orribili per
l’umanità nel suo complesso. Per evitare questo, un internazionalismo del lavoro
rinnovato e aggiornato dovrà superare le tendenze visibili verso l’atavico e
risorgente nazionalismo del lavoro.
Dobbiamo quindi
partire da una considerazione della geopolitica (esaminando i collegamenti tra
militarismo, conflitto interno e movimenti dei lavoratori) per arrivare a
un’analisi seria. La vecchia dicotomia tra socialismo e barbarie è rilevante
oggi come non mai.
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From: Alessandra
Cecchi alexik65@gmail.com
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